Una storia giudiziaria del nostro paese, in un’indagine senza sconti che solleva il velo sulle contraddizioni della lotta alla mafia, tra sprechi, pregiudizi dannosi ed errori clamorosi. Un viaggio drammatico al cuore di un sistema invasivo e dispotico, che si è insinuato nella democrazia in nome di una retorica dell’emergenza, cancellando le differenze tra eccezione e ordinario, tra rispetto delle istituzioni e abuso di potere.
«Il Codice antimafia è il grimaldello per scardinare la porta già traballante dello Stato di diritto e mettere l’intera società sotto tutela giudiziaria»
Una potente macchina di dolore umano non giustificato e non giustificabile, che adopera un diritto dei cattivi introdotto «dopo l’Unità d’Italia per combattere i briganti, usato a piene mani dal fascismo per perseguitare i dissidenti, ignorato dai repubblicani» e riportato in auge dai moderni paladini della giustizia. È questa oggi l’Antimafia, un sistema dove l’eccezione diventa regola e l’emergenza permanente è l’altare sul quale sacrificare la libertà in nome della lotta al crimine. Così confische e sequestri colpiscono migliaia di cittadini e imprenditori mai processati, o piuttosto assolti. Così sentenze anticipano leggi, pene crescono al diminuire dei reati e una falsa retorica professa l’idea che il rovesciamento dello Stato di diritto sia necessario alla vittoria sulla malavita.
È un’illusione o, peggio ancora, un inganno, sostiene Alessandro Barbano, che in questo libro svela «gli abusi, gli sprechi, i lutti e l’inquinamento civile perpetrati da un apparato burocratico, giudiziario, politico e affaristico cresciuto a dismisura e fuori da ogni controllo di legalità e di merito». Come un virus che infetta ogni cellula, la menzogna di una legislazione antimafia che tutti i paesi del mondo vorrebbero imitare e l’intimidazione nei confronti di chi si azzarda a criticarla dilagano incontrastate. Per indebolire questo potere senza freni, che ha tradito il compito assegnatogli dalla democrazia, bisogna revocare la delega che una politica miope ha fatto alla magistratura e che alcune procure hanno trasformato in una leva per mettere la società sotto tutela. Oggi più che mai è necessario tornare a un diritto penale basato su fatti e prove, estirpare il peccato originale del sospetto, definire univocamente il confine fra lecito e illecito. Solo così si può capire che cos’è la mafia. E combatterla davvero. Fonte Ibs.it
Direttore Barbano, dopo “Troppi diritti” arriva un libro sferzante, “L’Inganno”, una crociata contro l’Antimafia. Ma da chi e da cosa siamo stati ingannati?
Siamo stati ingannati politicamente da una macchina dell’emergenza costruita 40 anni fa per combattere la mafia e che poi ha finito per diventare una struttura burocratica parassitaria, corporativa che assiste e nutre una quantità di poteri e categorie interessate al mantenimento dell’emergenza. Le democrazie fragili sviluppano spesso anticorpi che anziché attaccare solo il nemico attaccano anche l’organismo che le ha prodotte. E’ un po' come è accaduto con l’antimafia, uno strumento importante che ha dato anche risultati ma che poi si è trasformato finendo per imporre alla democrazia italiana l’emergenzialismo che risponde più alle categorie che vi partecipano che alla lotta alla mafia. L’antimafia oggi comprime i diritti individuali, le garanzie del processo, oltre il limite che una democrazia può tollerare.
Qualcuno li definiva i professionisti dell’antimafia
Essi sono le categorie di magistrati, di prefetti, di giornalisti, di amministratori giudiziari, di espressione del volontariato che vivono della retorica dell’antimafia, ma non combattono la mafia. Questa è la distorsione che si è prodotta nel nostro Paese. Io propongo di rendere chirurgici gli strumenti di lotta alla mafia e di smontare tutto il sistema burocratico e giudiziario che attorno all’antimafia si è prodotto e che fa molti danni all’economia e alla società, come per esempio il sistema di prevenzione, i sequestri adottati sottraendo risorse a decine di imprenditori mandandoli sul lastrico.
Cosa è stata la lotta alla mafia negli ultimi decenni?
C’è una lotta alla mafia come quella che ha portato all’arresto di Matteo Messina Denaro fatta di rigore investigativo certosino e c’è una lotta alla mafia fatta di strumenti invasivi, non chirurgici che danneggia l’economia e la società.
Lei dice che la magistratura vuole mettere sotto il suo dominio gli altri potere dello Stato. Così salta lo Stato di diritto?
La magistratura ha ricevuto una delega dalla politica e ha forzato i rapporti tra poteri, non è casuale che la legislazione antimafia è stata anticipata da sentenze della giurisprudenza e codificata supinamente dal legislatore, cioè dalla politica. Questa inversione di ruoli tra magistratura e potere legislativo è lo specchio della distorsione democratica del nostro Paese. Il risultato è nefasto.
Lei chiama l’antimafia “una potente macchina di dolore umano”. Ci sono episodi in cui essa si è dimostrata tale?
Io nel libro racconto molti episodi di dolore umano, come per esempio imprenditori mandati sul lastrico attraverso l’ergastolo ostativo delle interdittive comminate dai prefetti sulla base di sospetti, racconto storie di sindaci arrestati dove le giunte sono cadute e poi assolti, racconto retate con centinaia di arresti che poi si sono concluse con condanne che non superavano il 30, il 20 talvolta il 10 per cento degli indagati. Ci sono tanti casi che non si possono più chiamare errori giudiziari, perché questi vengono risarciti ma qui non paga nessuno. Aggiungo che gli errori giudiziari dovrebbero essere un numero limitato rispetto ai casi d’efficienza: quando tu arresti 100 persone e ne condanni 10 non si può dire che i 90 rappresentino un’errore giudiziario. Questa è l’ordinarietà di un sistema fuori controllo.
Berlusconi ingaggiò con la magistratura una guerra civile ventennale, perdendo. Questo governo farà lo stesso dopo le parole del ministro Nordio?
Il ministro Nordio ha annunciato una quantità di riforme importanti su di un tema come quello della giustizia molto forte su cui sono calate parole pretestuose sulle intercettazioni. Il ministro non ha mai detto di voler eliminare le intercettazioni. Staremo a vedere le la maggioranza sosterrà queste riforme accettando di mettersi contro i poteri forti che il partito dell’antimafia esprime e contro buona parte della comunicazione pubblica votata al giustizialismo. Io mi auguro che questo governo abbia la forza che Berlusconi non ebbe nel proseguire nel progetto di riforma della giustizia.
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