Fuoco alle borse per un ottobre nero,
ma il vento può girare anche a favore.
Negli ultimi mesi la borsa americana ha bruciato oltre mille miliardi di dollari, con una perdita secca di quasi il 19% in virtù di continui ribassi. La fuliggine dei titoli, molti dei quali ai minimi storici mai visti prima, si è posata sui conti dei piccoli risparmiatori, suscitando un’ondata di panico defluita in una valanga di vendite. Azioni e obbligazioni di cui hanno fatto incetta i grossi investitori e fondi comuni internazionali, aspettando magari di rivalutare i propri investimenti in tempi migliori.
Dopo la pandemia, complice la guerra e i suoi stridii sull’economia mondiale, le sanzioni alla Russia non hanno certo favorito tutte le aziende europee che avevano rapporti d’affari con Mosca. Come la tiepida neutralità della Cina, che da un lato proclama accordi di pace e dall’altra stringe la mano a Putin siglando contratti per le forniture di gas che ormai gli europei cercano di defezionare. Ed infine, dall’altro capo dell’oceano, gli Stati Uniti d’America –la potenza mondiale per antonomasia– che ammonisce il nemico a non utilizzare l’arma nucleare e di contro imbottisce l’Ucraina di mezzi per la difesa del territorio.
Tra il marasma d’idiomi diversi delle notizie, spesso tradotti a uso e consumo dei destinatari, aleggia lo spettro dell’inflazione che gli economisti della Banca Centrale Europea raccomandano di tenere sempre sotto controllo e di non sforare oltre il 2%. Un’inflazione funzionale, magari, secondo alcuni, può dare una spinta al volano dell’economia, dal momento che i consumatori –percependo un possibile aumento dei beni– tenderanno ad anticiparne gli acquisti trainando le tassazioni. Inoltre, una ricaduta positiva può interessare anche i mutui o i debiti delle famiglie e imprese, dal momento che la perdita di valore del danaro ridimenziona, non l’importo facciale del debito, ma il suo valore effettivo.
Tutto ciò è plausibile in uno scenario economico equilibrato e non scosso da perturbanti fattori esterni. L’equilibrio economico è spesso precario, dal momento che una grossa fetta è tenuta in vita dalle famiglie, dai consumi quotidiani della gente, dai debiti contratti dalle imprese e dai consumatori. Ragione per cui un’ondata di sfiducia e di perdita di valore potrebbe non solo indurre a una frenata negli investimenti, ma spingere le banche centrali ad alzare ulteriormente i tassi d’interesse per attrarre investitori stranieri e foraggiare i flussi di liquidità. Diventerebbe concreta, a questo punto, la possibile immobilizzazione dei portafogli investiti, nonché la perdita di valore dei bond di vecchie emissioni, concepiti in periodi in cui i tassi d’interesse erano al loro minimo storico. I risparmi resterebbero bloccati, ammenoché i risparmiatori non siano disposti a perdere parte del loro capitale per rientrare in possesso del proprio danaro, contribuendo all’onda ribassista delle borse.
Un aumento dei tassi d’interesse impatterebbe, non poco, sui costi finanziari delle aziende bisognose di liquidità temendo lo spettro degli anni Novanta, quando la percentuale del costo del danaro era di ben due cifre percentuali.
Esaminando un simile scenario, Morgan Stanley e altri banchieri, hanno pronosticato un ottobre nero per la finanza, continui rialzi dei tassi, riduzioni del potere d’acquisto e ancora fuliggine sui risparmi. Fortunatamente studiosi del calibro di Pierre Cahuc ci spiegano che l’economia può essere una scienza esatta, capace di raggiungere i suoi migliori propositi attraverso l’eliminazione costante e progressiva degli errori che possono deteriorarla. Per tale motivo, se da un lato esistono previsioni catastrofiche, dall’altro ve ne sono di ottimistiche. Basterebbero ragionevoli accordi e mosse di buon senso sullo scacchiere internazionale per far sì che i venti della crescita e della fiducia tornito a gonfiare le vele della nostra economia.
di Mario Volpe
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