Dott. D’Errico la Meloni gode di buona salute istituzionale. Quale messaggio lancia all’Europa e al Paese dopo i suoi primi 100 giorni?
Distinguerei tra il premier ed il personale politico che la circorda. Credo che Meloni abbia messo in questi 100 giorni una buona dose di energia e di applicazione, però l’arte del governo non s’inventa da un giorno all’altro. Credo che su questi primi 3 mesi pesi il complesso dell’underdog, ossia l’incapacità di fare un salto culturale da una destra confinata nel “nemico da battere” ad uno status istituzionale idoneo. Per quanto riguarda la politica estera, mi sembra che anche qui ci sia mossi con un eccesso di conflittualità. Ci sono dei rapporti di forza che non è semplice rovesciare né si cambiano battendo i pugni sul tavolo ma ci vuole l’arte della diplomazia.
E’ d’accordo con quello che dice il prof. Biagio De Giovanni secondo cui la politica della Meloni ha un aspetto duale tra estero e interni.
Si concordo, anche se gli sviluppi delle ultime ore, con l’isolamento nel vertice europeo con Zelensky, si sia preso un brutto colpo.
Paolo Macry dice che sta nascendo una destra moderna conservatrice post-novecentesca, è d’accordo?
Non credo ancora, non sono molto d’accordo, credo che per il momento il peso delle scorie del passato sia ancora troppo pesante, è un fardello di cui la destra non riesce a liberarsene per assumere i contorni di un partito conservatore moderno. Uno stile istituzionale che in alcuni momenti sembra venire meno impaccia questo cammino, però non dimentichiamo mai che siamo ai primi passi e quindi bisogna osservare ciò che accadrà.
Fratelli d’Italia oggi potrebbe somigliare al Movimento 5 Stelle del 2013, nel senso che nessuno dei due aveva una classe dirigente rodata.
E’ un paragone azzeccato. E’ chiaro che il problema di un partito che in pochissimo tempo balza dal 3 al 30 per cento è quello del personale politico, non sono cose che s’improvvisano. La destra italiana non ha attorno a sè una classe dirigente capace di assicurare un governo all’altezza dei numeri che gli elettori gli hanno consegnato. Dovremo aspettare: ci saranno dosi di trasformismo come da tradizione italiana e in più c’è da aggiungere che Fratelli d’Italia ha un cammino davanti a se spianato dovuto all’assenza totale di un’opposizione.
Ecco proprio del Pd volevo parlare, a breve c’è il congresso. Bonaccini appare il favorito. C’era una frase di Togliatti che diceva che gli emiliani erano ottimi amministratori ma pessimi politici. Lei che opinione ha?
Voglio ripetere una cosa che ho scritto una volta: del nulla si occupano i filosofi, non i giornalisti. Il Pd oggi è il nulla, è una forza priva di un’identità politica e culturale, senza radici ideali. E’ un partito che sconta 10 anni in cui si è modellato esclusivamente sulla permanenza al potere, senza voti. Questo modello culturale ha fatto in modo che all’interno si creassero incrostrazioni tipiche di chi è dedito solo alla conservazione del potere. Per quanto attiene al dibattito congressuale mi sembra quasi un’orazione funebre, vedo tanto gattopardismo, penso a Bonaccini che stringe accordi qui in Campania con De Luca, poi c’è il problema delle tessere false. E’ un copione che abbiamo visto tante volte in questi anni, non c’è discontinuità. Si, la Schlein è una figura nuova, ma non sarebbe efficace per un partito laburista ma piuttosto radicale fondato sulla difesa dei diritti civili, ma c’è bisogno di bel altro.
Fassino dice che bisogna andare oltre il Pd. Ma oltre cosa c’è?
Ci dovrebbe essere il Pd per andare oltre, il Pd come partito non esiste, ha perso la sua gente, i suoi storici militanti, paradossalmente è il vero partito conservatore che c’è in Italia.
Al congresso guardano con una discreta attenzione sia il Terzo Polo che i 5 stelle. In ballo ci sono le alleanze ma non solo. Il terzo polo apre la porta ai delusi del Pd, mentre i 5 stelle sperano nella vittoria della Schlein per poter imbastire un’intesa.
Si, potrebbe essere vero, ma non credo che un’opposizione strutturata da un esodo da un cartello ad un altro possa fare grande strada. Occorre ricostruire uno schema identitario, ancora oggi il Pd resta il partito di riferimento dell’opposizione, ma non farà mai strada se il Pd prima e gli altri partiti poi non ricostruiscono un brand riconoscibile agli elettori. Non ci sono prima le alleanze, bisogna capire prima cos’è il Pd. L’identità riguarda in scala tutta l’opposizione.
Parlando di un tema corrente: Ddl autonomia. Spacca il Paese? Cosa ne pensa?
Ho fatto un lungo lavoro di ricerca essendo responsabile di un giornale del Mezzogiorno. Credo che sia un grandissimo bluff. Avvicinandosi alla vigilia delle elezioni in Lombardia la Lega aveva bisogno di uno stendardo da portare in dono, ma da qui a parlare di autonomia differenziata in termini concreti credo che ce ne passi tantissimo tempo perché noi abbiamo davanti in primo luogo un decreto arraffazzonato, scritto male, molto approssimativo e per metterlo in atto, fissare il tetto dei Lep, bisognerebbe mettere sul tavolo tra gli 80 e i 100 mld di euro, cifra sproposita da investire; in più ci sono una serie di procedura talmente farraginose per percorrere tutti gli step, per cui non credo che sarò una cosa facilmente realizzabile. Credo che non si farà.
Chi sono i nemici del Sud?
Io credo che esista un Sud figlio delle trasformazioni politiche ed economiche di questi anni. Il Sud deve imparare, a partire da Napoli, a fare i conti con la modernità e la produttività. C’è bisogno di una borghesia produttiva che qui non c’è mai stata ma soppiantata da un notabilato che vive di trasmissione del potere e delle ricchezze e come tale refrattario alla distribuzione delle ricchezze e ai cambiamenti. Noi vediamo regioni che sono trasformate in granducati privati come la Puglia o la Campania, possedimenti privati in cui le opposizioni sono narcotizzate con una piccola condivisione del potere
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