Intervista a Francesco Perna - di Marianna Marra

Marianna Marra • 2 maggio 2025

"Esiste una umanità che è rEsistenza e che fa tantissimo anche lontano dai riflettori, lontano da tutto. Piccoli gesti che però ci permettono di rimanere Umani".

sTRUtto & parruCCO

Ideata e a cura di Marianna Marra

Rubrica emozionale a 360 gradi

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Benvenuti e Bentrovati su

sTRUtto & parruCCO.


Oggi ospite della mia rubrica ho voluto con me Francesco Perna:

CAVALIERE ORDINE AL MERITO DELLA REPUBBLICA ITALIANA.

 

Benvenuto Francesco e grazie per essere intervenuto.

 

  • Francesco quando diviene in te urgenza l’esigenza di metterti a servizio dei dimenticati?

 

Ho sempre avuto il desiderio di aiutare chi è in difficoltà, e per fortuna, anche il mio lavoro mi permette di essere al servizio delle persone essendo un vigile del fuoco. Ma dal momento in cui è nata la mia prima figlia, Matilde, ho sentito il bisogno di fare volontariato e di impegnarmi in prima persona nel mio tempo libero. Sentivo spesso le notizie dal 2016 dei grandi flussi migratori provenienti dalla Turchia e vivevo l’angoscia di una figlia che, da adulta, avrebbe potuto chiedermi: “Papà che hai fatto per queste persone?”. L’idea di non sapere rispondere a questa domanda è stata la molla che ha fatto scattare tutto; inoltre nel mio piccolo sento il dovere nei loro confronti di dare il mio contributo per lasciare, a loro, un mondo un briciolo migliore.

Sono passati quasi 8 anni dall’inizio e ho deciso di concentrare le mie forze per aiutare i rifugiati in ingresso in Europa e di studiare il fenomeno a livello mondiale.

 

  • Questo tuo desiderio ha radici anche più antiche? Feconda è stata in tal senso anche la tua famiglia di origine?

 

Mia madre è molto impegnata nel volontariato e oggi, è una volontaria della Croce Rossa Italiana, direi che la mela non è caduta troppo lontana dall’albero in questo caso o almeno mi piace pensare che sia così.

 

  • Quale incontro umano, e per mano di chi si è svolto il tuo primo e concreto inserimento in questo circuito di volontariato? E quanto ha inciso, se ha inciso, la religione sulla nascita di questo tuo desiderio?

 

Sono ateo, la religione non incide nel mio caso. Non lo faccio perché ho l’ambizione di poter ottenere un premio alla fine di questo viaggio. Credo però fermamente nelle persone, ho avuto modo di conoscere persone eccezionali nel mio cammino che mi hanno reso la persona che sono oggi. A Salonicco, ho conosciuto dei ragazzi tedeschi che avevano modificato un camper montandoci su 4 docce per permettere alle persone in strada di potersi lavare. Altri olandesi che avevano modificato invece un furgone mettendoci su 3 lavatrici e altrettante asciugatrici e su ad Atene lavavano i vestiti dei rifugiati. Altri che hanno speso gli ultimi 20 anni rinunciando alla propria vita personale per dedicarsi a chi scappava dalla guerra. Ho iniziato grazie all’associazione Stay Human Onlus di Musli Alievski  con cui ho collaborato alcuni anni. Poi ho iniziato progetti da solo collaborando, di volta in volta, con realtà internazionali e locali.

 

  • Sei anche un vigile del fuoco, spiccato è in te certamente un forte senso di giustizia; quest'ultimo nasce da una giustizia di cui nella tua vita hai potuto beneficiare o da una giustizia che ti è, in qualche modo, mancata ?

 

 Il mio è un modo di riequilibrare la fortuna che ho avuto nella vita di poter fare ciò che ho sempre sognato da bambino, e soprattutto, l’enorme fortuna di essere nato nella parte “fortunata” del pianeta. Se inizi a realizzare questo capisci che devi fare qualcosa per chi è stato meno fortunato di te. Per fortuna il lavoro mi permette di avere dei riposi mensili e un po’ quelli, un po’ le ferie, parto quando posso.

 

  • Cercando di “guarire’ gli altri spesso, inconsapevolmente, cerchiamo di guarire noi stessi, operare per l'altrui bene è forse il modo più civile di trasformare il dolore. Hai mai avuto bisogno di guarire un tuo dolore? Se sì, ti va di parlarcene?

 

Assolutamente sì, e devo dire che ogni persona che è partita con me o che ho incontrato ha un bisogno personale in quello che fa. Come ti dicevo, nel mio caso, nasce dal dover dare alle mie bambine un esempio, dal dover fare la mia parte per loro ma c’è chi ha sentito il bisogno di partire per cercare qualcosa che non aveva. Inoltre devo riconoscere che questo da a chi aiuta un valore in più alla propria vita.

 

  • Attraverso quale canale raccogli le tue donazioni?

 

Dipende, partendo io con privati cittadini come me e non avendo, ancora, creato una ong (ma ci stiamo lavorando), ci basiamo su una rete di amici che ci sostengono. Organizziamo cene, aperitivi, raccolte fondi online, passaparola, i social. E molto spesso chi dona poi viene in missione che è quello che chiedo sempre. Una parte delle mie attività sono legate alla formazione e all’informazione  che faccio nelle scuole e negli incontri. Sono attività che posso fare qui in Italia quando, economicamente e per impegni lavorativi, non posso viaggiare.


  • E che garanzie offre la piattaforma a chi volesse donare?

 

Beh, nel caso dell’online io di solito uso GoFoundMe  che è un portale internazionale, che con una piccola % che trattiene, supporta sia chi raccoglie fondi e sia chi dona. Sta poi a chi riceve la donazione raccontare come si spendono i fondi.

 

  • C’è qualcuno che vigila, attivamente, sulla rendicontazione delle spese che effettuate con gli introiti della raccolta fondi?

 

Chi parte nelle missioni ha contezza di tutto ciò che viene raccolto e si fa una valutazione attenta di ogni spesa, cercando di usare ogni centesimo raccolto in modo intelligente. Un vanto che ho è quello di usare, da sempre, ogni euro raccolto in aiuti, e per questo ogni spesa dei volontari viene pagata da chi parte. Mi rendo conto che questo taglia tante persone che vorrebbero partire ma economicamente non possono, questa però è una regola che mi sono dato, anni fa, e non ci sono deroghe.

 

  • Beneficiate anche di donazioni da parte di enti, o altro?

 

Essendo, per ora, privati cittadini non beneficiamo di donazioni da enti, ma collaboriamo con associazioni e spesso ci sostengono o sosteniamo loro su missioni specifiche. Come è stato per le 2 missioni del 2024  fatte in Egitto per portare medicine a Gaza. In quel caso la collaborazione è stata con la Mezza Luna Egiziana, che a sua volta, sosteneva quella Palestinese.

 

  • Voi ricevete anche fondi provenienti dalla UE?

 

Non ancora ma mi auguro  di farlo già nel 2026  quando avremo, ben rodata, l’associazione.

 

  • Le ONG a cui vi affidate sono Italiane e/o straniere ?

 

Sono ONG di tutto il mondo, in Grecia collaborano realtà di mezzo mondo e si fa spesso sinergia per poter arrivare a fare progetti che da soli non si potrebbero fare. Ad esempio il mio focus ora sono i prodotti igienici  (spazzolini/dentifrici/saponi/assorbenti/pannolini) e quando mi organizzo per fare le distribuzioni ai campi rifugiati avviso le ONG presenti per evitare che si faccia 2 volte in poco tempo. Solo così si può aiutare in modo intelligente e concreto.

 

  • Sei stato insignito, in data 27/12/2024, dell’onorificenza di:

CAVALIERE ORDINE AL MERITO DELLA REPUBBLICA ITALIANA dal PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA.

 

E’ un premio che devo dividere in tanti pezzetti perché io non sono stato altro che il ponte tra chi dona e chi riceve, o come dico io un trasportatore. C’è chi ha donato 2€ e so che l’ha fatto con il cuore e per me è fonte di orgoglio anche questo. Esiste un'umanità straordinaria fatta di piccolissimi gesti che mi commuovono ancora oggi, rendendomi davvero felice. Sento di avere una enorme responsabilità verso chi dona perché sento di dover portare a compimento ciò che di volta in volta decido di fare.

 

  • C’è stato un episodio specifico, che più di altri, ha contribuito a far conoscere la dedizione del tuo volontariato alla presidenza della repubblica?

 

Si, tutto nasce dal caso della bambina irachena che abbiamo fatto arrivare a Napoli  per un'operazione al cuore salvavita. Vivevano nascosti nei boschi tra Bielorussia e Polonia, nella neve, e per il problema cardiaco il freddo è letale. E’ stata una corsa contro il tempo, ma qui a Napoli, abbiamo delle eccellenze come il Dott. Oppido che ha eseguito una operazione estremamente complessa per il quadro clinico in cui versava. Oggi è una bambina sana e felice. Devo riconoscere il merito dell’ex Ministro degli esteri Luigi Di Maio e della Consigliera della Regione Campania Valeria Ciarambino che hanno sostenuto politicamente e diplomaticamente l’arrivo della famiglia portando la Regione a sostenere le spese dell’operazione.

Come privati abbiamo raccolto fondi e pagato il viaggio alla bambina e a tutta la famiglia dalla Bielorussia a Napoli poi siamo stati aiutati da un istituto ecclesiastico per il post operatorio.

 

  • Quanto è severo l’impatto psicologico delle barriere linguistiche e di costume sui migranti?

 

Devo dire che in genere chi incontro parla un discreto inglese: siriani, afgani, palestinesi, ma anche gli africani che parlano, ovviamente, anche un buon francese spesso. L’impatto psicologico più severo è piuttosto legato all'enorme delusione di ciò che trovano, perché una volta arrivati in Europa (e quindi quasi sempre in Grecia) si rendono conto che non è proprio come gli è stato dipinto alla partenza. I primi 2 anni si vive quasi da detenuti fino a quando non gli viene riconosciuto, quando capita, l’asilo politico. Sono percorsi dolorosi anche una volta in Europa, fatti di delusioni, di privazioni, di una “non vita” e di un iter anche molto difficile, come capita ad esempio a chi fa richiesta di asilo perché LGBTQ+. Ricordiamo che in molti paesi l’omosessualità è illegale  e spesso vuol dire carcere (Marocco) o la pena di morte (Arabia Saudita). Anche questi casi rientrano, è bene ricordarlo, tra chi HA DIRITTO all’asilo. Ovviamente tutti hanno delle abitudini radicate che tendono a conservare anche perché permettimelo, molto spesso, non hanno altro che questo. Ma mai, mai, ho visto tentativi di “forzare” europei alle loro abitudini.

Inoltre devo dirti che in Grecia, in Bosnia, in Ungheria e in altri paesi  c’è un odio  radicato verso i migranti  che mi sconvolge e in questo c’è, certamente, una dottrina data dalla politica  del singolo paese che incide. Anche questo a livello psicologico è scioccante. In Grecia è evidente quanto poco venga speso dei soldi che riceve dalla UE per assicurare un minimo di accoglienza e questo fa davvero rabbia. Percepisci davvero la sensazione di voler lucrare sulla pelle di quelle persone. Del resto la polizia non verifica  la sera se manca qualcuno, solo giusto i minori non accompagnati, ma per il resto sono ombre. E se qualcuno sparisce, non avendo spesso documento nessuno se ne accorge. Sono meno che numeri, ma al contempo, non risultando deceduti o fuori dal paese  il governo greco continua a ricevere, per loro, il sostegno economico per l’accoglienza.

 

  • In che modo la migrazione influisce sul loro senso di identità?

 

E’ un po’ come quando i migranti eravamo noi; c’erano quartieri interi, anche a New York, in cui c’erano solo italiani. Loro hanno, come tutti, un bisogno di preservare la propria identità, soprattutto per chi non è proprio un ragazzino. Diversamente sarebbe come recidere le proprie radici, che in buona parte, non hanno già più.

Ho incontrato docenti e dottori siriani vivere in un campo rifugiati con giornate eternamente vuote a cui hanno tolto lavoro, casa, colleghi, ogni bene. Psicologicamente è davvero devastante.

Una persona che parte dall’Afganistan e arriva in Germania impiega circa 11 mesi di cammino a piedi, un cammino pieno di violenza, privazioni, fame, rischi. Considera che ogni anno nei Balcani spariscono circa 1.000 bambini rifugiati e nessuno sa dove vadano. Il pericolo di non sopravvivere è molto grande.

 

  • Quali sono, secondo te, gli impatti psicologici più significativi della migrazione e quanto sono preponderanti sulla salute mentale dei migranti?

 

Il percorso fatto con tutte queste difficoltà che ti ho raccontato arrivando, in Europa, dopo aver fatto un viaggio incredibile. Devo raccontarti cosa succede spesso in Africa per darti il senso di peso psicologico di tutto questo. Sai perché partono spesso ragazzi giovani, in salute, forti piuttosto che una donna o un anziano? Perché in moltissimi c’è la fame e per questo si individua l’uomo più in salute e si fa un “investimento” collettivo. Spesso il villaggio vende tutto ciò che ha compreso gli animali che sono rimasti e che danno cibo alla popolazione locale per pagare il viaggio di un singolo ragazzo che dovrebbe, in teoria, ripagare poi l’investimento mandando un po’ di denaro verso il villaggio. Anche per questo quando uno dei ragazzi muore in mare o tra le montagne dei Balcani è un lutto incredibile.

 

  • Si parla spesso dei bambini, ma sugli anziani, che impatto ha il fenomeno della migrazione?

 

Gli anziani hanno innumerevoli difficoltà rispetto a bambini e giovani spesso, ad esempio, abbiamo fatto collette e spedito insulina e kit per il diabete perché mangiano quello che possono e non riescono a curarsi. Così come per gli occhiali da vista, che sto raccogliendo, perché spesso la polizia di frontiera rompe le protesi e sequestra tutto ciò che hanno. Medicine comprese.

 

  • Tra i migranti si sviluppa un senso di collaborazione o di ostilità?

 

Generalmente collaborazione ma spesso, durante le distribuzioni, per accaparrarsi qualcosa c’è stato nervosismo. E’ chiaro che quando non hai nulla cerchi anche di fare il “furbo” ma lo capisco benissimo. Con il tempo abbiamo affinato il metodo di distribuzione e la gestione delle richieste di emergenza.

Devo però anche dire che i campi rifugiati  sono spesso teatro di abusi sessuali da parte dei rifugiati stessi, tant’è che spesso devo mandare test di gravidanza perché mi vengono richiesti. E, anche per questo, i bambini non accompagnati la notte vengono tenuti separati dagli altri. Ci sono stati casi di violenze di minori  e, almeno questo, durante le ore notturne viene scongiurato tenendoli chiusi nei container/case a chiave dove però non ci sono bagni.

 

  • Che fattezze hanno le strutture che li accolgono?

 

Pessime, fili spinati ovunque e nella migliore delle ipotesi container dove dormono in 10/12. I bambini, non accompagnati, dormono separatamente in un container dove la notte vengono chiusi dentro. Se hanno dei bisogni di notte devono urlare  e sperare che la guardia vada ad aprire. Il campo dell’isola di Chios, che conosco molto bene, negli anni ha accolto anche 6.500 persone e potrebbe contenerne 1000. Parliamo di 18 bagni (9 uomo e 9 donna) e vengono puliti 1 volta al giorno.

 

  • I migranti hanno la possibilità di uscire dalle strutture oppure sono costretti a sopravvivere in “cattività” ?

 

Posso raccontarti la realtà in Grecia che conosco bene. Possono uscire, anzi, ho visto che le autorità non sono assolutamente dispiaciute se qualcuno va via e non torna più. Viceversa in genere, salvo rari permessi, noi volontari non possiamo entrare e questo, secondo me, nasce dalla loro esigenza di non documentare la situazione.

Non c’è dignità, il cibo è pessimo e hanno, anche ad agosto, diritto ad una bottiglietta da ½ litro d’acqua al giorno. Questo esempio credo dia la dimensione dell’accoglienza.

La polizia greca non ha alcuna attenzione se tornano la notte i migranti, anzi, avendo tanti campi sovraffollati stimolano l’uscita. Lo dimostrano gli oltre 500.000 rifugiati che vivono clandestinamente ad Atene città.

 

  • Perché hai scelto di dedicarti al volontariato internazionale piuttosto che dare il tuo contributo nel nostro paese?

 

In Italia esiste una umanità nell’accoglienza superiore, è tutto migliorabile ma ritengo non ci sia bisogno quanto all’estero anche perché esiste una bellissima rete locale come la Croce Rossa Italiana che fa un ottimo lavoro. La mia idea è, invece, quella di dover andare dove non va nessuno. Come a maggio 2024 per Gaza.

 

  • Quali missioni hai svolto e come concili le tue missioni umanitarie con il tuo

lavoro?

 

Uso ferie e permessi/riposi avvisando sempre il Ministero degli Interni di ciò che faccio e dove mi reco. Ho fatto diverse missioni in Egitto, Grecia, Balcani e seguito molti casi in nord Africa, Turchia, Bielorussia, Polonia. Generalmente però cerco di aiutare chi è appena entrato sul confine con l’Europa perché non possiede nulla. Per arrivare in Grecia hai due modi, o via terra attraversando un fiume estremamente pericoloso o via mare arrivando su una delle 3 isole (Samos, Lesbo, Chios). In entrambi i casi non puoi portare con te alcun bene perché fisicamente non è possibile quindi che tu arrivi a Salonicco (quindi via terra) o sulle isole non possiedi nemmeno lo spazzolino da denti.

E, credimi, vedere ragazze lavarsi i denti per oltre 15 minuti dopo una distribuzione è una cosa incredibile.

 

  • Da volontario hai diritto almeno a un rimborso spese?

 

Zero, nemmeno permessi a lavoro, e questo, mi fa rabbia perché nelle missioni incontro invece amici che hanno molti diritti. Un amico norvegese  ad esempio mi racconta, che da contratto, ha diritto ad una settimana di ferie pagate “per fare volontariato” indipendentemente che tu vada a falciare i prati o parta per una missione all’estero. Manca la cultura del volontariato e un reale supporto.

 

  • Se no, come riesci a fare economicamente fronte al sostentamento della tua famiglia dovendo anche pagarti per tuo conto: viaggi, alloggi, food e beverage?

 

Si, tutto, anche il caffè in aeroporto. Devo ammettere che dormiamo davvero in dei postacci, e generalmente, non andiamo al ristorante mai. Il limite economico non è irrilevante tant’è, che per me, non è possibile fare più di 3 missioni l’anno. Non posso nemmeno gravare troppo sulla mia famiglia ed è un equilibrio, ti assicuro, non semplicissimo.

 

  • Chi non ha un'autonomia economica per fare fronte alle spese di viaggio è quindi impossibilitato a svolgere missioni umanitarie pur volendolo?

 

Con me sì, ma generalmente, funziona così anche per grandi realtà. Un esempio (enorme) è Medici senza Frontiere  dove un medico deve pagare non pochi soldi per poter partire e fare un'esperienza sul campo. Cerchiamo comunque di tenere bassi i costi, ad esempio ognuno parte dall’aeroporto più comodo per lui per poi vederci a destinazione. Con me sono partiti studenti ma anche medici, docenti, assicuratori, avvocati. Programmiamo le missioni con anticipo, ad esempio ora so che saremo in missione dal 5 al 10 settembre 2025 quindi abbiamo la possibilità di prenotare voli, a basso costo, e di programmare la spesa. Nessuno oggi ha la possibilità di fare spese impreviste.

 

  • E chi ti aiuta nella gestione dei figli in tua assenza?

 

Mia moglie riesce a fare anche da padre per loro quando non ci sono, io   cerco di coinvolgere le bambine, che ora hanno 8 e 5 anni, nella preparazione e stanno comprendendo il senso del donare. Non di rado mi danno dei giocattoli per portarli in missione e donarli. Inoltre, spesso, mi aiutano nella preparazione dei saponi o dei kit igienici.

 

  • In Ordine di urgenza quali sono le maggiori criticità che hai riscontrato nelle tue missioni e sono risultate essere differenti in base ai diversi contesti geopolitici dei paesi in cui hai operato?

 

C’è una mancanza di igiene che li porta poi a contrarre malattie anche gravi e mancando, per loro, ogni copertura sanitaria, è un grosso problema. L’idea ad esempio degli spazzolini e del dentifricio nasce perché proviamo ad evitare problemi dentali a chi non ha questi semplici strumenti. La consegna del sapone invece per permettere loro anche di affrontare il quotidiano con maggiore sicurezza. Andare ad un colloquio lavati e profumati è diverso e può fare la differenza nella vita di un’intera famiglia. E’ riscatto sociale anche quando magari un ragazzino si può lavare e si sente più sicuro se deve avvicinarsi all’amore della sua vita. Ecco, le vie sono infinite, davvero.

Poi c’è il cibo, noi abbiamo concentrato gli sforzi per potare proteine in scatola (tonno/sardine) perché spesso i rifugiati cercano di superare i confini e devono affrontare settimane di cammino sulle montagne. Avere una fonte di proteine veloce può salvare la vita.

Stiamo capendo poi come avviare un progetto per aiutare i giovani a trovare lavoro e a studiare la lingua locale, ma per ora, è solo allo stato embrionale.

 

  • È possibile donare anche beni materiali e se sì avete dei punti di raccolta specifici dove potersi recare?

 

Per ora solo spazzolini dentifricio e tonno. Il “deposito” è il mio garage dove ormai metà dello spazio è destinato a questo. Questo rientra sempre nell’idea di non avere costi fissi (locali/dipendenti) che ci permette di mantenere la regola 1€ donato = 1€ di aiuti. Per chi volesse supportare le missioni donando anche beni materiali può contattarmi tramite i miei canali social.

(Vi ricordo che potete seguire il profilo di Francesco Perna su Facebook cliccando Qui)

  

  • Il ricordo che ti ha maggiormente segnato nel tuo percorso umanitario?

 

Le storie delle persone, Yasmine che ha perso la mamma su un barchino e che non voleva staccarsi da me, un amico  che è scappato da Istanbul  abbandonando un ristorante di successo perché omosessuale, ricordo che mi fece i complimenti, quando nel 2019, allestimmo una cucina da campo, a Salonicco, per lui e altri 200 che vivevano in strada. Al bambino, in una periferia a nord di Salonicco, che si prostituiva per 5€ in strada  e non sapeva come andare via. Di solito evito di ascoltare storie perché ti restano dentro a vita. Potrei raccontartene decine, sono vite incredibili.

O un ragazzo bosniaco che con l’autorizzazione della polizia in Bosnia raccoglie il DNA dei migranti deceduti  per compararlo con le possibili famiglie nei paesi di origine e avvisarli. Poi lui stesso gli dà sepoltura in un piccolo campo.

 

  • Quali sono i paesi più virtuosi, secondo la tua esperienza, nell’accoglienza dei migranti? E quali i peggiori?

 

Per quanto riguarda la UE, la Germania su tutte ha un sistema di formazione e di integrazione che manca a tutti in Europa. E’ l’unico paese che ha compreso come rendere i rifugiati una risorsa per la comunità. I peggiori sono certamente l’Ungheria, la Polonia  se non sei un ucraino, la Bosnia. Paesi che non nascondono la volontà di cacciare ogni possibile migrante e di volerlo fare con la forza.

 

  • La Corte Dei Conti ha invitato la UE a stabilire una nomenclatura specifica, univoca e più chiara per la classificazione delle ONG, oltre a ribadire, la necessità di una maggiore trasparenza su molteplici aspetti. In Italia cosa è cambiato in tal senso? Ad oggi cosa distingue una ONG da una Onlus e da una Odv, queste quali caratteristiche devono avere e come devono essere disciplinate? Quando c’è bisogno di uno statuto?

 

Ogni realtà associativa ha obbligatoriamente bisogni di uno statuto per esistere, il che mi sembra sacrosanto. Negli ultimi anni a tutela di chi dona ha creato diversi strumenti che mirano a controllare i flussi delle donazioni ma talvolta questo rende difficile la vita delle piccole associazioni perché per rispettare la legge devi espletare una burocrazia tale da doverti, necessariamente, affidare a professionisti. Questo distrae molti fondi che invece potrebbero andare nelle attività. Sarebbe bello avere degli sportelli pubblici dove ci si può rivolgere ed essere seguiti gratuitamente o quasi, come dei CAF per associazioni più piccole.

Le onlus sono ora tutte odv se piccole, se grandi invece sono ong. All’estero non c’è distinguo, sono praticamente tutte ong.

 

  • Quali sono i passaggi burocratici per creare una ONG in Italia?

 

Innanzitutto devi costituire una odv, quindi con 7 soci redarre uno statuto e pubblicarlo, il che ha dei costi che bisogna sostenere non indifferenti che spesso scoraggiano chi vuole provare a creare qualcosa.

Poi si chiede il codice fiscale (una sorta di p.iva) e in fine si chiede l’iscrizione nel registro unico delle associazioni, il RUNTS.

 

  • A quali pericoli siete esposti voi che operate come volontari?

 

Dipende molto da dove si va ovviamente, la mia scelta di rimanere prevalentemente sul territorio europeo nasce anche dal grande vantaggio di essere tutelati in quanto cittadini europei. Quando sono stato fuori UE ci sono stato da solo proprio per non avere la responsabilità di altre persone con me. Nel nostro caso quindi il pericolo concreto è solo psicologico perché toccare con mano ciò che avviene nei campi rifugiati o per le montagne può essere pesante. Io stesso i primi mesi ho dovuto rivolgermi ad uno psicologo.

 

  • Riscontrate anche difficoltà di accesso alle zone dove vi impegnate a portare aiuti? E se sì (se puoi dircelo) da parte di chi?

 

Per quello che posso dirti la difficoltà sta nel portare soprattutto cibo dall’Italia verso paesi che sono ostili ai rifugiati come la Bosnia. Inoltre ad oggi il confine dove è più complesso aiutare e quello tra Polonia e Bielorussia. Il governo polacco ha creato una “zona rossa” di circa 1km dove aiutare i rifugiati è illegale. I problemi principali quindi sono dati dalla polizia, generalmente quella di frontiera. Inoltre come raccontavo prima è complesso entrare in un campo rifugiati quindi per lo più sono i rifugiati che fanno delle file anche di un’ ora per poter ritirare ciò che abbiamo portato per loro.

 

  • Mi racconteresti il tuo bagaglio tipo per la partenza? Cosa ti è indispensabile?

 

Ho sempre e solo uno zaino (sempre lo stesso) perché resto in media quattro/cinque giorni ogni volta. Scarpe comode, qualche cambio e basta. Poi qualche piccolo giocattolo (macchinine/Barbie) se ho spazio. Oltre al campo, a Chios, aiutiamo anche il centro minori che accoglie una parte di bambini non accompagnati che vivono in una struttura protetta. Per loro cuciniamo e facciamo la spesa alimentare e capita di portare qualcosa per i più piccoli. Quando, a fine missione, abbiamo qualche soldo rimasto dal budget lo spendiamo per fare la spesa a loro così da tornare sempre con zero€ in cassa.

 

  • Ci racconteresti la tua settimana tipo in missione? Sveglia, attività, riposo…

 

Sono ritmi estremamente frenetici, alle otto siamo già in strada a fare attività mentre finiamo dopo mezzanotte per fare briefing e preparare le cose per l’indomani. Non di rado saltiamo il pranzo, viviamo quei giorni con l’ansia del poco tempo a disposizione e non ci risparmiamo. Anche per questo è un esperienza molto complessa psicologicamente.

 

  • Quanti medici e paramedici ci sono sul posto? Svolgono tutti attività di volontariato oppure c’è chi viene pagato per il lavoro svolto?

 

Salvo alcuni rari volontari, non ci sono medici sul campo. I pochi che c’erano in pianta stabile sono stati allontanati tempo fa. La mia impressione è che si voglia trasmettere ai rifugiati il concetto del “Non vi vogliamo qui”.

 

  • Quale sarà la tua prossima missione?

 

Chios 5/10 settembre, e forse, uno step ad Atene dove la condizione è altrettanto complessa. Si stima ci siano oltre 500.000 rifugiati nella città che vivono in strada o in case abbandonate dopo la crisi economica greca. Lì ci sono bellissime realtà internazionali di volontari, che quotidianamente, danno quello che possono e ho sempre piacere nel supportarli.

 

  • Quando torni dalle tue missioni che quantità di sentimenti ti ritrovi a gestire? Ti capita mai di sentirti in colpa per la tua “felicità”?

 

Enorme, mi sento in colpa profondamente perché riconosco che un pezzo importante della mia vita risiede in questo che faccio ma le responsabilità familiari, e la mancanza della mia famiglia, mi riconducono sempre nel “mio posto” come è giusto che sia. Vivo comunque quotidianamente parlando con chi vive sul posto, gestendo anche emergenze a distanza quando posso.

 

  • Un tuo desiderio, progetto che vorresti divenisse realtà?

 

Il mio sogno è quello di creare un piccolo parco giochi per bambini nel campo rifugiati dell’isola di Chios e di intitolarlo a Vittorio Arrigoni. Questo mi permetterebbe di portare via, per qualche ora al giorno, attraverso la fantasia, i bambini che ci vivono dentro. Un sogno non irrealizzabile.

 

  • La tua vita, da quando si è scontrata con queste realtà così forti, ti ha insegnato più ad avere paura del presente ma a sperare nel futuro oppure a necessitare di speranza nel presente avendo però paura del futuro?

 

Mi ha insegnato ad apprezzare le piccole cose, a non dare valore alle cose materiali ma piuttosto ai rapporti interpersonali e alla conoscenza. Ho capito quanto sia importante avere una visione allargata della realtà e non solo vedere “il proprio orticello” perché sarebbe una visione miope e distorta. Non sono ottimista per il futuro, come immagino tutti coloro che si stanno informando in questi anni, ma so che si può essere felici anche con poco e questo mi da forza.

 

  • La “simbiosi” con la sofferenza altrui può essere emotivamente devastante. In modo particolare per coloro dotati di una predisposizione a empatizzare (condizione necessaria a svolgere il volontariato); È estremamente importante, che chi si dedica a progetti di pubblica utilità, sviluppi quindi strategie di gestione emotiva per evitare la sindrome da esaurimento professionale, più conosciuta con l’anglicismo “burnout” (dall’inglese letteralmente “bruciare completamente” e che si verifica negli individui che svolgono professioni di aiuto), riuscendo così a mantenere integro il proprio benessere, e la lucidità necessarie per poter continuare a offrire supporto. Tu come ti aiuti in tal senso?

 

Ho vissuto il burnout in prima persona nel 2018 e a volte mi torna quando torno in Italia e ho la sensazione di aver abbandonato al proprio destino migliaia di persone. E’ un qualcosa con cui convivo quotidianamente ma cerco di preparare chi parte con me a questo per evitare che vivano ciò che ho provato e a volte provo io. Chi è empatico non può non sentire sulla propria pelle un'esperienza del genere e questo ti rimane per sempre anche se la facessi una sola volta.

 

  • L'ultima volta che hai pianto?

 

Ah guarda, spesso! Ho volontari che ci giocano tanto su questo, in missione sono tremendo ma mi aiuta davvero tanto a scaricare la tensione. Non ci vedo niente di male e devo dirti che il 90% di chi viene con me almeno una volta lo fa. E’ certamente un concentrato di emozioni estremamente forti e subentra la stanchezza darà dai ritmi forsennati a cui ci sottoponiamo per il poco tempo a disposizione. Un mix che poi ti porta a un crollo soprattutto a fine missione. Inoltre le emozioni forti ti legano a chi le hai provate anche se cinque giorni prima non l’avevi mai visto.

 

  • C’è una canzone, una filastrocca, una frase motivazionale che ti piace canticchiare o ripeterti quando hai bisogno di sentirti al sicuro essendo lontano dai tuoi punti fermi?

 

Capita durante le giornate dure lì che cantiamo Bella Ciao  perché trovo sua un atto rivoluzionario in un Europa che sta dimostrando di aver dimenticato cosa possa voler dire la fratellanza tra i popoli. Saresti stupita da quanti stranieri conoscano la canzone o quanto meno la musica.

Poi devo dire che mi aiuta tanto il motto  di noi vvf che è più o meno cosi “Vado via quando ho finito non quando sono stanco”. Lo uso con gli amici quando sono stanchi e un po’ funziona.


  • Quando ti rapporti alle altre persone quanto è importante predisporsi a uno ascolto attivo scevro da ogni tipo di giudizio?

 

Vitale, siamo ancora vincolati da giudizi dovuti all’abbigliamento, al modo di parlare, allo status economico. Se fossimo tutti aperti davvero all’ascolto potremmo scoprire quanto sono interessanti gli altri e quanto si può essere parte attiva di questo mondo, smettendo di pensare solo a sé stessi.

 

  • Quanto è importante secondo te, se lo è, mettere da parte la propria “vanità” personale per essere di aiuto agli altri?

 

Io mi concedo tanta visibilità sui social solo perché sono uno strumento per sensibilizzare, per poter permettere alle persone di conoscere questo canale e aiutare chi non ha nulla. Se la vanità non invade la privacy di chi aiutiamo non lo vedo come un male, soprattutto oggi come oggi dove se non mostri pare non sia esistito ciò che fai. Se fai del bene bisogna essere di esempio e non nascondersi. Siamo pieni di esempi da non seguire, le tv e i social ci riempiono di pessimi esempi, se c’è qualcuno che invece vuole mostrare qualcosa di bello e costruttivo ben venga secondo me. 


  • C’è qualcosa che non ti ho chiesto e che vorresti aggiungere?

 

Vorrei si capisse che quello che faccio è un qualcosa, che con un po’ di buona volontà, possono fare tutti. Non sono necessarie qualità o competenze incredibili ma solo un grande cuore e la volontà di aiutare il prossimo. Io faccio diversi incontri nelle scuole e il messaggio deve essere proprio questo. Aiutare, fosse anche la persona anziana che vive nel tuo stesso pianerottolo. Non è necessario fare quello che faccio io. Sono questi piccoli cambiamenti che cambieranno il mondo.

 

  • Se Francesco potesse salutare i nostri lettori con quella sensibilità che è soltanto sua. Cosa vorrebbe dire loro?

 

Esiste una umanità che è rEsistenza e che fa tantissimo anche lontano dai riflettori, lontano da tutto. Piccoli gesti che però ci permettono di rimanere Umani. Io vorrei invitare tutti i lettori ad essere parte di questa umanità, e che torni di moda essere buoni.

 

Grazie per essere intervenuto.


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