Da comunicatore, quali spunti interessanti ha trovato finora in questa contesa elettorale?
Mi sembra caratterizzata dal consueto rincorrere le tendenze dei social network nel tentativo di intercettare l’attenzione dell’elettorato, ma nell’insieme con scarsi risultati: pensiamo a come era abile il Berlusconi televisivo e paragoniamolo al Berlusconi su TikTok, è evidente che il secondo non ha la giusta sensibilità per comunicare in uno spazio mediatico proprio delle nuove generazioni. Nell’insieme, stando anche l’approssimazione strategica dovuta ai tempi assai ristretti, che forse i fautori della crisi del governo Draghi non avevano adeguatamente considerato, questa campagna mi sembra condotta dal nostro ceto politico con la consueta incapacità culturale di capire i media.
Come reputa il restyling culturale di Giorgia Meloni? È autentico?
Non c’è mai “autenticità” in politica, ma solo strategia finalizzata alla produzione del consenso. In tal senso, il successo delle operazioni della Meloni per allargare il proprio elettorato mi sembra legato alle qualità dei suoi spin doctor e alla sua disponibilità a seguirne le indicazioni.
Chi sta comunicando meglio in questa fase e perché?
Confesso che mi sembrano mancare, in questa campagna, gli innovatori del marketing politico. Mi sembra che ogni soggetto politico tenda ad attestarsi sul concetto di riconoscibilità, proponendosi in una linea di continuità con il proprio passato anche laddove ciò non sia del tutto vero. Penso a Salvini che gioca a fare l’equilibrista dialettico tra l’ex-ministro e il leader d’opposizione ma senza mai riuscire a proporre una sintesi plausibile. Insomma, un po’ il gioco delle tre carte.
Quali temi andrebbero veicolati meglio e in che modo?
I temi della campagna sono sempre gli stessi e riguardano la crisi di governance che investe in questa fase storica tutte le democrazie del mondo. Il punto è che la stessa economia, che pure non riassume in sé tutti gli aspetti della vita sociale, è un orizzonte complesso e richiederebbe un dibattito serio in grado di coinvolgere i cittadini e consentire loro di schierarsi sulla base dei contenuti invece che su slogan demagogici.
Il contesto è estremizzato: qual è il ruolo del centro?
Il centro a mio parere non c’è più. Anche perché le culture “centriste” che prima abitavano e tendevano a moderare i conflitti interni alle formazioni politiche della seconda repubblica da Forza Italia al PD, riportandole sul piano dei comportamenti istituzionali, oggi sono state appannate dagli effetti di una crisi che favorisce la dimensione “rischiosa” dei radicalismi. La paura del futuro tende in genere a produrre cattiva politica.
La dicotomia tra rosso e nero tracciata da Letta è efficace?
Non mi convince troppo, rimanda alle ideologie del Novecento e non tiene adeguatamente conto dei grandi mutamenti in atto nel nostro modello di organizzazione sociale. Certo è che in questa fase così complicata del panorama politico internazionale, il nostro paese sembra aver fatto la scelta irresponsabile di danzare sul bordo dell’abisso.
Se dovesse rappresentare con uno slogan questa campagna elettorale, quale sarebbe?
Non saprei, gli slogan sono uno strumento dei politici mentre io sono uno studioso che tenta di capire in quale mondo viviamo. Non è compito semplice neanche questo ed i politici non dovrebbero pensare di poterlo fare da soli.
Come si convince l’indeciso?
Attraverso due strumenti: la propaganda, che per lo più in questa fase storica usa le argomentazioni del “contro”, dell’individuazione del nemico, con il rischio di radicalizzare i conflitti oltre la soglia di ogni possibile controllo; oppure il dialogo con un elettorato che tuttavia non si riconosce più nelle formazioni, nelle figure e nel linguaggio del ceto politico. Infatti questa seconda strada, sebbene sensata, richiederebbe i tempi lunghi di un’autentica rivoluzione culturale. Resta la sensazione che l’indeciso è forse, in realtà, già deciso a rifiutare l’ennesima occasione di “turarsi il naso” e votare per il meno peggio, come suggeriva qualche giorno fa quel geniale comunicatore politico che è Altan.
Chi sta usando meglio i new media?
Lo dicevo all’inizio: secondo me nessuno ha le capacità culturali per affrontare il nuovo mondo dei media digitali e la fine annunciata delle comunicazioni di massa. I politici “viscerali” sono quelli che meglio riescono a muoversi nella rete, con la possibilità di stabilizzare il proprio bacino di voti. Tutti gli altri ancora si illudono che “apparire” da Bruno Vespa possa fare un miracolo.
Come si spiega la risalita dei 5 stelle?
Aspetterei a dare troppo retta ai sondaggi, di solito funzionano poco. Ma in un clima confuso come quello che stiamo vivendo, in cui mancano leader credibili in grado di dare risposte praticabili, perfino le “rovine” dei 5 stelle, ciò che resta del più interessante esperimento politico italiano negli ultimi anni, possono agglutinare percentuali significative di consenso.
*Professore Ordinario di Sociologia dei processi culturali e della comunicazione presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Napoli “Federico II”
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