Prof. Sergio Brancato*, il messaggio è il medium, direbbe McLuhan. In questo caso la Meloni è sia il messaggio che il medium?
Il celebre slogan del grande mediologo canadese, appunto “the medium is the message”, potrebbe essere espresso anche con “il contenitore è il contenuto”. Nel caso specifico della Meloni come di quasi qualsiasi altro leader nell’attuale scenario italiano, sarebbe più corretto affermare che sia il “partito personale” a fornire l’identificazione tra contenuto (il “programma di governo”, spesso povero di linee programmatiche o mascherato nelle sue vere finalità di governo) e il contenitore (la forma-partito fondata sulla “riconoscibilità di brand” della leadership in una singola persona, come sosteneva già una dozzina di anni fa il politologo Mauro Calise). Sono un sociologo dei processi culturali e non un futurologo, ma non mi pare un azzardo chiedersi quanto sarà lungo l’arco temporale del suo “capitale di credibilità” prima che la Meloni venga sostituita da un altro “brand” della politica. In fondo, è la stessa meccanica dell’attuale modello politico a proporre cicli sempre più brevi nell’oscillazione del consenso elettorale.
Come si muove in Europa e in Africa la premier?
Aggrappandosi al “capitale di credibilità” del governo Draghi per quanto riguarda i rapporti con l’Europa. Rispolverando vecchie non-soluzioni del passato recente e meno recente per quanto riguarda il continente africano, che è tornato a essere il cuore di una rinnovata “scramble for Africa” dai toni non meno crudeli della classica spartizione coloniale. Il problema, in tal senso, è che anche la Meloni parla al proprio piccolo cortile elettorale perdendo di vista quel che accade tutt’intorno nel mondo. Ma questo è un limite, ahinoi, non solo italiano.
Dunque, ha sotterrato l’ascia della populista sfegatata, la Orban italiana.
Ma quella era solo propaganda, un politico italiano di oggi – specie se rampante e smaliziata come appare la Meloni – suona a orecchio i temi dell’agenda politica con l’idea di ricavarne un utile immediato.
Ci sembra che la premier abbia un atteggiamento duale tra estero e interni. È così? Colpa di alleati scomodi?
La coalizione è tenuta insieme non da una visione politica condivisa, che non possiede, ma da un sistema di interessi incrociati. Il risultato è la schizofrenia. Come quando Berlusconi assicura che nulla potrà dividere la maggioranza ma poi confessa che in Lombardia potrebbe votare la Moratti poiché teme una svolta
La Meloni coglie il sentimento popolare?
In un periodo di crisi della politica e di sovvertimento digitale delle culture industriali e dei ruoli sociali di massa, un ceto politico sempre meno responsabile coglie e attizza il sentire diffuso sulle grandi questioni nell’ambito di una strategia aggressiva ma giocoforza poco lungimirante. La mancanza di responsabilità di alcune forze e di alcune figure si evince dalla pericolosità insensata con cui su più versanti si giocano le partite dell’immigrazione, del welfare, della sanità, della formazione, dei diritti civili. Come se ogni scelta fatta oggi in ognuno di questi campi non comportasse, in ogni caso, un prezzo da pagare domani.
Dall’altra parte c’è una sinistra in affanno, sparita dai radar del dibattito pubblico e tutta concentrata su di un congresso che ha il sapore di un’enclave. Quali sono i buchi comunicazionali del PD col suo popolo o di quello che vorrebbe conquistare?
Il PD è un’organizzazione sospesa tra la forma passata del partito di massa e quella odierna del partito personale. Finché non deciderà cosa essere, continuerà a non essere. E ad alimentare in via maggioritaria l’unica espressione davvero significativa – e, se si vuole- “urgente” – del sistema politico nazionale: il partito dei non votanti.
Chi tra i 4 è il più capace e convincente?
Sinceramente? Nessuno di loro mi sembra esprimere una leadership competitiva soprattutto sul piano della comunicazione. Forse Stefano Bonaccini è quello che palesa una maggiore esperienza di governo del territorio, ma è anche vero che l’Emilia Romagna non è una realtà rappresentativa dell’Italia perché ha sempre funzionato molto bene rispetto al resto del Paese. In ogni caso, amministrare una città o una regione non si traduce automaticamente nella capacità di governare una nazione.
Il congresso ci dirà anche con chi si allea il PD, i 5S o il nascente partito della nazione. Cosa è più logico?
Ripeto: finché non deciderà in quale forma evolversi per reggere la sfida della complessità politica del nostro tempo, quello delle alleanze è l’ultimo problema del PD.
*Ordinario di Sociologia dei processi culturali - Università Federico II
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