È un dedalo di accuse e insulti incrociati la nube che cala sulla vicenda della sfiducia all’ex sindaco Gianluca Del Mastro, eterodiretto addirittura da tal Dario De Falco, che smerciava prebende da Roma per tenere assieme un pollaio altrimenti impazzito. Un copioso papiro di maldicenze, mezze verità e cospirazioni mai provate. È l’apoteosi della vergogna prima che il tentativo maldestro di mettere assieme un aggregato informe di personalità subalterne ad un disegno calato dall’alto. Ed infatti il sipario è calato con la dipartita dei fautori del Laboratorio, Zingaretti ex capo dem e Di Maio, plenipotenziario grillino.
Ma quella è stata solo la goccia che ha fatto travasare il vaso. Il malessere era costipato a lungo raggio. Gli ex 5 stelle andavano per conto loro e non riconoscevano più l’autorevolezza del primo cittadino, il Pd e liste civiche, forti di un maggior consenso elettorale, chiedevano più peso nelle istituzioni. Orfano del suo incensatore Di Maio, Del Mastro, pieno di sé, si rinchiudeva nel suo fortino di vanagloria e cercava da bravo attore di interpretare la figura di sindaco, autorevole, legalitario, decisionista. E ad ogni ostacolo segnato dal normale confronto con la sua maggioranza, bollava i contrari come cospiratori. Il faro era la legalità.
Bene, ma se c’era qualcosa che non andava perché non denunciarlo pubblicamente? Avrebbe avuto un sostegno in più, il popolo. Mentre ora saluta i cittadini con un lungo j’accuse seminando tracce losche di malaffare, quando poi non ha saputo gestire nemmeno il suo comandante dei vigili che giocava a parte la sua partita con la legalità. A proposito, non ci è dato ancora di sapere chi ha incendiato le auto della Polizia Urbana. Non ci è dato di sapere troppe cose, se non una inconfutabile: Del Mastro era teleguidato da Roma, non era libero, non poteva voltare pagina da solo.
E questo lo sapevano tutti: lo sapeva Eduardo Riccio, segretario dei dem, lo sapeva Sibilio, lo sapeva Pomigliano 2020, lo sapeva Michele Caiazzo che di manovre dall’alto se ne intende, lo sapeva la borghesia della città. E tutti sono stati zitti a compensazione di qualche prebenda romana. O forse per battere e levarsi di torno l’unico ostacolo vero: Lello Russo, col risultato di rimetterlo in carreggiata. Ora che Del Mastro era al capolinea si vuota il sacco, volano stracci, si accenna a complottismi e cospirazioni che non trovano giustificazione davanti alla sfiducia notarile di 13 consiglieri. Perchè farsi sfiduciare e non dimettersi prima da uomo delle istituzioni? Perchè questo lungo lascito velenoso di accuse e complotti ex post e non una deposizione in giunta o in consiglio comunale? Alcuni già lo hanno sconfessato, bollando i suoi spilli come fantasie. Aspettiamo di sentire Eduardo Riccio, maggior accusato.
Pomigliano vive la sua stagione più drammatica, quella della vacuità al potere.
Servirà ragionevolezza e autorevolezza per lavare l’onta del Laboratorio, un’alchimia mortifera per la città. Potrà farlo solo chi conosce bene la città meglio di sua moglie, non uno che veniva da Marano. Serve un uomo o una donna, ma con gli attributi
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