Pomigliano, Rinascita e l'uso politico dell'antimafia
Pomigliano, Rinascita e l'uso politico dell'antimafia

Un recente manifesto affisso in tutta la città e veicolato attraverso i social media, disegna un quadro di Pomigliano ai limiti del drammatico, evocando trame oscure in cui il malaffare mafioso avrebbe un ruolo determinante nelle vicende politiche. Una situazione pervasiva che sarebbe confermata, tra l’altro, da provvedimenti antimafia adottati dalla Prefettura di Napoli a carico di imprese pomiglianesi.
Parlare sapendo di cosa si sta parlando dovrebbe essere più che altro una regola etica. Conseguentemente, sarebbe buona norma che coloro i quali non hanno né cognizione dei fatti né competenza delle norme, si astenessero dall’’intervenire in un campo così delicato com’è quello dell’antimafia. E purtroppo, non basta aver partecipato a qualche fiaccolata, o seguire i dibattiti che vanno in onda prima serata TV, per tirare in ballo questioni così complesse, senza fare la figura dei pressappochisti.
È noto che la scorsa estate, alcune imprese di onoranze funebri operanti a Pomigliano sono state destinatarie di informative antimafia emesse dalla Prefettura. Sono notizie datate, di dominio pubblico da tempo. Ma non basta che un provvedimento prefettizio contempli la parola “antimafia”, a far quadrare l’equazione per cui possa affermarsi che in città c’è una presenza mafiosa. Per la semplice ragione che questi provvedimenti prefettizi non sono di tipo giudiziario. Cioè, sono cosa del tutto diversa dalle sentenze, le quali sono emesse solo al termine di una completa attività di accertamento della verità, basata su prove oltre ogni ragionevole dubbio, in grado di superare il principio di presunzione di innocenza. Le interdittive prefettizie invece sono comminate al termine di un procedimento di prevenzione, in cui l’accertamento, per quanto paradossale e illogico possa sembrare, è basato solo su una supposizione. Un giudizio in base al quale il prefetto (che non è affatto un giudice ma in organo della pubblica amministrazione, giunge alla conclusione di un “più probabile che” (la formula è questa, quindi tutt’altro che assertiva)

In questo procedimento amministrativo non vi sono prove in senso tecnico, quelle cioè che si assumono in contraddittorio tra accusa e difesa, ma solo accertamenti indiziari e valutazioni di probabilità. Le persone che subiscono tali provvedimenti amministrativi non sono imputati, anzi nemmeno sono indiziati di un reato specifico. Insomma, in tutto il procedimento, che si svolge all’interno degli uffici prefettizi, non viene mai dimostrata la prova di alcun delitto. Tutto si basa solo ed unicamente su una indimostrata (e indimostrabile) relazione di pericolosità presunta. E contro la quale, proprio in ragione del fatto che si tratta di una presunzione, non è consentita la prova contraria.
È comprensibile che, ad un profano, tutto ciò possa apparire come qualcosa di completamente illogico. E infatti lo è. Ma è una accusa di illogicità che lo Stato ha messo in conto di subire, mostrandosi disposto a sopportarla senza imbarazzo, nel quadro della guerra alla mafia che esco ha intrapreso, attraverso una legislazione emergenziale che non ha eguali in nessun paese la mondo, a partire dagli anni novanta. E in guerra, si sa, pur di vincere non si va troppo per il sottile, anche a costo di qualche bomba che finisce in testa a donne e bambini che non c’entrano nulla.
Chi non si limita ai talk shows televisivi, chi va oltre la cultura tratta da Wikipedia, sa quante migliaia di imprenditori sono interdetti dalla loro attività in nome di un sospetto. E badiamo bene: chi critica l’antimafia non è che è a favore della mafia. Magari è solo a favore di uno Stato effettivamente garantista.
Agitare per scopi politici argomenti come quelli recentemente apparsi in pubblico, che pur integrando l’essenza di una legge rappresentano la negazione del diritto, è degno della peggior cultura giustizialista. Una cultura che alla vita civile di Pomigliano può solo fare altri danni, quando invece, a maggior ragione dopo la sventurata parabola dell’amministrazione Del Mastro, ci sarebbe da ristabilire una legalità che non sia né sbandierata come uno striscione da stadio, né agitata come una clava.
di Francesco Cristiani
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