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Pendolarismo scolastico, quel vissuto invisibile della scuola. Storie di docenti viaggiatori

Felice Massimo De Falco • 9 febbraio 2023

Pendolarismo scolastico, quel vissuto invisibile della scuola. Storie di docenti viagggiatori

Agli inizi del 2023 la stampa ha scoperto una storia di pendolarismo scolastico da trattare e, appurato che fa notizia solo l’uomo che morde il cane e non viceversa, mette in pagina la storia della bidella Giuseppina Giuliano (Repubblica, 18/1/23). Ogni giorno in treno da Napoli a Milano e ritorno. Giuseppina Giuliano, la bidella pendolare: “Affitti troppo cari, così risparmio”

Ha 29 anni ed è stata assunta in un liceo milanese, dove lavora dal lunedì al sabato dalle 10,30 alle 17. Così prende il treno ogni mattina alle 5 e torna a casa alle 23,30: “Con il mio stipendio mi conviene il treno, una stanza non costa meno di 650 euro“.


Sulla storia si apre un dibattito nazionale, che poi però si concentra soprattutto sulla possibilità di viaggiare da Napoli a Milano con sole 400 euro mensili. Che sia una bufala? si chiedono in molti.Ma il pendolarismo, sull’intero territorio nazionale, ecco il punto, fa parte integrante, come detto, dello status dell’insegnante.

Di tanto in tanto, quindi, la stampa si occupa dei pendolari, basta recarsi in una qualsiasi stazione ferroviaria e individuare i docenti o i bidelli in partenza. “Avanti e indietro in treno, dalla notte alla notte, la giornata di Andrea che lavora nella scuola”. “La vita di Andrea e di migliaia di lavoratori della scuola ormai è questa. Avanti e indietro su un treno, dalla notte alla notte. Il suo stipendio non arriva a 1.200 euro, e di questi soldi almeno 350 se ne vanno per i biglietti dei treni, degli autobus, della metro. “Con il Frecciarossa farei molto prima, ma costa troppo”. Viaggia, lavora e non protesta, Pasquale, anzi è contento perché la scuola gli piace, c’è un ambiente sereno. Prima ha lavorato per tre anni in un liceo a Latina, racconta che lì era più dura, non si era trovato bene. In tanti fanno la vita di Pasquale, molti insegnanti partono insieme a lui. Sono giovani e forti, hanno energia e coraggio, resistono.


Con mente profana si potrebbe pensare che tale disagio è comune ad altre categorie di lavoratori e che, pertanto, quella degli insegnanti non ha motivo per essere ritenuta una classe privilegiata, ma analizzando a fondo il problema si può vedere che il docente pendolare deve affrontare un quid in più dato dagli impegni obbligatori, legati alle ore pomeridiane di non insegnamento che lo costringono, a volte, a stare fuori di casa per parecchio tempo.  Quando ci sono tali impegni pomeridiani a scuola, resta fuori casa anche 12 ore ( per es. ore 8 lezione, ore 14 termine delle lezioni, ore 16 scrutini e fine degli scrutini ore 19/20, rientro alla propria abitazione dopo circa un’ ora o più se usa i mezzi pubblici). La categoria degli insegnanti non usufruisce di buoni pasto, non ha diritto al rimborso spese per i trasporti, non è contemplata la detrazione fiscale per le spese affrontate.


La questione non è solo quanto costa un treno e quanto bisogna spendere per una casa in affitto, il caso della bidella che ha raccontato di fare quotidianamente Napoli-Milano e ritorno è un esempio limite, ma il pendolarismo nella scuola esiste in forme e tempi diversi. «Riguarda, per esempio, tantissime persone campane, docenti e personale Ata, che fanno domanda nel Lazio e in particolare a Roma, perché raggiungibile, pur con disagi, da pendolari», spiega Manuela Pascarella, responsabile reclutamento e precariato della Federazione Lavoratori della Conoscenza della Cgil che non conosce casi estremi come quello raccontato, ma parla di un fenomeno consistente.


«In generale la scuola ha fra un'ora e mezza e due di pendolarismo in tutta Italia. Ci sono colleghi che prendono più mezzi, auto e poi treno e poi mezzi pubblici ogni giorno. Io stessa ero in servizio in un istituto agrario della provincia di Roma e avevo un collega che veniva dalla provincia di Benevento alzandosi alle tre del mattino» aggiunge. Il problema parte dagli stipendi della scuola e arriva alle zone dove sono richiesti gli insegnanti. «Per il personale Ata gli stipendi sono attorno ai 1000 euro, 1300 quelli dei docenti. Come si può affittare una casa o una stanza in realtà come una città del Centro Nord e anche Roma a meno di 500 euro al mese? Aggiungendo le bollette e il resto se ne vanno quasi due terzi dello stipendio. Chi viene da più lontano e non ha la possibilità del pendolarismo utilizza in toto lo stipendio per vivere lontano da casa e poi spende per tornare tutti i fine settimana a casa al Sud per vedere i figli e la famiglia».


Di solito succede con i precari, ma accade anche con personale di ruolo. Prima di 3 anni dopo l'assegnazione non si può chiedere l'avvicinamento e non ci sono sempre posti disponibili vicino a casa. Al Sud, in particolare, gli organici sono saturi e la denatalità impatta anche sull'occupazione nella scuola e non ci sono tante alternative lavorative quanto al Nord in particolare per le donne. «Se emigri a 20 o 25 anni tendi a stabilirti nel luogo dove vai per lavoro. Quando emigri che sei già sposato con figli e hai magari 40 anni è difficile gestire quelle situazioni: da una parte hai l'esigenza di portare a casa quel reddito, ma anche la copertura previdenziale, gli ammortizzatori sociali, la disoccupazione, dall'altra non puoi far spostare tutta la famiglia. Questo è un fenomeno di precarietà che non è limitato ai giovani, ma di persone che fanno sacrifici pazzeschi».


Ecco, forse la vita non è quella che ci raccontano. Il racconto sulla scuola italiana, zeppo di fumisterie giuridiche, di buoni propositi dei ministri che si avvicendano, di sperimentazioni avanguardistiche, di sigle incomprensibili ai non addetti ai lavori (apro un sito web di un IIS di Chioggia e trovo: PTOF, PI/PAI, RAV, RS e PDM, PNSD) procede spedito. Ma sotto il vestito, fuori dalla propaganda, dal supermercato pieno di Open day e dal Progettificio Continuo, la scuola vissuta è altro. Di tanto in tanto si apre uno spiraglio, poi si richiude e si torna a raccontare un’altra scuola che non ha niente a che fare e a che vedere con la scuola vera.


di Mario Sorrentino, già Dirigente scolastico

 


 

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