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Paolo Itri (magistrato): "Stampa e magistrati, basta costruire le carriere sui mezzi di informazione"

Felice Massimo De Falco • 6 febbraio 2023

Paolo Itri (magistrato): "Stampa e magistrati, basta costruire le carriere dei magistrati sui mezzi di informazione"

Dottor Itri, tiene di nuovo banco la querelle tra politica e magistratura dopo le parole del Ministro Nordio. Intanto che ne pensa della linea tracciata dal ministro? 


- Penso che forse sia ancora un po’ troppo presto per poter esprimere un giudizio definitivo sulla linea politica tracciata dall’attuale governo riguardo ai problemi della giustizia. Per quanto riguarda le cose già fatte, ho apprezzato la soluzione data sull’ergastolo ostativo, che ha saputo trovare un corretto punto di equilibrio tra funzione rieducativa della pena e le esigenze di tutela della collettività, sul solco peraltro delle indicazioni che erano già state fornite dalla Corte costituzionale. Per quanto riguarda invece le cose da farsi, mi auguro che il nuovo governo metta mano al più presto all’auspicata riforma del sistema elettorale del Csm attraverso la introduzione del sorteggio temperato, necessario per porre fine al Sistema di potere delle correnti, nonché alla semplificazione delle procedure e alla certezza della pena, questioni sulle quali ci sarebbe tanto da fare. 


- Cosa pensa dell’uso improprio delle intercettazioni e della perversa catena di montaggio tra certa stampa e certa magistratura? 


- Io credo che si tratti in primo luogo di una questione di civiltà giuridica e di cultura della informazione. E’ inutile fare sempre nuove leggi se poi quelle già in vigore non vengono applicate. In altri paesi ben più civili del nostro non occorre mettere continuamente mano al codice per evitare la divulgazione dei fatti privati delle persone che nulla hanno a che vedere con le esigenze di una corretta informazione. Se poi la si smettesse di costruire le carriere dei magistrati sui mezzi di informazione invece che sugli effettivi meriti professionali, è probabile che verrebbe meno anche ogni tentazione di passare le veline ai giornalisti. Gli eventuali abusi dovrebbero poi venire sanzionati attraverso un sistema che coinvolga anche gli ordini professionali, e che sia in grado di assicurare efficacemente che i responsabili siano chiamati a rispondere dei loro errori sia dal punto di vista civile che disciplinare. Sono certo che tanto basterebbe a risolvere il problema.  


- Nordio non toccherebbe le intercettazioni riguardanti la criminalità organizzata. Ma in tal modo la farebbero franca i colletti bianchi? 


 - Non penso che l’attuale impianto normativo sulle intercettazioni debba essere nuovamente ritoccato, almeno nella sostanza. Forse andrebbe più che altro semplificato, eliminando una serie di formalismi che servono solo a complicare le procedure e che non sono in grado di svolgere alcuna funzione di effettiva garanzia.

Cosa pensa del caso Cospito? 


- Francamente è un dibattito che mi appassiona ben poco. L’unica cosa che posso dire è che la politica farebbe bene a rimanere fuori da certe questioni che dovrebbero restare esclusivamente nell’alveo della giurisdizione. E comunque dubito fortemente che vi possa essere una qualche forza politica realmente interessata, in quanto tale, a modificare l’attuale impianto normativo dell’art. 41 bis, che resta uno strumento indispensabile per il contrasto alla criminalità organizzata mafiosa e terroristica. 


- Carlo Alemi, Aldo De Chiara e Franco Roberti si dicono contrari alla separazione delle carriere. Lei di che parere è? 


- Io la penso diversamente, anche se non credo affatto che la separazione delle carriere sia una panacea per tutti i mali della giustizia. I numeri ci dicono che già adesso i casi di magistrati che passano dalla magistratura inquirente a quella giudicante sono del tutto trascurabili. Ma se è così, allora non capisco nemmeno perché ci siano tante resistenze, fermo restando che andrebbe comunque assicurato un sistema che garantisca la indipendenza del pubblico ministero dal potere esecutivo. 


- Matteo Messina Denaro godeva di uno scudo sociale vasto che gli ha consentito una latitanza di 30 anni. La mafiosità è insita nella cultura popolare? 


- Sinceramente non generalizzerei così tanto. Comunque, per quella che è la mia esperienza professionale, un conto sono la ndrangheta e la camorra, che rappresentano non solo fenomeni criminali ma anche delle subculture radicate in contesti di difficoltà sociale, economica e ambientale, mentre diverso è il discorso per la Cosa Nostra siciliana, che ha storicamente costituito e costituisce un fenomeno di natura più marcatamente militare. Ogni fenomeno va comunque affrontato in sinergia dalla politica e dalla magistratura attraverso adeguate forme di prevenzione e di contrasto che tengano conto delle peculiarità di ciascuna organizzazione e del territorio su cui insiste.


È giusto dire come fanno in molti che la magistratura ha soppiantato la politica, sottomettendola al suo volere usando la scure del suo vasto potere? 


E’ difficile rispondere a una domanda del genere, anche perché non mi sembra che le più recenti riforme normative vadano nella direzione auspicata da vasti settori della magistratura. Vero è però che l’attuale sistema di rappresentanza della magistratura associata non rappresenta minimamente le istanze provenienti dalla base, che vorrebbe un sistema più efficiente e facile da governare, e soprattutto meno condizionato dalle pulsioni carrieristiche di singoli magistrati che usano l’Anm per propri fini personali o addirittura per occupare spazi di potere che non le competono. In tal senso si assiste spesso a una eccessiva debolezza della politica, che - a volte per timidezza o anche per convenienza - appare talvolta assecondare istanze e pulsioni della magistratura associata incomprensibili e non del tutto trasparenti. 


- Come finirà questa diatriba? Berlusconi ha impiegato 20 anni ed ha perso, la Meloni non cerca lo scontro ma alla fine la magistratura, o parte di essa, è in sommossa. 


 Lo scontro tra politica e magistratura fa parte dei mali endemici di questo paese. Se ne uscirà quando si riuscirà finalmente a capire che la giustizia non deve e non può costituire un terreno di battaglia tra bande rivali per l’occupazione di spazi di potere, ma solo ed esclusivamente un servizio reso ai cittadini. Ne parlo diffusamente nel mio libro “Il Monolite. Storie di camorra di un giudice antimafia”, edito da Piemme.


- Qual è la sua idea di giustizia giusta? 


- La risposta a questa domanda è già contenuta nella precedente. La giustizia veramente giusta è quella che si indirizza alle persone nella forma di un servizio che lo Stato offre ai suoi cittadini. E per essere tale, essa deve giungere in tempi rapidi e rispecchiare la effettiva realtà dei fatti, senza restare relegata nel mondo dell’iperuranio. 


- Quali difficoltà incontra nell’applicare le disposizioni della riforma Cartabia? 


- Si tratta di una congerie di norme, spesso di difficile interpretazione e applicazione, che ha contribuito ad ingarbugliare e complicare ancora di più un sistema già avvitato su sé stesso a causa dei ripetuti interventi normativi, spesso scoordinati tra di loro, che si sono avvicendati negli ultimi venti anni, anche a causa della bulimia del legislatore. Diciamo che si è persa l’ennesima occasione per semplificare le procedure e quindi anche la vita dei cittadini.

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