Rubrica emozionale a 360 gradi
Make-up Cucina Styling
Le "ragazzacce" hanno sempre fatto molta fatica a guadagnarsi la rispettabilità, fateci caso come ancora oggi ci spaventi molto di più "l'impertinenza" di chi osa dire scomode verità piuttosto che l'ipocrisia di chi le compie sapendole ben tacere.
Forse perché ci risulta molto più rassicurante etichettare quelle che riteniamo essere le altrui "miserie" discostandocene piuttosto che guardare con spirito critico alle nostre? È questo il curioso caso di Betty Boop.
Il celebre personaggio invenzione dell'animatore Grim Natwick, con molta probabilità ispirato alla famosa cantante Helen Kane che fu protagonista nel 1930, prima di una serie a fumetti e poi di alcuni film di animazione, che seppero fare molto discutere. La sua carriera infatti fu prontamente "mutilata" e in un secondo momento completamente stroncata, dal perbenismo americano e dalla censura del codice Hays. William Harrison Hays uomo politico statunitense e inventore del codice divenne il primo presidente della Motion picture producers and distributors of America, che come narrano le fonti, seppe condurre con piglio autoritario guadagnandosi il soprannome di "zar di Hollywood".
Il codice, che prende il suo nome, fu redatto dal Gesuita padre Lord e poi reso esecutivo da Hays nel 1930 al fine di regolarizzare, con una rigorosa serie di veti, i contenuti delle produzioni cinematografiche affinché risultassero aderenti a determinati canoni morali. Il codice nella versione del 1930 pare però che non possedesse incisivi strumenti applicativi, fu così che un emendamento al codice adottato nel 1934 diede vita alla Production Code administration stabilendo che, da quel momento in poi, ciascuna pellicola cinematografica dovesse ottenere uno specifico certificato di approvazione prima di poter essere proiettata.
È necessario fare menzione del fatto che il Production Code fu "un codice di auto-regolamentazione, non fu creato o imposto da autorità federali, statali o cittadine". A cagione di ciò gli studi di Hollywood per l'arco temporale di circa un ventennio decisero dunque "spontaneamente" di seguirne i dettami nella speranza di evitare la temuta censura governativa. Tornando al caso di specie fu nel 1934 che fu imposto ai disegnatori di Betty l'eliminazione di qualsiasi elemento visivo che potesse caratterizzarne l'eroticità. Scomparvero così in modo fulmineo scollature, abiti succinti e giarrettiere, le furono addirittura affiancati, nel tentativo di renderla meno "sfrontata", prima il personaggio di un cane, poi la figura di una persona anziana la cui compagnia si sperava, potesse accompagnarla nel suo viaggio verso una moralità che fosse accettabile. Betty, icona Flapper, la cui nascita si colloca nel contesto post bellico della prima guerra mondiale durante quelli che furono definiti come "gli anni ruggenti", era nata per incarnare un personaggio rivoluzionario, scevro da vincoli politici o di buon costume, rappresentava la sexy ragazza consapevole, conscia del proprio potenziale, padrona di se stessa, del suo tempo, del suo corpo, della sua sensualità piccante, della sua libertà di movimento e di pensiero e che osò, con una ingombrante dose di autoironia e coraggio, farsi beffa di innumerevoli ipocrisie.
Al suo spirito volitivo tutto questo parve comunque poca cosa, fu così che decise parallelamente e ambiziosamente di volersi affermare nella sua totale indipendenza di donna tentando anche di proporre, con l'ausilio del suo indiscutibile carisma e della sua vivace intelligenza, addirittura temi sociali avanguardis e piuttosto scomodi come quello della molestia sul luogo di lavoro, si narra che in un singolare episodio si fosse occupata proprio di sventarne una da parte del titolare del circo presso il quale lavorava. Betty che ad oggi si accinge a spegnere le sue quasi cento candeline, non si può certo definire anziana né obsoleta. Fu nel 1939 però che, purtroppo, venne disposta la chiusura definitiva del cartoon, ma prima di questo, ella fu vittima di quello che ad oggi potremmo più agevolmente definire come un curioso caso di mobbing sul posto di lavoro, le fu infatti imposto di continuare a lavorare, priva dei suoi "mezzi" e per volere di altri, in un clima "vessatorio" e di "terrore psicologico" che la indusse a snaturarsi, vivendo e sopravvivendo, ad una vita per cui non era nata e che non sentiva appartenerle, ridotta sul finire della sua carriera a svolgere, contro la propria volontà, in modo quasi "punitivo" esclusivamente faccende di tipo domestico, in un clima che fosse studiatamente triste e incarnando intenzionalmente, la figura di una casalinga remissiva nella sua più mortificante accezione; fu inoltre "gentilmente" invitata a smettere di esibirsi sul palco, a non ballare né cantare su note di jazz, a non ammiccare più come era solita fare, con leggerezza e voglia di vivere, al suo pubblico in delirio che tanto la venerava, le fu "consigliato" di scendere dai suoi tacchi per indossare delle meno vistose e più banali pantofole che fossero in tutti i sensi più "comode" a tutti. A Betty fu fatto un torto enorme proprio perché quella era la vita che qualcuno scelse per lei e non certamente quella che avrebbe voluto. Nonostante ciò, ella restava segretamente amata da moltissimi dei suoi stessi "oppressori" che in lei potevano ritrovare quell' anelito di ribellione rappresentato anche dalle più audaci e taciute fantasie erotiche, che una moralità castrante impediva di far fluire.
Nel 1988 rispolverata dal genio di Robert Zemeckis nel film "Chi ha incastrato Roger Rabbit?", seppur in una fugace quanto trionfale apparizione, alla nostra cara Betty venne data l'occasione di calcare nuovamente la scena, riguadagnandosi, con la sua incontenibile forza, quel posto da diva che le era da sempre spettato, scavalcando così decadi di oscurantismo mediatico. Resistette e resiste ancora oggi indenne sul mercato, essendo oggetto di numerosi merchandising in tutto il mondo. La MAC COSMETICS l'ha omaggiata mettendo in commercio un iconico rossetto in edizione limitata che porta il suo nome, "ispirato al suo inconfondibile segno distintivo, le labbra rosse imbronciate" e aggiungo io, a forma di "cuore" o a "bocciolo di rosa" come consigliava il celebre armocromista, truccatore, parruccaio Max Factor. Quello di Betty è di fatto il tipico esempio di make-up anni 20, che possiamo evincere anche dal colorito diafano dell'incarnato, dallo stile delle sopracciglia che appaiono sottili, dall'andatura discendente e apprezzatamente triste, dal taglio corto dei capelli e dal trucco occhi, ombreggiati a tutta palpebra in modo centrifugo e bistrati di nero anche nella bordatura inferiore in un caratteristico, come lo definiremmo modernamente oggi, "smokey eyes", i cui natali, forse non tutti ne sono a conoscenza, ma sono da attribuirsi proprio a quei lontanissimi anni 20. Dopo questo curioso e accurato excursus nella storia dell'evoluzione del make-up e del costume io vi do appuntamento con il mio prossimo articolo tra due settimane save the date e se avete gradito i miei beauty "trip" potrete contribuire anche voi a far conoscere la storia di Betty semplicemente cliccando sulle icone social qui sotto e condividendola. Vi lascio qui una mini guida di tutto l'occorrente per un tipico make-up in stile anni 20:
Come da consuetudine grazie per essere stati in mia compagnia e see you "Boop".
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