La guerra alle emissioni di CO2 è dichiarata già da qualche anno, ma la ricerca del nemico, per certi versi, sembra non essere chiara. I produttori, che per ovvie ragioni, rilasciano gas nocivi nell’atmosfera si rimpallano le responsabilità; dai fabbricanti d’impianti di riscaldamento, alle automobili, navi, aerei e più sottilmente alle turbine che bruciano idrocarburi per generare energia elettrica. Un paradosso che ricade sulla mobilità ecosostenibile, in particolare su quella privata, facendone pagare le spese alle fasce più deboli.
Se da una parte le auto elettriche potrebbero inquinare meno l’aria (lasciando a parte il problema dello smaltimento delle batterie), dall’altro il loro costo non le rende accessibili a tutti al punto da continuare con la circolazione di veicoli inquinanti. Infatti, dopo un entusiasmo effimero, derivato dall’idea che un proprietario di auto elettrica possa contribuire alla salvezza del pianeta o all’illusione di circolare a costi minimi, oltre al fascino che esercitano le forme avveniristiche e ipertecnologiche di autovetture da fantascienza, ci si scontra con la realtà del quotidiano. Sul sito Vaielettrico.it (punto di riferimento della mobilità sostenibile), da qualche tempo si leggono i commenti deludenti di chi si è lasciato convincere a fare il passo dall’endotermico all’elettrico.
Naturalmente il veicolo elettrico vince in termini di efficienza energetica, dal momento che il motore a combustione è capace solo di trasformare una minima parte del carburante in movimento, l’altra è dispersa in calore. Del resto le leggi della termodinamica c’è lo insegnano dai tempi della scuola che nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma e la propulsione elettrica vince trasformando quasi tutta l’energia negli accumulatori in movimento. Un’energia, almeno prima della guerra in Ucraina, di gran lunga più conveniente anche dal punto di vista monetario. Infine qualche incentivo statale ha convinto i più tiepidi al grande passo, ma le difficoltà non si sono fatti attendere.
Dopo le sfilate dei modelli Tesla –tra le prime aziende a investire nel settore– anche l’industria europea si è ritagliata la sua fetta di mercato, sforzandosi di colmare il divario con il futuro e il passato per essere pronti alla scadenza del 2035, data in cui si prevede il definitivo pensionamento del motore tradizionale a cui la Cina si è già preparata con largo anticipo, proponendo automobili elettriche dotate di ogni confort a prezzi competitivi. Lasciando a parte Tesla, che ormai annovera uno stuolo di appassionati affascinati dalla filosofia aziendale più che dalla vera qualità dei prodotti, per gli europei opporsi alla concorrenza orientale sarà dura senza una drastica riduzione dei listini di vendita e senza validi incentivi all’acquisto.
Perché se in parte gli alti costi delle auto elettriche dipendono da linee di produzione non ancora ammortizzate, dai prezzi delle batterie che assorbono dal 15% al 20% del valore, è innegabile che le case produttrici intendano ricavare maggior profitto cavalcando l’onda emotiva ed ecologista. Ma le difficoltà maggiori oggi le scontano i proprietari, convinti di avere l’autonomia di percorrenza dichiarata dalla casa madre si ritrovano a dover ricaricare ad appena la metà del percorso fatto, con la preoccupazione di non trovare una postazione di ricarica libera o funzionante lungo in tragitto. Una condizione d’ansia sconosciuta ai proprietari di veicoli tradizionali, che in ogni momento possono rifornire il serbatoio e proseguire il viaggio ottimizzando i tempi. L’auto elettrica, inoltre, impone una filosofia dell’attesa che poco si adatta alle lunghe percorrenze, dal momento che anche le colonnine a ricarica veloce impiegano da una a due ore per mettere il veicolo in marcia.
A non voler essere pessimisti e senza relegare le auto elettriche alla sola mobilità cittadina si potrebbe attingere dalle ingegnose soluzioni dei nostri avi che al tempo delle diligenze e dei pony-express avevano pensato a stazioni per il cambio dei cavalli affaticati con altri più riposati per coprire lunghe distanze, abbattendo i tempi morti. Lo si potrebbe fare con gli accumulatori delle vetture elettriche impiantando delle stazioni in cui si potrebbero prendere batterie cariche e lasciare quelle scariche, una sorta di vuoto a rendere dell’elettricità come facevano le nostre nonne con le cassette dell’acqua minerale. Oltre al vantaggio di una ripartenza veloce si potrebbe fare chiarezza sui costi delle auto, commercializzando i veicoli senza il pacco batterie (o almeno con uno ridotto) dal momento che questi verrebbero presi a noleggio a seconda del bisogno. Una soluzione che imporrebbe uno standard comune di fabbricazione, come è –per certi versi – avvenuto con computer e cellulari, che malgrado i diversi marchi o sistemi operativi oggi garantiscono una compatibilità universale, base fondante del beneficio tecnologico.
Mario Volpe
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