Oggi un noto (e militante) quotidiano ha ripescato un’intervista alla Meloni di quand’aveva 18 anni, risalente a 25 anni fa. 18 anni, 25 anni fa. Senza vergogna
.(Chissà cosa sarebbe uscito fuori se avessero intervistato chiunque, me in primis, a 18 anni)
Come prevedibile, dunque, questo “scoop” non ha sortito gli effetti sperati, a sentire gli stessi dotti commentatori che affollano i soliti (e solitamente orientati) salotti televisivi … ma, riflettendoci, non era poi così scontato; già perché effettivamente quel video poteva essere cavalcato di più dagli stessi commentatori di cui sopra, evidentemente (e tristemente) a corto di argomenti.
Perché non è successo?
Evidentemente gli elettori sono un po’ più maturi di come pensano alcune élite, forse c’è una crisi talmente spaventosa alle porte che il senso del ridicolo sta ritornando ad essere una virtù … ma forse c’è anche altro.
Giorgia Meloni può dire oggi giustamente (e credibilmente) che la destra ha fatto i conti con il proprio passato e che il partito, che abilmente guida, rappresenta una destra moderna. E perché può farlo con tanta sicurezza, continuando a coccolare temi fortemente identitari, a cominciare dalla fierezza del proprio simbolo con la fiamma tricolore?
La risposta, secondo me, sta in un nome (ed un cognome): Gianfranco Fini.
Fu proprio lui infatti a compiere quel percorso di sdoganamento della destra, a partire dalla famosa svolta di Fiuggi (1995) e passando per l’altrettanto famosa visita a Gerusalemme con la Kippah durante il quale definì il fascismo parte del male assoluto (2003). Lo fece ad un costo personale e politico altissimo, che gli portò l’odio di tanti militanti.
Paradossalmente, tra coloro che attaccarono Fini, c’era anche parte dell’odierna classe dirigente di Fratelli d’Italia, che oggi si tiene forte proprio su quella rete di sicurezza tessuta da quel lungimirante capo politico!
Vero è che la riconoscenza non è certo una virtù della politica; vero anche che non si deve (a mio avviso) una riconoscenza personale perché fu proprio Fini a credere in una giovanissima Meloni promuovendola a vicepresidente della Camera e poi a Ministro.
La Meloni si era distinta nella comunità giovanile del partito ed e giusto che il proprio capo politico la premiasse (ah, quando c’erano i partiti!), poi è stata formidabile nel plasmare un partito portandolo ai livelli di oggi ed investendo anche su una nuova classe dirigente.
C’è da dire anche, ad onore del vero, che Fini poi ha commesso importanti errori politici.
Però una riconoscenza politica, a Gianfranco Fini, sarebbe secondo me non solo dovuta ma, potenzialmente, anche un’abilissima mossa politica… che può allargare il campo, guardando al futuro ritrovando e rivendicando la propria storia!
Vittorio Piccolo
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