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L’EUROPA DICHIARA GUERRA AGLI IMBALLAGGI PER FAR RESPIRARE IL MONDO

Mario Volpe • 6 dicembre 2022

L’EUROPA DICHIARA GUERRA AGLI IMBALLAGGI PER FAR RESPIRARE IL MONDO

Chiudere e sigillare qualsiasi alimento destinato alla vendita, da buona pratica d’igiene, a breve sarà vietato in nome della sicurezza ambientale e contro lo spreco alimentare.

L’Europa, dopo aver fatto la guerra alle cannucce, ai bicchieri, piatti e posate in plastica –tanto che alcune note catene di fast food hanno già ripiegato sulla carta per confezionare le offerte dei loro menù– ha rivolto il dito contro le confezioni che inquinano.


Tra non molto dai banconi dei bar spariranno le bustine di zucchero e ritorneranno dosatori e zuccheriere come i nostri nonni ricordano. Ma saranno anche le bibite da asporto a perdere il loro contenitore e i liquidi dissetanti dovranno essere venduti e versati nelle apposite borracce portate dai clienti. Pian piano un simile destino sarà riservato ad altri alimenti che non potranno più essere venduti in confezioni monodose e ritorneranno al romanticismo dello sfuso. Per le lattine e le bottiglie di vino o liquori ci sarà una cauzione in danaro trattenuta dal cassiere del supermercato e restituita quando il consumatore riporterà il vuoto; un espediente per ridurre la voglia di gettare via i contenitori inutilizzati per ricollocarli in una virtuosa catena del riciclo. Pratica già usata, da tempo, nei paesi del Nord Europa e poco osservata dai paesi più discoli dell’Unione, tra cui l’Italia.


A prescindere dalle polemiche, un’energica spinta alla riduzione di bottiglie, contenitori e caraffe in plastica, per aiutare l’ambiente a respirare meglio, non è certo da condannare dal momento che oltre otto milioni di tonnellate (in questo preciso istante) stanno galleggiando nell’oceano Pacifico, compattate dalle correnti marine in un’isola di spazzatura grande quasi quanto la Spagna. La scoperta fu fatta nel 1997 dal velista Charles Moore. Da quella lontana data altri isolotti di scarti e rifiuti di plastica galleggiante sono stati scoperti in diverse parti del mondo acquatico, tra cui la più recente nel 2013 e denominata Artic Garage Patch, che placida fluttua in prossimità del circolo polare artico e formata, perlopiù, da detriti di provenienza europea.


Senza un freno sicuro di questo passo la vita sul pianeta finirà per fare un’indigestione di plastica. Purtroppo, ogni nobile iniziativa produce –sul risvolto della medaglia– il suono del dissenso. Nel vecchio continente il comparto delle plastiche da imballaggio offre lavoro a un milione e mezzo di addetti con un volume d’affari prossimo ai trecentocinquanta miliardi di euro e martellare su tali industrie, non solo sarà difficile, ma potrebbe provocare uno tsunami economico. Allora la scienza si rimbocca le maniche per offrire il suo aiuto, immaginando insetti che possano nutrirsi anche di rifiuti di plastica. Animaletti poco schizzinosi che in natura non esistono, ma che verrebbero manipolati e potenziati per far digerire ciò che all’ambiente è indigesto.  Un gruppo di studiosi ha individuato alcuni organismi, tra cui il verme rosso californiano, la tarma della farina e la tarma della cera che, geneticamente modificati, potrebbero essere degli ottimi spazzini divoratori. Resta da chiedersi se è moralmente ed eticamente corretto distorcere la natura, violentare altri esseri viventi per tamponare i disastri fatti dall’uomo.


Intanto, che le commissioni discutono su come sbarazzarsi delle bustine e delle bottigliette di plastica, dalla Cina sono arrivati nel 2021 più di quattrocento miliardi di dollari di prodotti di ogni genere adeguatamente confezionati e responsabili di una cascata di scarti spaventosa.  Basti pensare che per proteggere e confezionare uno dei prodotti più venduti al mondo, il telefono cellulare, si utilizzano pellicole, carta, cartone e plastiche che finiranno dispersi nell’ambiente. Ma non sono soltanto i materiali da confezionamento a colpire ai fianchi l’ecosistema, molti prodotti finiti ne sono la causa per la malsana abitudine –dei produttori– di pensare ad un’obsolescenza programmata sempre più corta. Sono quindi imballi e oggetti non più usati a inzozzare mare, spiagge, montagne e città. Visto il baratro su cui felicemente saltelliamo, prima di finirci dentro, è indubbiamente giusta la lotta europea alla bustina di zucchero, ma lo sarebbe altrettanto quella alle aziende che spingono  verso un consumismo immotivato e senza freni. 

 

(Mario Volpe)


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