LA SOSTANZIALE COBELLIGERANZA ITALIANA, FRA (POCA) COSTITUZIONE E (MOLTO) PATTO ATLANTICO
La guerra è un fenomeno umano. Immorale, antisociale, sacrilego; ma pur sempre umano. Non tutto ciò che muove dall'uomo è etico e morale. L'intrapresa bellica, ripugnante nella sua essenziale costituzione di morte, ne è un esempio.
Anche la pace è un fenomeno umano. Storicamente, ha una durata rebus sic stantibus, ovvero finché durano gli equilibri generati dai tavoli negoziali risolutivi del precedente conflitto bellico. Pertanto essa è, in un certo senso, figlia della guerra; e in quanto tale essa -in chiave diacronica- è frutto di un atto immorale, antisociale e sacrilego.
Quando la pace comincia ad essere messa in discussione da turbolenze (perché essa conserva in sé il germe della guerra), resuscita puntuale il pensiero pacifista, secondo cui la pace non può che essere generata dalla pace, e si ottiene solo per il tramite della pace. Pensiero alto e nobile, per carità. Ma sterile, perché fondamentalmente tautologico. Difatti è storicamente cedevole e recessivo; perché i missili continuano -ciclicamente e diffusamente- a venire giù e a fare stragi, nonostante John Lennon, Gandhi e Malcom X. Nonostante Gesù ed i Papi.
La Costituzione della Repubblica Italiana, realisticamente pacifista, ne è ben consapevole. Difatti contempla (non in senso ascetico) ed ammette, come possibilità, il fenomeno "guerra": si leggano gli articoli 78 ("Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari"), 87 comma IX ("Il Presidente della Repubblica [...] dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere"), 103 comma III ("I tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge"), 111 comma VII, secondo periodo ("Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra").
Anche l'art. 11, frainteso nella sua effettiva portata dai pacifisti all'italiana, contempla ed ammette la guerra, a due condizioni. La prima: non può muoversi guerra per attentare alla libertà di altri popoli. Pertanto, può muoversi guerra nell'opzione opposta, ovvero quando altri popoli attentino alla sovranità dello stato italiano. La seconda: non è ammessa la partecipazione ad una guerra scelta quale mezzo risolutore di una controversia internazionale. Condizione, questa, che postula l'effettiva ed efficace operatività di un "ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni", e che dunque si occupi di dirimere le controversie internazionali principalmente in forza di strumenti negoziali.
Il richiamo è all'Organizzazione delle Nazioni Unite, nata dal secondo conflitto mondiale nel giugno del 1945, sulle ceneri della fragilissima Società delle Nazioni, parimenti finalizzata -sulla carta- a prevenire conflitti bellici su scala internazionale.
L'Italia vi partecipa dal 1955, ma detta partecipazione non sembra godere di una "copertura" costituzionale adeguata. Difatti, sempre l'art. 11 della Carta Costituzionale, laddove ammette limitazioni di sovranità funzionali all'operatività di un "ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni", subordina detto fenomeno alla sussistenza di "condizioni di parità con gli altri Stati". Circostanza, questa, palesemente smentita dalla perduranza, in capo ai cosiddetti "membri permanenti" (Cina, Russia, Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna), del potere unilaterale di paralizzare l'adozione di deliberazioni da parte del Consiglio di Sicurezza. Potere il cui arbitrario esercizio, da parte dell'ex Unione Sovietica, ha impedito per ben cinque volte (dal 1948 al 1955) l'ingresso dell'Italia nell'Organizzazione stessa.
Quindi, non sufficientemente garantite le invocate condizioni di parità, l'Italia è sì parte dell'O.N.U., ma sostanzialmente in contrasto con i postulati dell'art. 11 della Costituzione. Ciò rende il nostro Paese, nell'ambito della comunità internazionale rappresentata in sede O.N.U., soggetto ai desiderata degli stati membri permanenti, ed a costoro subalterno. Maggiormente rispetto agli Stati Uniti, invero, attesa anche la progressiva affermazione ed espansione internazionale del cd. "Patto Atlantico" (N.A.T.O.), il quale -operante spesso di concerto con l'O.N.U.- negli ultimi decenni si pasce, ad Est, delle organizzazioni statuali già parte del correlativo "Patto di Varsavia" (non più in essere dal 31 marzo 1991) e già membri della disciolta Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche.
L'aggressione russa all'Ucraina rappresenta l'ultimo e sanguinoso banco di prova, rivelatore della già nota disfunzionalità dell'Organizzazione delle Nazioni Unite. In forza del suddetto sciaguratissimo "diritto di veto", qualsivoglia determinazione intrapresa dal Consiglio di Sicurezza, in senso contrario alla posizione della Russia, sarebbe da quest'ultima immediatamente paralizzata. Dunque, per garantire una funzionalità ad hoc al Consiglio di Sicurezza, si dovrebbero innanzitutto creare le condizioni per neutralizzare e sterilizzare la posizione della Russia, per il tramite dell'espulsione di quest'ultima dall'Organizzazione. Strada difficilmente praticabile, giacché l'espulsione di uno stato membro soggiace (ai sensi dell'art. 6, Capo II della Carta O.N.U.) ad una preventiva ed iniziale raccomandazione del Consiglio di Sicurezza: organismo paralizzato -come si diceva poc'anzi- da un eventuale esercizio del diritto di veto da parte della Russia.
Quindi, stante l'incapacità dell'O.N.U. di fronteggiare, anche militarmente, l'aggressione russa a danno dell'Ucraina, decade -di fatto- la seconda condizione cui l'art. 11 della Costituzione subordina la partecipazione ad un evento bellico: tanto, dacché -oggigiorno- non c'è un'organizzazione internazionale (ben individuata) che possa garantire la risoluzione della controversia in atto tramite lo strumento negoziale. Né ciò rientra nelle finalità istituzionali del Patto Atlantico, nato in funzione di una difesa militare comune (mutuo soccorso), principalmente in caso di aggressione ad uno stato membro da parte di un terzo.
Disfunzionale l'O.N.U. e necessariamente inoperante (rebus sic stantibus) la N.A.T.O., l'Italia mai potrebbe sua sponte intraprendere un'autonoma ed individuale scelta di cobelligeranza diretta al fianco dell'Ucraina, ostandovi la prima condizione posta dall'art. 11 della Carta Costituzionale, in assenza di un attacco militare diretto alla sovranità dello stato italiano.
Tuttavia, la scelta italiana di sostenere la difesa militare dell'Ucraina (in unità di intenti con numerosi altri stati dell'Unione Europea) per il tramite dell'invio di armamenti, ben potrebbe essere intesa quale espressione di una volontà indirettamente cobelligerante, pur in difetto di una dichiarata partecipazione militare diretta. A ben vedere, nel momento in cui uno stato fornisce armi ad un altro stato, agevolandone le attività militari di difesa in un contesto bellico, non può l'ausiliatore essere considerato neutrale; e se non è neutrale, in un contesto bellico, è da considerarsi di fatto cobelligerante. Tanto, ben potrebbe (e può) esporre l'Italia ad eventuali iniziative ritorsive -anche sul piano strettamente militare- da parte della Russia (ipotesi che parrebbe tuttavia remota, dal momento che in un'evenienza del genere, la reazione militare del Patto Atlantico genererebbe un conflitto su scala mondiale dall'imponderabile esito).
Tale scelta intrapresa dal governo italiano, come detto, non trova un'adeguata "copertura" costituzionale. Né l'attacco russo può essere inteso quale aggressione indiretta alla sovranità dello stato italiano, a meno che non s'intenda affermare -ma l'asserzione è tutta da dimostrare- che l'Ucraina sia sede di interessi di fondamentale importanza per l'esistenza stessa dello stato italiano. Così non è; né può francamente sostenersi che l'Ucraina sia compartecipe della sovranità internazionale dell'Unione Europea, non facendovi formalmente parte quantunque vi aspiri.
Dunque, la posizione italiana -di fatto- si pone al di fuori delle possibilità operative riconosciute e dalla Costituzione, e dai principali manufatti normativi internazionali. E' una posizione unilaterale (quantunque condivisa, come detto, dai principali partners europei e dagli Stati Uniti) che ha l'unica finalità (parimenti condivisa) di contribuire a garantire la stabilizzazione del processo di rafforzamento del Patto Atlantico sul confine orientale: processo il cui propulsore, come detto, è da rinvenirsi nella progressiva liquefazione del Patto di Varsavia, e nella polverizzazione geopolitica dell'ex Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Sostanzialmente, si tratta di una posizione che non sarebbe ipotizzabile se non nell'ambito e nel contesto della partecipazione italiana al Patto Atlantico. Il quale, pur non potendo intraprendere, come ente N.A.T.O., azioni militari dirette sul territorio dell'Ucraina, interviene indirettamente per il tramite del sostegno militare fornito all'Ucraina dai principali paesi membri; pronto a difendere militarmente questi ultimi, nel caso si verifichino atti ritorsivi (quantunque remoti) ad opera della Russia.
Deriva quantomai rischiosa, in ragione dell'imponderabile esito.
Perciò, occorre fortemente che quella parte della comunità internazionale costituita da paesi attualmente neutrali (l'Italia non fra questi), favorisca con ogni legittima e opportuna iniziativa l'apertura di un tavolo negoziale, finalizzato all'adozione di un "lodo arbitrale" in grado di contemperare, da un lato, le esigenze della Russia di non sentirsi minacciata dall'espansione ad est del perimetro del Patto Atlantico, e dall'altro la parimenti legittima aspirazione autodeterminista dell'Ucraina ad essere un paese filoeuropeo, e definitivamente affrancato -sul piano della sovranità esterna- dalla longa manus russa.
Quand'anche detta soluzione dovesse comportare cessioni territoriali in favore della Federazione Russa.
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