Gli oltre due anni trascorsi hanno segnato duramente la vita di tutti. Una condizione che, come abbiamo avuto modo di raccontare, è stata particolarmente difficile per chi ha vissuto questo periodo dentro le carceri.
A distanza di alcuni mesi, quale sia la situazione nelle carceri italiane ed europee nella fase post pandemica è una domanda che rimane sottotraccia nel dibattito pubblico. Come purtroppo accade spesso su questo tema, le questioni legate alla vita dei detenuti riemergono solo in occasione di proteste o fatti di cronaca, come quelli avvenuti di recente nel carcere di Cremona.
Attraverso i dati disponibili, raccolti dalle istituzioni pubbliche e anche dalle associazioni attive sul tema, abbiamo provato ad approfondire meglio, concentrandoci su 2 aspetti. La questione del sovraffollamento, che sembra tornare centrale con la fine dell’emergenza. In secondo luogo, le morti in carcere, in particolare i casi di suicidio. Un problema da non sottovalutare visto l’impatto della crisi pandemica sulle condizioni dei carcerati e anche dal punto di vista della salute mentale.
Alla vigilia della pandemia, erano 10 gli stati Ue caratterizzati da sovraffollamento delle carceri. Tra questi, l’Italia spiccava come uno dei sistemi penitenziari europei più problematici. Il dato italiano era infatti il
secondo peggiore in Ue, con circa 120 detenuti ogni 100 posti disponibili. Una quota superata negativamente solo da Cipro (134,6 su 100), mentre il paese con il minor numero di detenuti effettivi rispetto ai posti disponibili all’inizio del 2020 era la Germania (69 su 100).
La pandemia ha completamente sconvolto tale assetto, data l’incompatibilità tra una situazione di sovraffollamento e le politiche di contenimento del contagio. Ciò ha portato i diversi paesi europei ad adottare un mix di misure: talvolta deflattive, per ridurre il numero di detenuti tra i reati meno gravi, più spesso restrittive, come la sospensione dei colloqui e degli ingressi esterni di persone con cui i detenuti svolgevano attività lavorative, educative, formative e ricreative. Tali misure, come sottolineato dalle associazioni per la tutela dei diritti dei detenuti, sono state molto spesso di natura emergenziale, contribuendo al peggioramento della condizione di vita in carcere.
In Italia, una misura deflattiva è stata applicata nei casi di pene inferiori ai 18 mesi (anche come periodo residuo di una sentenza più lunga). Il decreto legge 18/2020 ha infatti previsto il trasferimento in strutture di assistenza e cura o direttamente presso l’abitazione del detenuto, con una serie di esclusioni, ad esempio per motivi disciplinari e di pericolosità sociale. In conseguenza di questa misura, il tasso di occupazione degli istituti penitenziari è diminuito rapidamente. Passando dai 120 detenuti ogni 100 posti rilevati a febbraio 2020 a 114 nel mese successivo, per poi scendere ulteriormente sotto quota 110.Su questa quota, compresa tra 105 e 108, si è attestata per tutti i mesi successivi, fino ad arrivare alla cifra attuale: i 107,7 detenuti ogni 100 posti rilevati alla fine dello scorso maggio.
Una riduzione del sovraffollamento che però non è esente da diverse criticità. In primo luogo, perché nel confronto europeo l'Italia resta - anche dopo le misure adottate - uno dei paesi dell'Unione in cui il problema rimane più cogente. Nell'ultimo rapporto annuale Space I - il documento prodotto dal consiglio d'Europa per confrontare la condizione carceraria nei diversi paesi - l'Italia compare ai primi posti in Ue per tasso di affollamento.
Analizzando l'andamento in valori assoluti, infatti, si nota come dagli oltre 60mila detenuti del dicembre 2019 si sia scesi a 53mila l'anno successivo. In seguito il dato sembra essere tornato a crescere, seppur lentamente. Il 31 dicembre dell'anno scorso le persone in carcere (comprese quelle in semilibertà) erano 54.134. Sei mesi dopo sono oltre 600 in più. Erano infatti 54.771 il 31 maggio scorso, ovvero il 2,1% in più rispetto allo stesso mese del 2021 e il 2,7% in più del maggio 2020.
Variazioni ancora apparentemente limitate, ma che delineano una tendenza chiara, coerente con quanto segnalato dalle organizzazioni per i diritti dei detenuti.
Tali variazioni dovranno continuare ad essere monitorate, in primo luogo in relazione all'evoluzione dei contagi nei prossimi mesi. In generale, a prescindere dalla pandemia, perché il sovraffollamento è un indicatore importante per la qualità della vita negli istituti penitenziari.
La detenzione è già di per sé una condizione problematica e drammatica, tanto per l'esperienza della vita in carcere, quanto per le gravi difficoltà di reinserimento nella società una volta usciti. Il sovraffollamento in questo senso forza i detenuti a condividere uno spazio più ristretto, peggiorandone ulteriormente la qualità della vita.
Pochi dati mettono il luce il disagio delle carceri come quello dei suicidi, un dramma che coinvolge sia i detenuti che gli agenti di custodia. Nei suoi rapporti annuali, il consiglio d'Europa ha più volte classificato il nostro paese tra quelli dove l'incidenza del fenomeno dei suicidi risulta più elevata rispetto alla media. È stato così negli anni precedenti il Coronavirus (2018, 2019), ma la tendenza si è purtroppo confermata nel corso dell'emergenza.
Nel 2020, primo anno di pandemia, il dato nazionale non solo si è confermato tra i più elevati a livello Ue. Ha anche registrato un nuovo picco nella serie storica degli ultimi anni, superando i 60 suicidi annui. Una soglia superata in precedenza nel 2018 (61 suicidi anche in quell'anno), nel 2011 (63), nel 2001 (69) e nel 1993 (61).
I 57 suicidi in carcere avvenuti nel 2021 segnalano una situazione ancora preoccupante nelle carceri italiane, nella fase di uscita dall'emergenza Covid.Se si confronta il numero di suicidi con la popolazione carceraria, negli ultimi anni il rapporto ha quasi sempre superato i 10 suicidi ogni 10mila detenuti mediamente presenti. Così nel 2018 (10,4 casi ogni 10mila detenuti), nel 2020 (11) e nello scorso anno.
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