Secondo un’antica tradizione, ogni 2 febbraio gli uomini “che vivono e sentono come donne” vanno in pellegrinaggio al santuario della Madonna di Montevergine: un’abitudine fatta propria dalle moderne associazioni LGBT. Quella alla Madonna di Montevergine è una delle devozioni più sentite in Campania. ll 2 febbraio, giorno della Candelora, la prima delle quattro grandi festività mariane – secondo una classificazione che risale al VII secolo ai tempi di Sergio I – si apre il pellegrinaggio tradizionale al santuario sul monte Partenio. In tale occasione cade anche la cosiddetta juta (andata, ndr) dei femminielli: realtà collettiva propria del milieu partenopeo e delle zone limitrofe, essi possono definirsi quali uomini “che vivono e sentono come donne”. Realtà, questa, quanto mai antica e in via d’estinzione che, secondo categorie attuali, può essere accostata all’universo del transgenderismo.
Anche da Pomigliano d’Arco, uno dei maggiori esponenti della cultura popolare, Marcello Colasurdo, ha da anni considerato questa “juta” uno dei maggiori momenti di una tradizione che, di fatto, concretizza una realtà LGBT che nel napoletano ha sempre rappresentato una sorta di apparente normalità, ma che, tuttavia, non è stata esente da repressioni e denigrazioni, come nel resto di Italia e nel mondo.
La storia dei movimenti di liberazione sessuale e dei diritti civili in Italia nasce negli anni 70 con la costituzione del Fuori! Era un’associazione vera e propria con dei legami forti con il Partito Radicale – che era una spalla forte per tutta una serie di categorie sociali e di battaglie civili – ma non era l’unica esperienza. Tutto era in nascita e in crescita in quegli anni, c’era un potenziale da sviluppare che non si era ancora delineato in associazioni o in aree come oggi, era una sorta di brodo primordiale che raccoglieva varie e diverse sfaccettature.
Era un movimento politico e culturale più ampio del solo mondo LGBT: in quegli anni, nacquero moltissime altre esperienze – collettivi e gruppi informali – che avevano le loro finestre sul mondo e contribuivano al dibattito. C’era “Re Nudo” – un giornale di contro-cultura nato a Milano che organizzava ogni anno il festival al parco Lambro – su cui scrivevano Mario Mieli e Alfredo Coen. Sulle pagine di “Re Nudo” c’era un dibattito accesissimo su sessualità e omosessualità e un dialogo serrato tra le istanze del femminismo e il movimento di liberazione gay: per esempio proprio di recente mi è capitato sotto mano un numero in cui c’era un botta e risposta tra Mario Mieli e Lea Melandri su questi temi.
E basta dare uno sguardo alla pagina gay di Lotta Continua, che usciva il giovedì, per vedere quanti e diversi collettivi e gruppi c’erano all’epoca. Alla fine degli anni ’70 in tutta Italia era un fiorire di collettivi che si collocavano all’interno del movimento antagonista: a Roma fu l’avvio con il Circolo Narciso (poi diventato Mario Mieli). A Milano c’era l’esperienza delle case occupate di via Morigi dove nacquero i COM – Comitati Omosessuali Milanesi – mentre a Torino, oltre al Fuori! c’era Lambda che pubblicava un foglio di cultura omosessuale. E poi a Trapani, a Bari, a Potenza, a Lecce, a Cremona, a Verona, ovunque, anche al sud e nelle città di provincia, nascevano esperienze testimoni di una ricchezza che oggi potrebbe sembrare impensabile.
Come negli Stati Uniti il Gay Liberation Front era intrecciato con le Black Panthers e il movimento delle donne, la stessa cosa succedeva in Europa con sfumature diverse. C’era un confronto profondo – che talvolta diveniva scontro – tra il movimento della sinistra extraparlamentare, il movimento femminista e il movimento gay. Il femminismo, in particolare, è stato un interlocutore molto importante per articolare il discorso e le lotte sulla sessualità e la liberazione.
Se del movimento degli anni ’70 ciò che ha avuto più visibilità è stata la componente marxista, l’operaismo e il movimento contro le ingiustizie globali, dentro di esso trovarono spazio movimenti e istanze su ‘ingiustizie specifiche’: quelle gay, lesbiche e trans, quelle femminili, ma anche quelle sulla salute mentale per esempio. Il filo conduttore era una forte spinta culturale per emanciparsi da un modello sociale oppressivo e costruire dei nuovi spazi di libertà per tutte e tutti.
La vera battaglia era per la propria liberazione. All’epoca ancora non esistevano contorni definiti dei diritti come li intendiamo oggi. Si usciva da secoli di negazione, d’invisibilità e di ‘non vita’, mentre con questo movimento si cominciava ad essere visibili, a riprendersi la parola e la vita. Bisogna ripensare al contesto di quegli anni: l’ultimo processo per plagio è quello di Aldo Braibanti del 1969 che venne arrestato dopo una denuncia da parte della famiglia del suo giovane fidanzato di allora.
Nel 1972 il convegno contestato dal Fuori! era un convegno di sessuologi che discuteva dell’omosessualità come di una malattia da curare. Il primo coming out trans in Italia per rivendicare questo diritto è la manifestazione all’idroscalo di Milano del 1979 dove un gruppo di trans si presentò a seno nudo dichiarando che, se per la legge erano identificati come maschi, allora si sarebbero comportati come tali indossando solo gli slip. Da lì anche il mondo trans ha iniziato a farsi spazio in quel contesto articolato di movimento di cui parlavamo prima, non senza conflitti, soprattutto con il movimento femminista. Non ci fu la capacità di capirsi da ambo le parti: le femministe non colsero la possibilità di decostruzione dei modelli di genere dominanti a cui apriva l’esperienza trans, mentre le trans faticarono a mettere in discussione quell’identità di donna in cui si riconoscevano.
Oggi, la fase attuale è passata attraverso un riconoscimento politico di esperienze e di realtà da parte delle istituzioni. Le istituzioni, i partiti, i sindacati hanno cominciato a prendere in considerazione le istanze e le esigenze LGBT, da un lato perché con il movimento si era prodotto un cambiamento culturale; dall’altro perché i numeri crescevano e non era più possibile fare finta che le persone gay, lesbiche e trans non esistessero. Detto questo non si tratta di un rapporto sempre semplice con le istituzioni e la legittimità delle rivendicazioni LGBT deve essere ogni volta negoziata e ridefinita ancora oggi.
di Giovanni Passariello - Partito Radicale
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