La Balena Bianca dei tempi d'oro
Nell’attuale stagione della politica, sovente, la vulgata politico-giornalistica vede rinascite centriste che potremo definire “democristiane” quasi ovunque. Vi arruola i singoli dirigenti ex democristiani collocati in tutte le galassie politiche.
Sarà il caso di tentare di mettere un po' d’ordine. In effetti tra reduci, nostalgici, imitatori, l’Italia sembra annoverare più democristiani oggi che per lo passato, quando la DC c’era e contava. Alcuni lo sono davvero. Altri lo sembrano. Altri ancora lo vorrebbero essere.
E moltissimi, i più, lo sono solo in parte. Può sembrare il copione di un’eredità spartita e contesa. Ma probabilmente è qualcosa di più. Trapiantata nella cd. Seconda Repubblica, quella che una volta si chiamava la questione democristiana sta diventando l’enigma della nostra collettiva identità politica. Tentiamo di riannodare il nastro della storia politica centrista degli ultimi anni. La prima DC è quella di una volta.
E’ la grande area centrista che chiama a raccolta tutte le specie diverse. Nega ogni verità all’eresia politica maggioritaria, mette al bando la divisione bipolare, cerca di riguadagnare il centro di una volta. La seconda DC è quella che ha piantato le sue tende nell’accampamento del Polo, e che vi ha trovato la maggioranza dei suoi elettori di un tempo. Fa riferimento in primo luogo a Ccd e Cdu. Concilia Cossiga e Berlusconi. Esprime il moderatismo democristiano, la diga costruita nel 1948 per fronteggiare il pericolo rosso, la scelta occidentale. Più pragmatica che ideologica.
La terza DC è quella che il 21 aprile 1996 ha fatto vincere l’Ulivo. E’ quella del PPI, di Dini e Prodi. Cerca di conciliare De Gasperi e Dossetti, aggrappandosi alla definizione di un “partito di centro che guarda a sinistra “. Questa terza DC è ulivista in parte per necessità e in parte per convinzione. La quarta DC è invece quella del 1999 di D’Alema. Tradisce l’ambizione del Pds di porsi anch’esso al crocevia della centralità politica, e di regolare da quella confortevole posizione strategica il nuovo sistema delle relazioni sociali e di potere.
Un partito egemonico, capace di offrire la concertazione ai sindacati, la rottamazione delle auto usate agli industriali, buone parole ai ceti medi. Una DC, quest’ultima, che tratta con straordinaria attenzione i democristiani alleati, ma pensa, poco alla volta, di sostituirsi ad essi nel ruolo di mediazione storica tra le mille differenze nell’Italia contemporanea.
Negli anni successivi si alterneranno al governo del Paese Berlusconi, Prodi, Monti, Renzi, Gentiloni e fino ai nostri tempi Conte e Draghi.
Per chi come me, per convinzione e militanza, si sente ancora democristiano contesto ritenendola abusiva l’etichetta democristiana appiccicata con tanta disinvoltura alle tante operazioni e tentativi maldestri e miseramente falliti di riproporre una presenza politica cattolica, popolare e liberale nel sistema politico italiano. Diciamolo la DC -quella vera- è stata l’unità politica dei cattolici, l’anticomunismo, la scelta convinta dell’Alleanza atlantica e dell’Unione Europea, la capacità di gestire e orientare le relazioni sociali e lo sviluppo in una ottica solidaristica del bene comune e della giustizia sociale, costruendo una virtuosa cinghia di trasmissione tra lo Stato e le organizzazioni rappresentative del mondo della produzione e del lavoro.
Eppure, oggi assistiamo a laconici tentativi di organizzare sigle o movimenti centristi nei quali si vanno misurando veterani e neofiti. Ritengo che a tali tentativi manca una sana e concreta capacità di mediazione e tessitura interpretata nella chiave della moderazione. La costruzione di un’area politica moderata ancorata alla tradizione cristiano sociale e liberale ve tenuta prudentemente lontana dalle suggestioni radicali, da parole d’ordine troppo forti e dovrà fungere come un lungo ponte tra opinioni e interessi irriducibili l’uno dall’altro.
A mio parere la costruzione di un’area centrista necessita preventivamente una intensa semina e un cambio di passo nella società italiana, in un orizzonte europeo e internazionale costruendo una proposta che chiami in causa tre binomi fondamentali: cultura e formazione, solidarietà e sussidiarietà, diritti e doveri.
Vi è la necessità, se non l’urgenza, di aprirsi sui territori e nelle comunità con maggiore coraggio e direi sfrontatezza, imporre una nuova agenda politica che contempli al primo posto la cultura della vita da accogliere, tutelare, curare e accompagnare in ogni sua stagione; c’è inoltre bisogno di porre in primo piano la famiglia rendendo conciliabili tra loro la dimensione professionale e lavorativa e quella domestica. Ricostruire la scuola e l’università in modo che sappia rispondere alle sempre più impegnative esigenze del mondo del lavoro. Auspicare una sanità e i servizi sociali degni di uno Stato sociale moderno e più equo.
Mi piace concludere con le parole pronunciate dal Segretario di Stato Card. Pietro Parolin il 9 marzo scorso all’Angelicum di Roma in occasione del convegno “Sui Tetti” che ha insistito su tre parole “Ragionevolezza, Dignità e Bellezza” che dovranno costituire i tre cardini su cui i cattolici potranno ispirare pensieri e opere in seno alle comunità, non soltanto a livello privato, ma anche pubblico e politico.
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