Nel contesto europeo, l’Italia è uno dei paesi con il minor tasso di giovani laureati, o di persone che comunque dispongono di un titolo di studio assimilato, di livello terziario.
A fronte di una media del 41,2% di giovani europei con un titolo di studio di livello terziario, che comprende percorsi come quello universitario o in istituti tecnici superiori, nel nostro paese la quota si attesta al 28,3%. Si tratta del secondo dato peggiore dopo quello della Romania (23,3%).
Incrementare la quota di laureati rappresenta una sfida cruciale per i prossimi anni. In un mondo del lavoro sempre più competitivo aumenta il livello di conoscenza richiesto per essere occupati, e con esso l’importanza del percorso di studi. Maggiori competenze consentono ai singoli individui di aspirare a migliori posizioni lavorative, riducendo il rischio di ricadere nell'esclusione sociale. Una questione ancora più centrale nel contesto post pandemico che stiamo vivendo.
Per questo motivo, nel 2021 l'Ue ha innalzato gli obiettivi educativi da raggiungere in questo decennio, anche nell'istruzione terziaria. Inoltre, uno dei punti più qualificanti del Pnrr è proprio l'investimento sul sistema degli Its (su cui nel mese scorso è intervenuta l'approvazione di una legge apposita) per incrementare il numero di giovani che hanno accesso a una formazione di alto livello. Per l'Italia, recuperare il divario con gli altri paesi Ue significa anche fare i conti con i divari interni oggi esistenti in termini di accesso all'istruzione terziaria.
L'Italia presenta forti differenze territoriali in termini di accesso ai percorsi di istruzione, dai primi anni di vita del bambino per proseguire in tutti i livelli successivi. Lungo tutto il percorso di studi, il ritardo del mezzogiorno è spesso un elemento ricorrente. Nelle regioni meridionali è generalmente più bassa l'offerta di posti nido e del tempo pieno, nonché di strutture scolastiche come mense e palestre. Mentre sono più frequenti la dispersione scolastica e i bassi apprendimenti.
Non fanno eccezione gli indicatori sull'istruzione terziaria. Nell'Italia meridionale, dove già sono di meno i ragazzi che raggiungono il diploma, meno della metà dei neodiplomati si iscrive all'università. Nel 2019 sono stati il 47,5% del totale sia nel sud continentale che nelle isole. Una quota inferiore rispetto alla media nazionale (51,4%), nonché al dato del nord (53,5%) e del centro Italia (55%). A livello regionale, escluso il Trentino Alto-Adige - il cui dato non tiene conto delle migliaia di giovani iscritti nelle università austriache - agli ultimi posti compaiono Sicilia (46,6%) e Campania (43%).
Nel mezzogiorno, le province in cui meno del 50% dei neodiplomati si iscrive all'università salgono a oltre una su 2. Nessuna provincia campana e siciliana, in particolare, raggiunge la quota del 50%.
Come conseguenza, anche la quota di giovani laureati è più bassa nell'Italia meridionale. Nel 2021, la percentuale di residenti tra 25 e 34 anni laureati o con altri titoli terziari è stata pari al 24,3% al sud e al 20,6% nelle isole, a fronte di una media nazionale del 28,3%.
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