I problemi che le comunità locali debbono oggi affrontare sono assai complessi e spesso richiedono di essere affrontati con la collaborazione e l’impegno consapevole di tutti i cittadini: di ciascuna famiglia, di ciascun abitante.
Si pensi ai problemi dell’ambiente, della salute, della sicurezza... Ma questo è possibile solo se le persone che abitano un territorio sono coinvolte nell’analisi dei problemi, nell’elaborazione delle possibili soluzioni e soprattutto nella scelta delle risposte.
Ci sono alcune domande che spesso la gente si pone, guardando la mala gestione del proprio comune. Alcune sono davvero puntuali e le risposte danno la concretezza di una realtà difficile.
Ad esempio, gli amministratori sono stati delegati a governare dai cittadini, che si sono espressi in tal senso con elezioni democratiche. Ma, allora, perché il Sindaco e la Giunta ridanno la parola agli abitanti invece di decidere?
Ancora, urbanisti ed architetti hanno la professionalità per progettare sulla base degli orientamenti espressi dall’Amministrazione comunale. Perché non progettano? Che ne sanno di urbanistica i cittadini che non sono esperti?
Le risposte a queste domande sono ardue, ma indubbiamente adeguate.
Tanto per cominciare, è evidente che la democrazia rappresentativa funziona proprio così: il Sindaco e la Giunta scelti dai cittadini con le elezioni amministrative hanno il potere di prendere decisioni e di governare nell’ambito delle regole democratiche previste nel nostro Paese, in costante relazione col Consiglio comunale, che rappresenta tutti i cittadini di un territorio.
Gli Amministratori pubblici dialogano abitualmente anche con i rappresentanti di “associazioni”, che rappresentano importanti interessi e punti di vista particolari, nell’ambito di incontri di “concertazione”.
Tutto questo è indispensabile, ma in una democrazia matura non è sufficiente.
I problemi che le comunità locali debbono oggi affrontare sono assai complessi e spesso richiedono di essere affrontati con la collaborazione e l’impegno consapevole di tutti i cittadini: di ciascuna famiglia, di ciascun abitante.
Si pensi ai problemi dell’ambiente, della salute, della sicurezza... Ma questo è possibile solo se le persone che abitano un territorio sono coinvolte nell’analisi dei problemi, nell’elaborazione delle possibili soluzioni e soprattutto nella scelta delle risposte.
Per questa ragione ci sarebbe bisogno di un progetto che crei le condizioni per dare la parola a cittadini, con particolare attenzione a chi non ha occasioni di partecipare o interviene meno di altri al dibattito pubblico, come ad esempio i ragazzi (che sono cittadini di diritto anche se non votano) o le donne (spesso impegnate in lavori di cura che non lasciano loro tempo per altro), che hanno così l’occasione per intervenire rappresentando se stessi, portando all’interno del dibattito la loro esperienza quotidiana, le preoccupazioni, le idee e i desideri.
L’intervento dei cittadini propone lo sguardo di chi abita il territorio, lo vede dal basso e ha l’esperienza della vita quotidiana. Un’esperienza che non sostituisce affatto la professionalità dei tecnici, ma può aiutarli a vedere o a meglio comprendere aspetti della vita di una città e di un territorio, che le indagini urbanistiche e lo studio delle carte possono non cogliere appieno.
I cittadini, quindi, non si sostituiscono né ai politici né ai tecnici. Gli amministratori pubblici restano responsabili delle scelte politiche, delle strategie e delle linee di indirizzo adottate, mentre i tecnici elaborano i progetti esecutivi di cui sono pienamente responsabili.
I cittadini, da parte loro, interpretano appieno il ruolo di dialogo che loro compete, aspettandosi che tecnici e amministratori li ascoltino e recepiscano, almeno in parte, le loro istanze. E pensano anche che, laddove le loro richieste e proposte non possano essere accolte, l’Amministrazione dialoghi con loro, spiegando e argomentando le ragioni delle scelte conclusive operate.
Quando questo processo di dialogo funziona correttamente, si creano le condizioni per accrescere la fiducia reciproca e per costruire nuove forme di impegno civile a tutela del bene comune, che va preservato con l’impegno quotidiano di tutti gli abitanti.
Ora, per entrare nel concreto, a Pomigliano d’Arco, così come nella maggior parte dei comuni dell’area vesuviana, sarà così?
Francamente, l’analisi della governabilità amministrativa in centri medio-piccoli (ma anche nei grandi comuni, seppur in parte) si regge su un paradosso collettivo: io faccio un programma del tutto apparente, ma chi mi sostiene con il proprio voto sono famiglie, parentele che cercano di avere voce in capitolo al fine di raggiungere obiettivi personalistici, come ad esempio il pezzo di terreno di “zio Nicola o di nonna Maria” che da agricolo deve diventare edificabile, oppure il diniego ad un miglioramento stradale che andrebbe ad inficiare un’attività commerciale, o, ancora, la richiesta impossibile di fermare l’inquinamento, senza tuttavia, imporre una limitazione veicolare finalizzata alla pedonalizzazione completa di talune strade.
Ebbene, in questo contesto non esistono ideologie, valori generali, ma solo ed esclusivamente la sopravvivenza a tutti i costi, sopravvivenza che può finire solo con l’alterazione dei rapporti interni ad una maggioranza. La contrattazione ed il compromesso sono essenziali nella continuità, ma non sempre si possono raggiungere, proprio perché gli interessi sono opposti, non a favore della collettività, ma a tutela delle famiglie che hanno votato la maggioranza, esattamente come è accaduto un mese fa a Pomigliano d’Arco.
Un sindaco, una giunta, una maggioranza cadono perché non si ha la capacità di gestire l’ingestibile.
L’alternativa, non c’è, o se c’è dovrebbe avere una sola caratteristica: nascondere il “favoreggiamento” con una progettualità finalizzata al miglioramento di servizi, come è accaduto decenni orsono, a Pomigliano, con la metanizzazione, la raccolta differenziata e qualche altra cosa importante.
Oggi, ad esempio, il dibattito è incentrato sull’ambiente, che a Pomigliano soffre di polveri sottili, anche a causa anche di una geolocalizzazione all’interno di una sorta di grande valle dove, purtroppo, da millenni, non circola adeguatamente un flusso di aria atto a riciclare in natura l’aria sporca. L’alternativa sarebbe di pedonalizzare o limitare la circolazione su arterie di passaggio, ma l’insurrezione sarebbe alle porte. Che fare, allora?
La verità è insita nel coraggio. Un coraggio che spesso manca per paura di inficiare il consenso che si è avuto.
Assistere, come in questi giorni, a pseudo colloqui con la gente - che comunque, non si contraddistingue per grande partecipazione - da parte di una vecchia sinistra che fa del populismo la sua bandiera, determina solo una tragica carenza di idee e, soprattutto, di coraggio nell’affrontare e nel volere un “cambiamento” che, nei fatti, sarà impossibile.
La speranza che è che il coraggio di governare un comune, di gestire un’amministrazione prevalga sugli interessi che una piccola parte della popolazione, chiamata in causa dalla demagogia populista, vorrebbe realizzati a scapito della collettività.
E questo coraggio dovrà essere incarnato soprattutto nell’esperienza storica e politica di chi ha saputo raggiungere dei risultati concreti.
di Giovanni Passariello
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