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Gas, eppure potremmo essere indipendenti se solo si mettesse da parte la retorica

Felice Massimo De Falco • 5 maggio 2022

Gas, eppure potremmo essere indipendenti se solo si mettesse da parte la retorica

Il conflitto in Ucraina, con tutto il contorno di sanzioni, ha fatto emergere il problema della dipendenza di molti Paesi dal gas russo. Anche l’Italia sta affrontando la questione di come ridurre l’import di questa materia prima. Gli accordi con altri fornitori sono una strada, così come sul lungo periodo l’aumento delle rinnovabili. Ma per quanto riguarda il gas, si può pensare di sfruttare meglio la produzione nazionale?


In base agli ultimi dati del Ministero dello Sviluppo Economico (MISE), nel 2021 l'Italia ha estratto 3,34 miliardi di metri cubi di gas naturale, mentre il consumo è attestato a 76,1 miliardi di metri cubi.

Il Pitesai, sigla che si riferisce al Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee, rileva che i principali giacimenti di gas in Italia si trovano nel Mar Adriatico, soprattutto davanti alle coste dell'Emilia Romagna, delle Marche, dell'Abruzzo e del Molise.


Ce ne sono altri nel Canale di Sicilia, tra cui due giacimenti su cui si punta molto per il prossimo futuro, Cassiopea e Argo, che potrebbero raggiungere la piena operatività nel 2024. Altre grandi riserve, non conteggiate una decina d’anni fa, oggi sono previste sotto il fondale dello Ionio e sotto il mare a nord-ovest della Sardegna.

L’utilizzo di questi giacimenti potrebbe portare a breve la produzione interna a oltre 5 miliardi di metri cubi di gas estratti. Secondo le stime del MISE nel sottosuolo italiano ci sarebbero 350 miliardi di metri cubi di gas naturale, tra riserve confermate e potenziali.


Il dato certo si attesta tra i 70 e i 90 miliardi di metri cubi, quanto ne consumiamo in un solo anno. Si stima che aggiornando i pozzi non eroganti e migliorando quelli già operativi si possa arrivare a 10 miliardi di metri cubi l’anno.

In tutto, secondo gli ultimi dati del Pitesai, in Italia ci sono 1.298 pozzi produttivi di gas naturale. Tra questi, 514 sono classificati come “eroganti” e vengono utilizzati per le estrazioni. Più di 750 sono invece “non eroganti”, cioè non attivi. I pozzi possono passare da uno stato all'altro in base all'esaurimento, alla necessità di installare nuove tecnologie e simili. Gli ultimi 32 pozzi hanno invece scopi manutentivi, di “reiniezione e altro utilizzo”.


La regione con più pozzi produttivi ed eroganti in assoluto è l'Emilia Romagna, con 187 installazioni tra giacimenti terrestri e zone marine; seguono la Toscana con 45; la Sicilia con 44; il Molise con 15; la Puglia e le Marche con 12; la Lombardia con 8; la Calabria con 7; la Basilicata con 6; e l'Abruzzo con 1.

Nel mare Adriatico, secondo gli esperti, si potrebbero rimettere in moto velocemente circa 50 piattaforme pronte a fornire circa 3 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Tra questi giacimenti si trova anche “Giulia”, circa a 15 km a largo di Rivazzurra (Rimini), da cui si potrebbero estrarre risorse recuperabili pari a 600 milioni di metri cubi di gas. Attualmente non è in uso, perché manca un collegamento con la terraferma.


Trent’anni fa in Italia venivano estratti fino a 20 miliardi di metri cubi di gas naturale l'anno, ma per molteplici ragioni questa cifra si è ridotta di circa un sesto. A fermare lo sviluppo e la produzione nazionale c’è soprattutto il Pitesai, il programma varato dal primo governo Conte come strategia alternativa alle trivelle per l’esplorazione e produzione di metano.

Il documento impone molti limiti burocratici per le concessioni e gli investimenti su nuovi pozzi. Ora, con questo scenario mutato, si sta pensando di allentare la stretta del dossier con un provvedimento che porti a una deroga per non bloccare gli investimenti fatti nel settore.

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