Dott. Roberti, lei ha letto l’intemerata che ha fatto Alessandro Barbano sull’antimafia ne “L’inganno”, il suo nuovo libro. Definisce l’antimafia come una macchina di dolore umano. Cosa ne pensa?
In passato già ho avuto modo di confrontarmi con Barbano, lui nel precedente libro mi accusò di essere un eversore dell’ordine costituzionale assieme ad Andrea Orlando e Rosy Bindi per aver promosso l’estensione delle misure patrimoniali agli indiziati di partecipazione all’associazione con finalità di corruzione. La mia posizione è molto distante da quella di Barbano, però voglio cogliere in questo secondo libro un aspetto positivo e cioè una segnalazione gli errori che si fanno nell’applicare la legislazione antimafia, però non bisogna esaltare, come fa Barbano solo i casi negativi, perché bisogna anche riconoscere che la legislazione antimafia è uno strumento utile. E’ uno strumento delicato perché affidato alla totale discrezionalità dei giudici. In questo colgo nella denuncia di Barbano un segnale positivo. I sequestri in misura di prevenzione sono uno strumento indispensabile, è vero che la legislazione antimafia è nata sulla scia dell’emergenza, ma la mafia non è un’emergenza, è un dato strutturale della società italiana. Se la forza delle mafie è nelle relazioni che esse hanno nell’ambiente esterno, con l’economia, con la politica o con le professioni, allora bisogna intervenire per reprimere le connessioni all’organizzazione criminale e l’area di contiguità compiacente, e allora bisogna intervenire qui. E’ uno strumento, ripeto, estremamente delicato, difficile da maneggiare e richiede grandissima professionalità da parte del magistrato ma è indispensabile. Dico pure che il giudizio sulla pericolosità dei soggetti e dei patrimoni che gestiscono in quanto contigui alle organizzazioni mafiose deve essere estremamente rigoroso. Non è vero che questo strumento si applica sulla base di meri sospetti, come dice Barbano, perché le misure di prevenzione vanno applicate sulla base di fatti che depongono con rigore probatorio per la contiguità di certi soggetti alle organizzazioni mafiose. Il giudizio di contiguità non è un giudizio fatto a caso ma si fonda su elementi verificati.
Si discute in questi giorni della riforma della giustizia annunciata dal Ministro Nordio. Ne avevamo bisogno?
Che ci sia bisogna di una riforma in termini di efficienza e di efficacia non c’è dubbio, la giustizia deve essere amministrata sempre da giudici autonomi e imparziali e deve essere tempestiva e credibile. Tutte le riforme che vanno in questa direzione sono necessarie. Non tutte quelle scritte, anche dalla ex ministra Cartabia, appaiono dirette a questo risultato, penso per esempio all’improcedibilità del processo per decorso del tempo. Non si può abbattere il carico giudiziario che è enorme uccidendo i processi. Bisogna intervenire e investire sull'organizzazioni e con una seria depenalizzazione. Il ministro Nordio, all’esordio del suo mandato, parlò di depenalizzazione, questa sarebbe una cosa molto importante, ma ora vedo che non se ne parla più e mi dispiace.
Il punto nodale delle parole di Nordio riguarda le intercettazioni. Come le regolamenterebbe?
Il discorso sulle intercettazioni è lo stesso discorso che fa Barbano sulle misure di prevenzione di mafia. Questo strumento c’è ed è indispensabile. Intendo le intercettazioni giudiziarie, quelle autorizzate da un giudice delle indagini preliminari e i cui risultati sono utilizzabili come prova nel processo penale. Una cosa è lo strumento e una cosa è l’uso che se ne fa. Allora non possiamo, come vorrebbe Nordio, ridurre l’area delle intercettazioni, bisogna salvaguardare lo strumento e sanzionare pesantemente chi fa un cattivo uso di questo strumento. Non possiamo buttare il bambino con l’acqua sporca.
Una cosa da sanzionare sarebbe la diffusione sui mezzi di comunicazione delle intercettazioni
Il Ministro trascura che dopo la riforma Orlando del 2017 il regime di utilizzo delle intercettazioni è molto più rigoroso rispetto al passato, quindi la diffusione è sempre più rara. Il Ministro Nordio, essendo un magistrato, saprà distinguere tra strumento e suo uso.
E’ d’accordo sulle separazione della carriera dei magistrati?
Sono assolutamente contrario. Io personalmente ho fatto esperienza di giudice nei primi anni di carriera e poi sono passato all’ufficio del pubblico ministero. Il fatto che il pubblico ministero partecipi della cultura della giurisdizione dei giudici è una garanzia per il cittadino. Il pm deve essere imparziale come il giudice. L’autonomia del Pm deve essere sempre garantita, e può essere garantita solo mantenendo la stessa carriera, con le limitazioni che già ci sono. Perché secondo la riforma Cartabia si può solo una volta passare da una funzione all’altra.
Come ben sa, con Berlusconi abbiamo avuto un ventennio di battaglie tra toghe e politica, Pensa che possa ripetersi con questo governo?
Mi auguro di no, il problema è come diceva Giovanni Falcone: magistratura e politica devono cooperare. Falcone quando andò nel 91’ al Ministero ci andò per cooperare con la sua esperienza di magistrato sul versante legislativo. Ci dovrebbe essere sempre un dialogo leale, corretto e sereno, cosa che non c’è quasi mai. La giustizia non è una funzione di potere ma di servizio, e ognuno deve fare la sua parte. Questo era il grande insegnamento di Giovanni Falcone
Esiste una parte di magistratura politicizzata?
E’ un vecchio discorso: che ci siano giudici che abbiano avuto rapporti non corretti col potere politico purtroppo è vero. Basta citare la vicenda Palamara. Io sono dell’idea che, se tu sei magistrato, non puoi passare dalla funzione giudiziaria a quella politica e poi tornare indietro. C’è un grande problema di rapporti tra politica e giustizia che deve essere disciplinato. Non vedo come con le premesse poste dal ministro Nordio nelle sue dichiarazioni pubbliche, questo problema potrà essere risolto.
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