Fu mattino. E nuovamente mi alzai col pensiero che andò alla telefonata di Claudio non arrivata. Presi il cellulare lo accesi ed attesi invano il bip dei messaggi che arrivano per avvertirti che qualcuno ti ha cercato quando il cellulare è spento. Nulla. Nessun messaggio. Sospirai delusa ma rassegnata e lo appoggiai sulla scrivania mentre di corsa mi precipitavo in cucina per il caffè del risveglio.
Trovai mia madre già sveglia da un po’ ed affaccendata con il pranzo da preparare. Le diedi un bacio. Era così bello trovarla lì e vederle fare le cose di sempre. Mi faceva sentire piccola. Mi accolse col solito sorriso d’amore. “Tieni piccola” disse servendomi una tazza di caffè. “Ci sono delle brioches” aggiunse. Presi il mio caffè ed una brioches vuota. Gli altri erano usciti. Quella cucina aveva un’aria particolare ed una luce luminosa. Mi godetti quel caffè. Diverso dal solito caffè che bevevo sola a Milano. Non mi fece domande particolari quella mattina mia madre. Ma io, mentre bevevo, rimasi incantata a guardarla indaffarata nelle sue cose. Mi immaginavo come lei.
Aveva la solita area eterea. Il sorriso di sempre. Era così dolce e materna che mi sarei rifugiata di corsa nel suo grembo raccontandole di Claudio e di quanta ansia nutrivo a riguardo. Ma decisi di non darle inutili preoccupazioni. Glielo avrei detto qualora io avessi avuto più certezze. Ma in quel momento non era così. Ed evitai. Ad un certo punto mi alzai e mi guardai intorno osservando ogni solita cosa in ogni solito posto. Come se non l’avessi mai vista prima. Non avrei mai lasciato quel luogo. Non avrei mai lasciato lei. Eppure sapevo che quell’istante sarebbe finito presto. Non appena fossi stata chiamata da Milano per il lavoro.
Passarono un paio di giorni. Ormai ero certa e rassegnata che Claudio non chiamasse. Quando invece inaspettatamente in un pomeriggio piovoso mi arrivò un messaggio: “Che fai. Claudio”… fui invasa da ansia… non era lì davanti a me ma mi tremavano le mani al solo pensiero… cosa avrei dovuto rispondere “sono qui che attendo invano un tuo segno e tu ti fai vivo solo ora!” no, non potevo. Mi presi qualche minuto per replicare. Avrei dovuto seguire la teoria di quanti affermano che si risponde ad un uomo almeno un’ ora dopo aver ricevuto un messaggio per dimostrare che non si dipende dal loro volere. Ma non ce la feci. Presi il telefono e cominciai a scrivere… “Allora vediamo gli dico che mi preparo per un aperitivo con Rebecca – pensavo a voce alta - Ma no. Se poi ha intenzione di invitarmi mi sono bruciata la serata. Allora gli scrivo che vado in palestra.
Che cosa banale ma che gli dico?” questa mia indecisione fece trascorrere ben quindici minuti prima di una risposta. Così in maniera semplice scrissi che ero in attesa che venissero da me le mie amiche. Dopo circa un’ora mi scrisse: “ceni da me stasera?” A differenza mia si era preso tutto il tempo lasciandomi come sempre in ansia. Avrei potuto decidere in un nano secondo ma d’un tratto cominciai a pensare che una risposta affermativa avrebbe fatto instaurare un certo tipo di rapporto ossia ci sono non ci sono quando dico io cioè Claudio. Avrei a questo punto dovuto dire no della serie guarda che anche io ho i miei impegni e non corro appena batti ciglio. Ma chi ce l’avrebbe mai fatta e poi chissà quando avrei potuto rivederlo. Risposi seccamente “si”. “vieni tu da me alla 21.00?” – Claudio “Alle 21.00 sarò lì.” – scrissi
Fu da quel momento che ebbero inizio i preparativi. Come sempre chiamai Rebecca in mio soccorso. Stavolta niente tubino ma sobria e semplice era pur sempre una serata in casa. Sapevo già che Rebecca avrebbe voluto vedermi sexy io invece avrei indossato i soliti jeans… trovammo un punto d’incontro: sottana bordata di merletto e pullover.
Scesi di casa alle venti e trenta circa presi la mia macchina una vecchia smart e mi incamminai. Mi fermai per strada per comprare del dolce. Non avrei potuto arrivare a mani vuote. F
ui lì per le venti e cinquanta. Non volevo essere in anticipo e decisi di fumare in auto una sigaretta nell’attesa che trascorressero almeno cinque minuti. Spensi la cicca mi sparai dello spray per alito fresco una spruzzatina di profumo francese e fui pronta e agitata per citofonare. Il portone era aperto ed all’entrata il solito sofisticato portiere dalla puzza sotto al naso. Stavolta mi riconobbe. “Prego signorina” mi disse facendomi cenno di entrare. Lo ringraziai con un sorriso e mi accomodai. Mi accompagnò fino all’uscio della porta della casa. Non appena bussai mi salutò. Mi aprì Claudio scalzo in jeans e a dorso nudo. Dovetti diventare rossa. Si scusò per la mise e mi fece entrare. “Accomodati” – disse – “la strada la conosci. Io arrivo subito”. In salotto era imbandita la tavola. Tovaglia bianca bordata di pizzo calici rose rosse e candele. Era tutto molto romantico e ben curato. In linea con lo stile di Claudio. Ricercato ma semplice. Poggiai la mia borsa su uno dei divani neri e sfilai il pullover.
Faceva un caldo boia in quella stanza. D’un tratto arrivò lui. Aveva appena indossato una t-shirt bianca ma era rimasto scalzo. Sembrava scolpito nel marmo tanto era robusto e forte. Era sempre molto curato ed emanava una tale sicurezza di sé che tanto gli uomini quanto le donne restavano immancabilmente ammaliati da lui. Guardandolo non avrei mai potuto immaginare che quel ragazzo avrebbe trascorso un’intera serata con me. Aveva anche studiato in esclusive scuole private di Roma. Si era laureato in Francia ed aveva conseguito un master negli Stati uniti. Era figlio di genitori estremamente impegnati. Come fosse finito lì con me? me lo chiedo tutt’ora. Non serviva molta immaginazione però per capire che a Claudio la cosa era del tutto indifferente. Mentre gli altri si dividevano tra pranzi e sbronze nei pub, lui se ne stava per conto suo. Di tanto in tanto trapelava qualcosa della sua vita privata – la convivenza, gli studi – ma per lo più viveva il presente e raccontava poco del passato. Aveva in mano una bottiglia di vino bianco. “Un buon vino per l’occasione” esclamò versandomene un calice. “prendi e brindiamo” “A cosa” aggiunsi. “A questa magnifica serata” disse.
Afferrai il calice e lo svuotai in un secondo. Non bevo ma per quell’occasione feci un grande strappo alla regola. “Dunque come hai trascorso queste giornate senza me” esclamò sorridendo. Allora se ne è accorto anzi lo sa che è mancato – pensai. “Beh solito” – risposi con aria noncurante – “famiglia amiche tennis… qualche aperitivo ma nulla di che.” “Vuoi dire forse che non ti sono mancato” – Claudio. Sentii il calore strisciarmi sul collo e so che probabilmente la pelle si era riempita di macchie rosse. Succede tutte le volte che sono imbarazzata Diventai violacea con la paura di balbettare… “Certo avrei voluto almeno sentirti ma pensavo fossi impegnato” dissi con voce tremante. Avrei potuto fare la dura come se non me ne fosse fregato niente. Ma speravo di non mostrare la mia ansia di contenere i toni che avrebbero voluto essere acidi e di rimprovero ma soprattutto la mia collera ed evitare di risultare pesante. Non era certo tutto ciò che avrei pensato e voluto spiattellargli su quel viso d’angelo. Mi trattenni e lasciai che la discussione prendesse strade diverse. L’atmosfera sembrava incandescente. Musica classica come sottofondo
Ci raccontammo un po’ della settimana trascorsa. A pensarci bene ancora non mi aveva neppure baciata. Non che pensassi che quello fosse un invito a fare sesso con lui. Ma io avrei voluto sedermi sulle sue ginocchia e baciarlo appassionatamente. Lui era proprio quel tipo particolare di ragazzo che desideravo ardentemente. Quel desiderio non era nel cervello, ma in uno spazio che cominciava ad aprirsi nel mio stomaco, lentamente, un buco nero che si allargava come una voragine.
E per colmarlo avrei mangiato lui. Lui che io sognavo così tanto. Il suo odore la cui scia avrei seguito come lo squalo segue il tenue profumo di sangue. E sorprendendomi a pensare queste cose mi ritrovai in un forte imbarazzo. Lui era lì dinanzi a me. E quella sera avrei potuto prenderlo. Beveva e fumava il sigaro. La sua voce calda e suadente era stupenda. Come tutto il resto d’altronde. Ero proprio davanti a lui. Imparavo a memoria le sue movenze tanto da riconoscerlo in base a quelle. Lui parlava ma quasi a me non fregava nulla di ciò che diceva. Volevo essere baciata. Volevo il suo odore ed il suo sapore. Percepivo una infantile aura di magia al pensiero che ciò accadesse: ero una sognatrice e da sempre la magia faceva parte della mia vita quotidiana.
Ma quella volta non avrei davvero saputo come fare a baciarlo. Se non lo avesse fatto lui temo che mai avrei preso l’iniziativa. Oh come avrei voluto avere in quel momento la tenacia di Rebecca. Lei si che gli avrebbe saputo estorcere quel bacio. E invece io me ne stavo lì impalata come ad ascoltarlo mentre i miei pensieri ed i miei sensi erano altrove. Forse il segreto per accaparrarsi un uomo così sfugge a moltissime donne e forse la conquista risulta estremamente semplice se non ti fai illusioni matrimoniali. Nessun uomo ricco rifiuterebbe la piacevole compagnia di una donna che non pretende legami. Nel caso di Claudio era solo questione di capire con chi uscisse di preciso e se voleva qualcuno con cui sistemarsi o preferiva rimanere single e libero di andare a letto con chi gli pareva. Ma in fondo a me in quella situazione non importava.
“Sei una ragazza speciale” asserì Claudio distogliendomi d’un tratto dai miei pensieri.
“Speciale in che modo” sussurrai io cominciando a tormentarmi l’unghia del pollice. Il conforto del vino era svanito del tutto. “Certe cose non si spiegano si sentono e basta…” continuò Claudio. “Grazie” dissi arrossendo e chinando il capo. Il mio battito era a mille. Si girò verso di me per farmi un sorriso e versarmi ancora del vino. Un brindisi ancora e corse in cucina ad accertarsi che la cottura della cena fosse a buon punto. Fu in quel momento che rimasi sola in quella grande stanza ed allora il mio battito tornò regolare. Chiusi gli occhi un attimo, ripensai alla festa ed al mio bacio con Claudio, a quanto mi strinse a sé ed alle mie labbra sulle sue. Ma in men che non si dica lo vidi ripiombare nella stanza con in mano un vassoio di cose buone. Quando si rivolse a me avevo nuovamente lo stomaco stretto dall’ansia. “Assaggia” mi disse “sono canapè ai funghi porcini” “Adoro i funghi” feci prendendone uno. La conversazione si spostò su argomenti più neutri: il buon cibo, il lavoro, la famiglia, le amicizie.
Così ebbi modo di rilassare i miei nervi. Ognuno stava cedendo un pezzettino della propria vita, e la situazione si stava rilassando lentamente. Sedemmo a tavola. L’uno di fronte all’altra. Cominciammo a mangiare… Giocherellavo con l’insalata nel piatto, spostandola con la forchetta mentre Claudio continuava a parlare di sé… Ad un certo punto mi chiese: Non ti piace? Sollevai gli occhi dalla mia insalata e feci cenno di si con la testa. “Allora non giocarci, mangiala” aggiunse con un caldo sorriso
Mi costrinsi a mangiare. Non che non volessi ma evitavo tutto quello che mi potesse distogliere da Claudio… ed in quel momento anche una semplice insalata poteva essere di distrazione…
Claudio riprese a parlare. Lo fissavo. Il modo in cui reclinava la testa di lato. La smorfia che faceva nel concentrarsi. La sua gentilezza nei discorsi mi scioccava. Mi chiedevo se in qualche modo, da qualche parte, mi amasse. Non è stata la sua intelligenza o la sua bellezza ad affascinarmi… ma tutto!
Non era indifeso di fronte al mondo come mi sentivo io. Era schietto e deciso: sapeva come ottenere quello che voleva. A costo di sentirmi debole, lo rendo capace di sentirsi forte. Se io fossi troppo forte non avrei bisogno di lui e dovremmo dividerci. Si continuava a conversare… si parlò di tutto. Persino di libri e di politica! Ero felice… vivevo cioè una condizione di appagamento, in cui uno ha tutto con tanto di sottofondo musicale. Mi guardavo intorno: tende di velluto e formaggio morbido… era tutto perfetto.
Avevo paura di questa sensazione… avevo paura di sentirmi troppo a mio agio. Ma aveva catturato il mio entusiasmo… quasi non riuscivo a sopportare la forza di quello che sentivo. La serata andò avanti tra chiacchiere buon cibo e sguardi maliziosi… non ci fu molto… qualche innocente carezza e un po’ di baci, poi intorno all’una mi lasciò tornare a casa. Prese una camicia e la indossò, e con fare galante mi indicò la porta. Presi il mio soprabito e la mia borsa. Dio! Quanto avrei voluto non varcare mai quella soglia! Quanto avrei voluto restare lì tutta la notte a guardarlo! Uscimmo di casa, lui mi teneva per mano… mi aprì lo sportello dell’auto e mi fece accomodare. Una volta in auto lui continuava a fissarmi e tenermi la mano… In un batter d’occhio dovetti salutarlo con un bacio appassionato
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