- Consigliera Manna, quando ha avuto la percezione che fosse tutto finito?
La percezione che la strada fosse dura ed impervia si è fatta palese appena diradato l’entusiasmo della vittoria. Non dimentichiamo che gli albori dell’esperienza amministrativa sono stati caratterizzati dalla composizione della giunta municipale che teneva fuori due forze determinanti per la vittoria della
Coalizione: su indicazione degli alleati di governo si premiava il verticismo e dimenticava il territorio, con alcuni assessori sconosciuti in città ed estranei ai suoi reali bisogni nominati in ruoli chiave. Il tutto con una guida che si è rivelata se non inadeguata, sicuramente inconsapevole del proprio ruolo. Questo ha progressivamente congestionato anche la più basilare attività amministrativa, creando conflitti e distanza con le forze politiche e con la gente. Le inadempienze erano ormai all’ordine del giorno. Due esempi per tutti: ci siamo impegnati in campagna elettorale a modificare l’assetto della rotonda ponte, soprattutto per problemi di traffico. Dopo due anni e mezzo e con una mozione approvata in consiglio comunale, ci siamo ritrovati un disegnino quale alternativa viabile, senza un confronto serio tra le parti politiche e con un elaborazione tecnica che rasentava il surrealismo. Piste ciclabili rimosse a macchia di leopardo, di cui nemmeno in maggioranza si conoscesse il destino. Dinnanzi alle sfide più complesse per la città, abbiamo chiesto più volte un cambio di rotta che per logiche ancora oscure non è mai arrivato.
- Da chi è partita l’idea della sfiducia notarile?
Constatata la gravità della crisi e consapevoli che una mancata risoluzione della stessa, con due forse fuori dalla maggioranza e un governo che senza i numeri per governare risultava sordo e cieco dinnanzi a tutto ciò, l’ipotesi più preoccupante e più pesante per la città sarebbe stata la mancata approvazione del bilancio di previsione con conseguente commissariamento per oltre un anno. La norma consente lo scioglimento anticipato con dimissioni contestuali e l’atto notarile è solo stato lo strumento più confacente al rispetto dei tempi per le elezioni in primavera. Nessuna volontà di nascondersi, ma una responsabilità con un peso forte, anche emotivo, sia nei giorni precedenti all’atto che in questo tempo immediatamente successivo. I tredici consiglieri dimissionari rappresentano, per storia politica anche diversa ed affermazione personale, la maggioranza degli elettori in consiglio. Tutte persone perbene, al di là delle esperienze di governo anche diverse e in alcuni casi distanti.
- Com’erano i rapporti con Del Mastro e gli ex 5 stelle?
Con i colleghi del movimento 5 stelle, poi impegno civico, c’è stato in un primo momento un dialogo che, per la loro parte, passava solo ed esclusivamente per gli esponenti romani. Fino alla scomparsa del simbolo dall’assise, il dialogo è stato ridotto al minimo con gli esponenti Pomiglianesi, salvo rapporti personali con alcuni di loro.
Con il sindaco, invece, intavolare un dialogo politico è stata un’impresa ardua che adesso, a fine esperienza, direi irrealizzata.
- Del Mastro ha cercato di rimediare alla crisi?
Fuori tempo ed in maniera inadeguata. Probabilmente mal consigliato, anziché affrontare prontamente la crisi nel tavolo politico delle forze di maggioranza e con i rappresentanti istituzionali, l’ex sindaco e ha preferito rocamboleschi contatti sovraterritoriali, che come si può evincere dall’epilogo della vicenda non avevano e non hanno valore aggiunto in città.
- I rapporti si sono modificati dopo l’uscita di scena di Di Maio?
Abbastanza e certamente non in meglio. Ma gli esponenti più vicini a lui avevano bene il polso della situazione, basta leggere le ultime dichiarazioni..
- Volevate più peso nelle istituzioni?
Volevamo che le istituzioni avessero più peso, che si cambiasse prospettiva ed atteggiamento rispetto alle questioni da affrontare. La presenza nelle istituzioni non sono il fine per chi fa politica, ma lo strumento per risolvere i problemi della gente. Se non si riesce a farlo, è giusto e doveroso assumere delle decisioni.
- I rapporti si sono modificati dopo l’uscita di scena di Di Maio?
- Il Pd napoletano non approva le vostre scelte, così come una parte del Pd locale. Apparite isolati. Cosa risponde?
Il partito napoletano è un perfetto esempio di come e quanto si possa essere distanti dalla realtà, cosa che avevamo compreso da molto. È sufficiente ricordare che allo scorso congresso provinciale il circolo diede per l’elezione del segretario un segnale inequivocabile: scheda bianca. Avevamo visto bene ed è difficile pensare che ci ha usato il partito come un taxi per arrivare a Roma, senza mai misurarsi con il consenso, possa dare lezioni a qualcuno. Speriamo che con il prossimo congresso metropolitano, previsto per le prossime settimane, si cambi decisamente rotta.
- Ora bisogna fare presto, si torna al voto in primavera. Con quale identità vi ripresenterete agli alleati e agli elettori?
Mettere al centro la città, guardare ed ascoltare i suoi bisogni senza pregiudizi di sorta, approcciarsi ai problemi con competenza, concretezza e determinazione. Penso che questo debba essere il faro.
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