Baby-gang e criminalità minorile, un fenomeno culturale da estirpare

Francesco Urraro • 27 agosto 2022

Baby-gang e criminalità minorile, un fenomeno culturale da estirpare

Tra le forme più gravi di comportamenti violenti commessi da minori, spesso anche ai danni di coetanei, si inserisce il fenomeno delle cosiddette baby gang.

Con baby gang si intendono gruppi di adolescenti, poco più che bambini, che riproducono dinamiche tipiche della microcriminalità organizzata. Queste gang rappresentano un fenomeno molto ampio e complesso, che non si identifica con quello della criminalità minorile e che deve essere tenuto distinto dal bullismo del quale potrebbe rappresentare un’evoluzione. È una questione che sicuramente desta allarme sociale non solo per la giovane età dei componenti, ma anche per la particolare aggressività con la quale vengono compiuti i delitti, originati spesso da motivi futili.


Queste baby gang si sono rese responsabili di episodi criminali di gravità straordinaria, tale da minare la sicurezza stessa della città costrin- gendo gli altri ragazzi a solidarizzare facendo gruppo per difendersi dalle aggressioni.

Importanti elementi per la comprensione di tale fenomeno e delle caratteristiche che connotano le baby gang sono stati acquisiti dalla apposita Commissione d’indagine con l’audizione del vice direttore generale della Pubblica sicurezza e direttore centrale della Polizia criminale, prefetto Vittorio Rizzi.


Questi, nel porre in luce le tipicità di questo fenomeno criminale, ha evidenziato come i contesti familiari di provenienza degli appartenenti alle baby gang non sempre coincidano con ambienti degradati o problematici; infatti i giovani provengono anche da famiglie di estrazione sociale medio alta e con un buon livello di istruzione. Fanno parte del gruppo oltre ad elementi molto giovani, anche soggetti di diversa etnia, spesso maggiorenni. I consociati al medesimo gruppo seguono sovente riti di iniziazione – come tagliarsi i capelli a zero e compiere determinati atti di teppismo – indossano e usano distintivi o segni di appartenenza, come ad esempio stemmi, giubbotti, cappellini, orecchini e tatuaggi, e frequentano gli stessi locali. Tra loro sono molto diffusi l’ascolto della musica trap, una variante di quella rap, e l’uso di sostanze stupefacenti e di alcolici.


Le baby gang si connotano poi per il modus operandi, il quale contempla l’impiego di una violenza sproporzionata nei confronti delle vittime che vengono individuate nei coetanei, anche in ambito scolastico, negli anziani, nei disabili e nei soggetti ai margini della società. Le azioni compiute si caratterizzano per una particolare efferatezza rispetto ai motivi o alle cause che le originano, quasi sempre del tutto futili.


In proposito, l’attività svolta dalle Forze di polizia ha permesso di evidenziare alcuni tratti salienti di queste bande criminali. In particolare l’utilizzo di una simbologia marcata nei contesti dei gruppi giovanili, con significativi riferimenti alla fratellanza, ai legami di sangue, all’identità di gruppo e allo scontro; l’esaltazione del concetto del gruppo e del forte legame territoriale sviluppata attraverso la comunicazione sociale, le immagini e le fotografie; la volontà di divulgare, attraverso i social network, le azioni compiute dai membri dei gruppi e di pubblicare i fatti avvenuti nel quartiere, veicolando le informazioni mediante la pubblicazione di articoli di cronaca della stampa locale; la forte connotazione territoriale, data dai membri del gruppo, i cui profili richiamano, in maniera esplicita, il forte legame con la città e con il quartiere; i frequenti i richiami ai personaggi del cinema, della televisione o della cronaca protagonisti di vicende di criminalità.

Più in generale le baby gang sono guidate da un capo banda (figura carismatica) che affida i compiti ai propri gregari sulla base degli illeciti obiettivi che intende raggiungere. I delitti che vengono maggiormente consumati sono costituiti dai reati contro il patrimonio (furti, danneggiamenti, rapine ed estorsioni) e contro le persone (minacce, percosse, lesioni, stupri e, talvolta, anche omicidi).


Con riguardo alla incidenza territoriale delle baby gang, esse risultano diffuse prevalentemente nei grandi agglomerati urbani.

Con specifico riguardo alle vittime delle baby gang, le stesse si identificano in soggetti considerati deboli o diversi, sia per le loro caratteristiche fisiche, intellettive, comportamentali che per gli orientamenti religiosi o sessuali. L’obiettivo delle azioni criminali viene preliminarmente individuato e successivamente avvicinato e provocato, nel tentativo di innescare una lite, per motivi inesistenti. Alla violenza verbale fa seguito la violenza fisica che genera nel malcapitato una condizione psicologica di panico. Le azioni nei confronti della vittima possono essere estemporanee o assumere il carattere della continuità.


Una trattazione a parte merita la questione relativa al coinvolgimento dei giovani in fatti delittuosi di criminalità organizzata. Un fenomeno, questo, che si registra prevalentemente nelle regioni del Mezzogiorno d’Italia, ove le consorterie sono radicate storicamente.

I gruppi criminali, infatti, si avvalgono dei minorenni anche per la commissione di gravi delitti, come il traffico di stupefacenti e di armi, le estorsioni e gli omicidi.

Le organizzazioni camorristiche, in particolare, utilizzano i minori come bacino di manovalanza da impiegare nella microcriminalità. Tale circostanza, in alcuni casi, stimola nei giovani più inclini a delinquere l’emulazione dei comportamenti criminali che sfocia in azioni delinquenziali, anche violente, compiute da gruppi di fuoco o da piccole bande, composte da giovanissimi, capaci anche di commettere omicidi per eliminare testimoni scomodi o rivali nella leadership del gruppo.


Sicuramente l’intervento repressivo non risolve, da solo, le origini del problema, per cui è importante un approccio volto a porre in essere misure di prevenzione del dilagare il fenomeno della violenza tra i giovani. Non bisogna infatti trascurare che questi fenomeni criminali sono il più delle volte legati alle cause socio-culturali del disagio giovanile. Condivisibili appaiono in questo contesto le iniziative portate avanti in alcuni territori dove attraverso un sistema «a rete» e un’azione coordinata di tutte le istituzioni (dalle prefetture alle Forze dell’ordine alla scuola) è stato possibile pianificare e realizzare mirati ed efficaci interventi di prevenzione e di contrasto.


È indubbio che le condotte violente perpetrate da queste bande non infrequentemente preconizzano l’ingresso nel circuito penale del minorenne. Ciò è quanto mai vero soprattutto in quelle aree del Paese dove la criminalità giovanile si inserisce in un contesto di criminalità organizzata. Il nostro ordinamento appresta risposte diverse alle condotte criminali giovanili a seconda dell’età dell’autore. Se, da un lato, il minore di quattordici anni non è mai imputabile penalmente (astrattamente potrebbe essere riconosciuto socialmente pericoloso e quindi essere sottoposto a misure di sicurezza), dall’altro, i minori tra i quattordici e i diciotto anni sono imputabili se viene dimostrata la loro capacità di intendere e di volere. È proprio questa fascia di età ad essere maggiormente coinvolta nella commissione di reati. È necessario quindi chiedersi in che modo le istituzioni debbano rispondere a queste speciali forme di criminalità e se le misure già contemplate dal sistema possano ritenersi adeguate.


Ma soprattutto occorre chiedersi se a fronte di queste condotte criminali il carcere possa rappresentare una risposta. La nostra Costituzione e il nostro ordinamento penale sanciscono il principio della rieducazione della pena, a maggior ragione tale obiettivo è primario e fondamentale nei casi in cui la commissione di reati sia ad opera di minori d’età. Rieducare consiste nel far conoscere le regole, i principi, i valori sociali e giuridici, che, molto spesso, a causa del contesto familiare, territoriale, sociale in cui questi ragazzi sono cresciuti.










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