D: C’è la crisi energetica, la Bce alza i tassi e la Banca mondiale annuncia recessione globale. Cosa succede lontano dai nostri occhi?
R: Mi sembra che le cose rilevanti stiano accadendo sotto i nostri occhi. Per anni le banche centrali hanno mantenuto delle politiche monetarie lasche, pompando liquidità all’interno del sistema finanziario. Questa liquidità ha tenuto a galla i mercati azionari. Sembrava, dunque, avesse causato solo “asset inflation”. A ciò si è aggiunta, negli ultimi due anni, la risposta alla pandemia, passata attraverso sussidi ad ampie fasce della popolazione. L’inflazione è un fenomeno monetario: riguarda il rapporto fra moneta disponibile e beni e servizi che con quella moneta possono essere comprati. Così si è innescata la rincorsa dei prezzi che stiamo vivendo, e che ormai tocca le famiglie nei beni di prima necessità. Il livello generale dei prezzi continua ad aumentare a ritmi che non erano mai visti negli ultimi trent’anni
D: In questo bailamme socio-economico, come stanno cambiando gli equilibri di potere a livello mondiale?
R: E’ difficile a dirsi. Noi tendiamo tutti a esagerare l’importanza degli eventi politici, visibili e che hanno ripercussioni importanti nel breve periodo. Ma esistono anche tendenze di lungo periodo e realtà che tendiamo a trascurare, ma sono importanti e più solide di quanto appaia. Le faccio un esempio banale: pareva che il Covid-19 fosse destinato a distruggere le filiere internazionali di fornitura. Non è stato così, perché i rapporti fra imprese sono più solidi e più flessibili di quanto si creda. L’ordine mondiale non è dato solo dai grandi politici coi loro summit, ma esiste, per citare una novella di Borges, un “parlamento del mondo” che è fatto delle interazioni quotidiani dei singoli individui.
Certo, l’impressione è che oggi ci sia chi vuole dividere, di nuovo, il mondo in due. Se ciò avvenisse, il risultato non potrebbe che essere un rallentamento generalizzato dell’economia globale, una perdita di benessere più o meno importante per noi, una brusca battuta d’arresto per i Paesi emergenti. Ma, a fronte di queste tendenze politiche, ve ne sono altre di tutt’altro tipo: con Internet, banda larga e servizi con Zoom o Teams, per esempio, non è mai stato così facile comprare non solo beni ma anche servizi in un Paese diverso dal proprio…
D: Le sanzioni russe dell’Ue si stanno rivelando un boomerang?
R: Per capire se uno strumento funziona o meno bisogna sapere qual è il suo obiettivo. Se l’obiettivo delle sanzioni era impoverire la società russa, esse senz’altro funzionano: è vero che il mondo non-occidentale continua a scambiare coi russi, ma è anche vero che non poter scambiare con la parte più ricca del pianeta significa perdere molte opportunità. Vi sono alcune sanzioni, le più mirate, che ambivano a colpire l’industria bellica e pare che anche queste ultime stiano funzionando, anche se ovviamente i russi cercano e cercheranno altri fornitori. Io ritengo ci sia da essere perplessi non rispetto all’efficacia, ma proprio all’obiettivo. Il ragionamento di fondo è che impoverendo i russi quelli se la prenderanno con Putin. Se è così, allora, l’obiettivo non riguarda solo l’invasione dell’Ucraina (rispetto alla quale la comunità internazionale doveva senz’altro battere un colpo, ci mancherebbe) ma il tentativo di forzare un regime change. A me pare che la nostra esperienza in merito sia pessima e sarebbe meglio evitare altri tentativi di cui, come già avvenuto in Iraq e in Libia, finiremo per pentirci.
E’ bene comprendere che questa volta ampiezza e rilievo delle sanzioni vanno ben oltre qualsiasi cosa abbiamo visto in passato. Sono state minate anche alcune antiche certezze dei sistemi finanziari: come il fatto che i conti corrente di banca centrale fossero intoccabili. Abbiamo fatto scelte difficilmente giustificabili, in una prospettiva di stato di diritto: come rendere più difficile ai cittadini russi ottenere un visto per l’Europa.
La guerra è una cosa tremenda che ha sempre accompagnato e sempre accompagnerà gli esseri umani, per il modo in cui siamo fatti. Ma civiltà giuridica e principi liberali dovrebbero indurci a circoscriverne gli effetti, a cercare di limitarli ai belligeranti quanto più possibile. La strategia scelta è stata differente: amplificarli quanto più possibile, fare “pagare” le scelte della sua leadership alla popolazione russa.
D: Si stima che 881,000 piccole medie aziende chiuderanno per la crisi energetica. Come si esce dalla tempesta globale?
R: Se lo sapessi… Mettiamola in questi termini. Stanno venendo al pettine alcuni nodi. Della politica monetaria abbiamo già detto. Ma le nostre difficoltà, in termini di politiche energetiche, non sono dovute solo a una situazione contingente (abbiamo meno gas russo) ma a scelte di lungo periodo. Noi europei abbiamo scelto di rendere più onerose, e spesso addirittura impraticabili, le fonti fossili. Abbiamo scelto di puntare su alcune tecnologie per contrastare il cambiamento climatico, e non su altre (come la carbon capture).
Dalla situazione in cui ci troviamo si può uscire in due modi. Il primo è dire e dirci la verità. Paghiamo, oggi, un’inflazione che si deve a politiche monetarie di un certo tipo. Paghiamo, oggi lo scotto di scelte politiche che hanno reso impossibile tutta una serie di attività industriali nel mondo occidentale. Ci sta bene, siamo ancora disposti a pagare per queste scelte politiche? O siamo disponibili a rivederle? Se le rivediamo, se, per esempio, torniamo all’idea che le banche centrali abbiano compiti limitati, occuparsi di governare l’offerta di moneta e non salvare banche e stati, nel breve termine c’è un costo da pagare. Ma poi potremmo rimetterci su un sentiero di crescita.
L’alternativa, ed è il sentiero sul quale siamo incamminati, è continuare a raccontarci da soli delle favole. Pensare che le rinnovabili siano, qui e ora, un’alternativa al gas russo. Credere che le banche centrali possano “risolvere” la questione dell’inflazione con due colpi ben assestati, e poi tornare a dedicarsi al cambiamento climatico, all’euro digitale, eccetera. Pensare che dopotutto l’inflazione fa bene e ci consente di ridurre i debiti pubblici, e quindi non importa se si mangia il bilancio delle famiglie. Illuderci che i nuovi aiuti non contribuiscano all’inflazione, eccetera.
Purtroppo in Occidente i politici sono ormai convinti che la politica sia solo “narrazione”: basta raccontarsela bene, e il più è fatto. In un momento come questo si capisce che non è così.
D: Con un quadro così opaco, è stato opportuno andare al voto in Italia?
R: Credo sia stato molto saggio andare alle elezioni a settembre. Salvo miracoli, i prossimi mesi vedranno un inasprirsi della crisi energetica e un peggioramento della situazione economica generale E’ meglio avere un governo pienamente legittimato dal voto per affrontare questi problemi. Soprattutto, è stato meglio votare ora, con un quadro politico relativamente stabile, che fra sei/otto mesi, con un’offerta politica messa in subbuglio dalla crisi e partiti che avrebbero usato gli ultimi mesi della legislatura per tentare di comprarsi un po’ di consenso.
D: Meloni è data per vincente. Con chi dovrà confrontarsi e cosa dovrà concedere per essere accreditata nel gotha di chi governa il mondo?
R: Giorgia Meloni vince perché è stata all’opposizione dieci anni, quindi appare oggi come l’elemento nuovo al quale gli italiani sono pronti ad affidarsi, scontenti come sono del vecchio. Ma è anche una politica abile, efficace sul piano retorico, partecipe di tutte le liturgie della politica, attenta agli andamenti della pubblica opinione. La sua storia politica la rende indigeribile a pezzi della sinistra internazionale, oltre che a quella italiana, e per questo si moltiplicano attacchi abbastanza sguaiati. Non c’è nessun rischio fascismo in Italia. C’è il rischio che il nuovo governo non sia incisivo nella sua azione. Sappiamo che la destra tende a mancare, storicamente, di personale politico adeguato. Vedremo se Meloni deciderà di indicare se stessa come premier, e se del caso chi saranno le persone che sceglierà come ministri. Avere un governo di personalità di livello sarà il primo banco di prova.
D: Come interpreta il suo maquillage culturale?
R: Non credo si tratti di “maquillage culturale”. Meloni sa che di qui a poche settimane avrà responsabilità di governo e quindi è più cauta e circospetta di quanto non lo sarebbe se conducesse una campagna elettorale “identitaria”. Credo sia un’ottima cosa quanto ha detto più volte su debito e spesa pubblica, le parole di cautela e di rispetto per le generazioni future che ha usato.
Oggettivamente, in questa campagna elettorale non circolano idee straordinarie ma è incomparabilmente meglio di quella del 2018. Non ce lo ricordiamo più che all’epoca avevamo due partiti che si dichiaravano pronti a uscire dall’euro?
D: C’è una destra che corre spedita ed una sinistra sempre vittima delle proprie contraddizioni. Ma cosa deve fare la sinistra per liberarsi dai suoi peccati originali?
R: Dovrebbe chiederlo a un uomo di sinistra…
D: Che idea si è fatto dello scambio di accuse tra USA e Russia sul finanziamento ai partiti italiani?
R: In Italia diciamo e facciamo moltissime stupidaggini, ma sono tutte autoprodotte. I nostri politici, piacciano o meno, la pensano in un certo modo e si affannano a rappresentare pezzi di elettorato che credono la pensino in quello stesso modo. Non c’è bisogno di immaginare chissà quali aiuti dall’estero per spiegare le posizioni di Tizio o di Caio.
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