Nelle sceneggiature ben costruite, che preparano i migliori film d’azione, esiste sempre il tripudio finale alle spalle dell’uomo buono. Buono ma determinato, motivazionale come l’ammiraglio Stenz (interpretato da un magistrale David Strathairn) che per abbattere il male, per fermare l’avanzata del mostro Godzilla spingeva i suoi a dare il meglio, perché nel momento della verità lo aveva pronunciato a chiare lettere: “Mai quanto oggi ci sarà bisogno del vostro coraggio.”
Queste parole, esattamente le stesse, con il medesimo tono e inflessione Stenz non si stancherà mai di dirle, tutte le volte che il film arriva a quella scena che si ripete sempre uguale. Ma è un film; eppure, il mostro Godzilla che emerge dalle acque del mare per distruggere ciò che esiste sia esso buono o cattivo, sembra una metafora comportamentale tutte le volte che i partiti si schierano per le elezioni.
Ognuno è Godzilla di sé stesso, ogni leader è immagine dell’ammiraglio Stenz che chiama a raccolta il coraggio dei suoi uomini indossando di volta in volta la maschera del giusto leader, nel momento in cui è richiesta. Lo ha fatto Silvio Berlusconi con Forza Italia, sbandierando la lotta al pericolo politico incombente dell’epoca e da demolire con tutte le forze e con tutto il coraggio richiesto agli elettori; lo ha fatto Grillo, sputando fuoco e fiamme su una classe dirigente vetusta da spazzare con il coraggio delle giovani leve; salvo scoprirsi più vecchio e anacronistico del suo nemico; lo ha fatto Salvini, cercando di cambiare pelle alla Lega Lombarda negli imbarazzi di chiedere voti agli italiani del meridione su cui poco prima avrebbe innalzato una frontiera per tenerli a bada. Infine, lo ha fatto Meloni vincendo, esattamente come l’ammiraglio Stenz ha vinto Godzilla, indicando ai suoi seguaci dove e come colpire per abbattere il mostro, con il paradosso di vederseli sfuggire tra le mani al punto da lasciare sguarnito l’esercito di una buona classe dirigente.
Intanto, se molti sono saliti, come accade spesso, sul carro dei vincitori ma senza una consolidata determinazione ideologica visto le radici storiche di Fdl già pronti a lasciare, altri attivi sostenitori sono finiti nelle maglie della giustizia, tra questi Creazzo consigliere della Regione Calabria, Francesco Lombardo arrestato in Sicilia a quarantotto ore dal voto, Roberta Tintari sindaco di Terracina anche lei finita agli arresti, oltre all’inchiesta di Milano sui legami del partito della Meloni con gli ambienti neofascisti. Eventi poco gratificanti che disgregano la dirigenza e che ricalcano su molti il ripudio dell’etichetta di meloniani. Ma a forse l’hanno rifiutata anche molti liberi cittadini speranzosi che dalle urne uscisse una solida classe dirigente capace di governare il Paese e non un rampino che li accodasse automaticamente a un partito.
Del resto, votare destra o sinistra non sempre vuol dire essere indissolubilmente legati a quel rispettivo orientamento politico, e non certo vale solo per i meloniani. Lo stesso è accaduto precedentemente con i grillini che si sono sciolti come neve al sole ad eccezione di quello zoccolo duro che ancora resiste imperterrito e protetto nel buio di un pensiero immutabile, pronto a rinnegare la valanga di voti che li portò in Parlamento. Voti che oggi appaiono preferenze espresse da fantasmi. È comune che dopo il tracollo tutti ammettono di non aver votato per i vincitori, come Pietro rinnegò Gesù sulla croce per paura d’essere condannato. La stessa paura potrebbe già serpeggiare tra coloro che Giorgia Meloni l’hanno portata in trionfo, strillando a gran voce il cambiamento. La scelta di Pietro, nel rinnegare il suo maestro, era ben più rischiosa. Lui si stava giocando il Paradiso, mentre i meloniani si giocano il posto in terra, tanto lo sanno tutti che il Paradiso dura un’eternità, invece, Giorgia non è detto che stia in piedi per tutto il tempo.
Mario Volpe
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