“Cosa possono imparare i politici oggi da Napoleone il Comunicatore?
Innanzitutto a parlare con tutti i target usando i media, i messaggi e linguaggi giusti.
E poi a mettere al centro una visione molto chiara di Paese. Per ora vedo grande voglia di vincere le elezioni, o di perderle nel modo meno dannoso possibile, ma ancora poche idee concrete e strategie su come far vincere al Paese le grandi sfide che ci aspettano.”
Lo dichiara intervistato da lavoceimpertinente.it Roberto Race all’indomani della consegna a Roma al Grand Hotel del Parco Dei Principi del “Premio The Norns Awards”, riconoscimento internazionale per la prima volta in Italia per il suo best seller Napoleone il Comunicatore come “Best book 2022”. Il suo libro uscito in italia con Egea, la casa editrice dell’Università Bocconi, oggi distribuito in tutto il mondo da Amazon in inglese e francese ed entro fine anno uscirà l’edizione in arabo.
Analizziamo con Race, eclettico consulente di strategia di reputation per grandi aziende e giornalista la competizione elettorale e l'attuale scenario politico.
- Da comunicatore, quali spunti interessanti hai trovato finora in questa contesa elettorale?
Diciamo è una competizione elettorale che rischia non lasciare modelli o buone prassi di comunicazione e che corre il rischio di essere ricordata per come i candidati siano concentrati nel parlare alle proprie basi elettorali più che agli indecisi o potenziali elettori.
- Come reputi il restyling culturale di Giorgia Meloni? È autentico? E la presenza della Fiamma Tricolore nel logo di Fratelli d’Italia che rappresenta?
Secondo me si. Non so se lo stesso discorso valga per tutti i candidati di Fratelli d’Italia ma credo sia un tema valido per tutti i partiti.
E’ vero la presenza della Fiamma Tricolore nel logo di Fratelli d’Italia è sembrata a tanti una nota stonata rispetto a quello che chiami restyling.
Ma tutti sappiamo che una cosa è fare il partito di opposizione ed un’altra quello di governo.
Cambiano i toni e spesso anche i temi. Non ci si può limitare a slogan ma bisogna avere chiare le ricette per i tanti problemi che dovrà affrontare chi vincerà.
Credo che se Giorgia Meloni vincerà e coinvolgerà al suo fianco personalità come Adolfo Urso e Guido Crosetto sarà in grado di parlare con le migliori energie del paese.
Non credo tanto ai “governi dei migliori” ma a governi che sappiano relazionarsi con tutti e che non si chiudano a riccio in comfort zone settarie ed autoreferenziali.
La sfida che ha è non tanto quella di ricevere l’incarico e formare un governo di coalizione che si sfalda al primo mal di pancia degli altri partiti o alla prima interferenza straniera, ma un governo che regga tutta la legislatura o almeno buona parte.
-In tanti pensano che il Governo Meloni cada rapidamente e torni Draghi con un grande coalizione a guida PD.
Sarebbe una sciagura per Draghi e per il PD innanzitutto.
Draghi deve restare una riserva della nazione e può avere tanti ruoli. Sconsiglierei a lui e a chi glielo chiederà di immaginare un Governo di una coalizione raccogliticcia. Il Governo Draghi nasce da un’altra premessa e in un altro contesto. Eravamo in piena emergenza pandemica e il Presidente Mattarella ha dato vita ad un governo di unità nazionale.
Per quanto riguarda il PD e la sinistra non si può pensare di andare al Governo da sconfitti alle elezioni per una presunta supremazia culturale e morale.
- La dicotomia tra rosso e nero tracciata da Letta è efficace?
Bah credo che il PD stia facendo un grande errore. Invece di mettere al centro il suo programma e la sua idea di Paese mette al centro la contrapposizione con Giorgia Meloni e il centro destra.
Eppure di eccellenti comunicatori e pubblicitari di area ce ne sono tanti. Peccato non averli coinvolti.
- Quali temi andrebbero veicolati meglio e in che modo?
Oggi l’agenda degli elettori ha pochi punti molto chiari.
Tra questi: l’inflazione e l’impatto sulle famiglie e l’economia reale, l’occupazione e aumento del potere d’acquisto dei lavoratori, la riduzione di balzelli e della tassazione su chi fa impresa e i costi dell’energia.
Il resto sono temi per parlare alla propria base e restare nella comfort zone.
-Da più di venti anni ti occupi di comunicazione e consulenza alle aziende ma hai avuto un'esperienza politica seppur breve iniziata nel 2013 a 13 anni al fianco di un Antonio Bassolino candidato Sindaco … Ti manca l’impegno attivo? Cos’è cambiato?
Più che esperienza politica era un’esperienza da militante durata gli anni delle superiori e l’inizio dell’università. Avevo 13 anni e tanta voglia di cambiare il mondo. E’ stata una bella stagione della politica per chi si trovava ad avvicinarsi in quella fase.
Era l’autunno del 1993 e seppur i partiti si stavano disgregando ho avuto la fortuna di vedere, anche se per pochi anni, un'organizzazione partito di ottimo livello come quella dell’allora Partito Democratico della Sinistra. Ho avuto la fortuna di vivere da ultima ruota del carro la Sinistra Giovanile. In quegli anni si sono create delle amicizie che mi accompagnano ancora oggi, a partire da quella con Alfonso Trapuzzano che mi ha sostituito come segretario generale alla Fondazione Valenzi. Abbiamo ancora una chat su Whatsapp attiva di “veterani”.
Da quel gruppo di Sinistra Giovanile sono nati leader di qualità come Enzo Amendola, Arturo Scotto, Roberto Speranza, Leonardo Impegno e Massimiliano Manfredi…. ma anche docenti, operatori culturali, imprenditori, professionisti e operatori culturali.
Lì la politica la facevi sui territori, c’erano campagne elettorali fatte nelle piazze con i gazebi, girando per le strade, facendo i porta a porta, parlando con le persone e provando a convincerle.
C’erano collegi elettorali in cui i parlamentari erano costretti ad avere un rapporto costante con gli elettori.
-Negli archivi dei giornali gira una tua foto da quindicenne a Napoli con Romano Prodi nella campagna elettorale del 1995 di Vincenzo Siniscalchi. Fu la campagna che segnò pochi mesi dopo il debutto dell’Ulivo…
Caspita quelle foto sono ancora in circolazione…
Beh quelle del 1995 e del 1996 per Siniscalchi furono due bellissime campagne elettorali.
Nel 1995 per le elezioni supplettive alla Camera del collegio Chiaia Vomero il PDS in coalizione con Rifondazione i Verdi candidarono una personalità come Siniscalchi sperimentando quello che poi nel 1996 fu l’Ulivo. Era un partito ancora in grado di avere rapporti con la cosiddetta società civile e in grado di attrarre competenze.
E la legge elettorale obbligava i partiti a candidare persone legate ai territori.
Ma era una politica che costava di più
Soldi ben spesi se i parlamentari sono attivi e vicini alle istanze dei territori. Oggi parliamo di eletti totalmente scollegati dai territori e spesso dalla realtà.
Rispetto al tema del taglio dei costi della politica credo che valga il detto napoletano:
“'O sparagno nun è maje guadagno”.
E’ inutile cercare di risparmiare su qualche cosa che poi si rivela di scarsa qualità e che richiede altre spese.
Oggi credo che una priorità che il prossimo Parlamento dovrà affrontare è quella di ristabilire un rapporto tra eletti ed elettori anche rimettendo in discussione il taglio dei parlamentari e la legge elettorale.
I collegi sono troppo grandi. E’ veramente difficile per un eletto mantenere i rapporti con i territori.
L’antipolitica e l’astensionismo sono anche alimentati da questo scollamento e da uno scontro troppo personale e poco su idee e ideali.
Nel 2009 sei stato tra i fondatori con Lucia Valenzi della Fondazione Valenzi di cui è presidente del Comitato d’indirizzo. Ancor oggi si parla di quelle sindacature. Perchè?
Le giunte Valenzi nascevano come giunte di minoranza e sono un modello di creazione costante di consenso.
Un consenso cercato da Maurizio Valenzi e dalla sua squadra su quelli che all’epoca erano i problemi della città.
E gli interlocutori di Valenzi in Consiglio Comunale erano di tutto rispetto. Dal leader della Fiamma Tricolore Giorgio Almirante al leader dei radicali Marco Pannella.
Vi era un interesse comune per la città nel creare una cesura rispetto ad un passato fatto di clientelismo, malaffare e raccomandazioni.
Un interesse che vedeva compatti tutti i ceti sociali. Dalla borghesia illuminata al mondo operaio.
Il consiglio comunale di Napoli in quegli anni era seguito dai media dell’epoca con grande attenzione. Lì spesso si discutevano politiche per l’intero mezzogiorno.
Con Lucia Valenzi ne hai scritto anche nel libro di testimonianze che avete curato assieme…
Quello che mi ha colpito molto lavorando al libro è come, al di là delle appartenenze politiche, ci fosse un rispetto personale e per le idee degli avversari politici.
Il successo della Napoli di Valenzi è nella collaborazione nata dal dialogo e a volte anche dallo scontro costruttivo non solo tra esponenti del ceto politico ma anche tra intellettuali, imprenditori, operatori culturali e del mondo della formazione.
Oggi ce ne sarebbe tanto bisogno.
La passione politica la hai nel sangue. Perchè non hai più fatto politica?
Beh in realtà il mio impegno per la cosa pubblica non si è mai interrotto e lo porto avanti nelle varie organizzazioni che si occupano di sociale, cultura ed economia di cui faccio parte.
Non ho in agenda, e non l’avrò per lungo tempo ancora, la politica attiva. Devo però molto all’aver fatto il militante da adolescente. Mi ha permesso di sviluppare quella capacità di ascolto e analisi dei fenomeni sociali che dovrebbe avere chiunque fa politica.
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