di Mario Volpe
La narrazione spesso non è solo frutto della fantasia, per intendere che le storie –forse quelle più belle– affondano le radici in un fondo di verità. La verità, seppur modellata dall’arte creativa, che Vladimiro Bottone ci propone nelle pagine del suo nuovo romanzo Rebis, riedito in una versione rivisitata da Colonnese Editore.
Rivisitata perché l’opera è stata sottoposta, dal suo stesso autore, a un’intensa attività di riscrittura e riformulazione, fino al raggiungimento della giusta voce che, dal profondo della storia, potesse raccontare ,con una firma riconoscibile, la vicenda noir che si dipana tra le pagine del romanzo.
Siamo nella Napoli del ‘700, infervorata e feroce in cui si consuma un delitto, ovvero l’assassinio di Antonio Corradini, il noto scultore delle statue velate a cui il settimo principe di San Severo -Raimondo di Sangro- ha commissionato la realizzazione di opere scultorie destinate alla cappella di famiglia.
L’autore, nel libro, si appropria di un momento storico e di alcuni personaggi realmente esistiti, immaginando l’omicidio di Corradini (morte che secondo la verità storica, con ogni probabilità, sopraggiunse per cause naturali), per cavalcare la leggenda nera che vorrebbe l’atto cruento collegato alla realizzazione di un ultimo grande capolavoro commissionato dal Principe di San Severo allo scultore; ovvero la straordinaria statua del Cristo Velato. Opera che, a seguito della morte di Antonio Corradini, fu realizzata da Giuseppe Sanmartino. Uno dei protagonisti principali del romanzo è il giovane Jacopo Fucito, bibliotecario del principe, che inizierà ad ipotizzare un nesso tra la commessa della statua e l’omicidio dello scultore.
Un racconto che proietta il lettore indietro nel tempo, alla stregua di una macchina fantastica per viaggiare a ritroso negli anni fino al 17 gennaio del 1753, data da cui parte la narrazione di Vladimiro Bottone.
Jacopo Fucito, nell’evolversi del racconto, si confronterà con personaggi, luoghi e momenti capaci di fermentare nella coscienza del lettore un carico di reazioni non indifferenti, per un finale aperto. Il giusto e sapiente stimolo proposto per proiettare l’immaginazione del lettore ben oltre l’ultima pagina.
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