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L'editoriale - La politica non muove più le redini della società

Mario Volpe • 10 settembre 2022

L'editoriale - La politica non muove più le redini della società

Gandhi ne era convinto, e lo aveva detto, che l’uomo si distrugge con la politica senza principi. Dopo lunghi anni di  delusioni alimentate da bombe di partito, corruzione, malgoverno, disattenzione ai problemi comuni, oltre a un inaridimento delle competenze –di conseguenza– incapaci di mettere a punto soluzioni efficaci ai problemi del paese, magari demandando la responsabilità all’Europa o a governi precedenti che sono già storia, non c’è da meravigliarsi che voci giovani come quelle del poeta comasco, naturalizzato americano, Jean-Paul Malfatti ribadiscono che la politica costa troppo, puzza più della spazzatura e fa male alla salute e alle tasche dei contribuenti.


Ad assistere ai teatrini televisivi e agli esilaranti Tiktok di uomini pagati con soldi pubblici è difficile non condividere tale pensiero, che al giorno d’oggi non sembra più essere solo una prerogativa delle nuove generazioni.

nfatti, si allarga la fascia di popolazione adulta che si distacca dai propri riferimenti politici per avvicinare realtà alternative, al punto da far sembrare macchiette teatrali chi si ostina a propagandare concetti e ideali di partito anacronistici e senza più alcuna ragione d’essere. Lo sviluppo tecnologico, l’interscambio di pensiero e la possibilità di entrare in contatto con altre culture continuano a plasmare coscienze nuove, non solo tra le giovani generazioni, ma anche tra le menti più mature e lungimiranti.


Le aspettative, riposte nelle organizzazioni di partito, si frantumano sotto le mazzate dei palesi interessi individuali di arrivisti senza scrupoli, capaci di strumentalizzare qualsiasi necessità o emergenza sociale, da rendere il tale pensiero di Platone: “Il prezzo pagato dalla brava gente che non si interessa di politica è di essere governata da persone peggiori di loro”, ancora sembra essere un’amara verità. Ma questa “brava gente” ha iniziato a disertare le istituzioni e perdere la fiducia nelle proposte politiche. Oggi, il Dopolavoro Ferroviario, la Befana degli operai, la Festa dell’Unità e altri eventi simili, puntellati dal vessillo della politica, non esistono quasi più. Sono le coscienze nuove e consapevoli, le necessità espressive, i bisogni economici e produttivi ad aver trovato strade alternative per riempire i vuoti –divenuti incolmabili voragini– lasciati da leader di partito estremamente superficiali.


Non c’è dunque da meravigliarsi se i signori  della finanza con le grandi banche internazionali e le cordate d’imprenditori si uniscono in consorzi capaci di esercitare un autogoverno economico, abbastanza forte da avere sempre meno bisogno della politica. Eppure, lo stesso avviene con la cultura, dove associazioni di scrittura, di artisti e band musicali –liberi da ogni forma ideologica di colore– riescono, in un’aggregazione popolare, attraverso messaggi chiari e diretti capaci di scavalcare una politica ancora troppo tradizionalista e faziosa che, reciprocamente si accusa di voler riportare il Paese (senza rendersene conto) a rivivere concetti di potere che, oggi, figurano come aneliti di una balena spiaggiata.

 


 

 

Scrittore, editorialista

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