Il testo definisce come equo il compenso che rispetta specifici parametri ministeriali e interviene sull'ambito applicativo della disciplina vigente, ampliandolo sia per quanto riguarda i professionisti interessati, tra i quali sono inclusi gli esercenti professioni non ordinistiche, sia per quanto riguarda la committenza che viene estesa anche a tutte le imprese che impiegano più di 50 dipendenti o fatturano più di 10 milioni di euro (artt. 1 e 2);
• disciplina la nullità delle clausole che prevedono un compenso per il professionista inferiore ai parametri, nonché di ulteriori specifiche clausole indicative di uno squilibrio nei rapporti tra professionista e impresa, rimettendo al giudice il compito di rideterminare il compenso iniquo (art. 3) ed eventualmente di con- dannare l'impresa al pagamento di un indennizzo in favore del professionista (art. 4);
• prevede che gli ordini e i collegi professionali debbano adottare disposizioni deontologiche volte a sanzionare il professionista che violi le disposizioni sull'equo compenso (art. 5);
• consente alle imprese committenti di adottare modelli standard di convenzione concordati con le rappresentanze professionali, presumendo che i compensi ivi individuati siano equi fino a prova contraria (art. 6);
• prevede la possibilità che il parere di congruità del compenso emesso dall'ordine o dal collegio professionale acquisti l'efficacia di titolo esecutivo (art. 7);
• disciplina la decorrenza dei termini di prescrizione delle azioni relative al diritto al compenso (art. 5) e alla responsabilità professionale (art. 8);
• consente la tutela dei diritti individuali omogenei dei professionisti attraverso l'azione di classe, proposta dalle rappresentanze professionali (art. 9);
• istituisce, presso il Ministero della giustizia, l'Osservatorio nazionale sull'equo compenso (art. 10); prevede una disposizione transitoria che esclude dall'ambito di applicazione della nuova disciplina le convenzioni in corso, sottoscritte prima della riforma (art. 11);
• abroga la disciplina vigente (art. 12). La disciplina dell'equo compenso è stata introdotta, nella XVII legislatura, per porre rimedio a situazioni di squilibrio nei rapporti contrattuali tra professionisti e clienti "forti", individuati nelle imprese bancarie e assicurative nonché nelle imprese diverse dalle PMI. Sono stati infatti approvati in rapida successione l'art. 19-quaterdecies del decreto-legge n. 148 del 2017 (cd. decreto fiscale), e l'art. 1, commi 487 e 488, della legge n. 205 del 2017 (legge di bilancio 2018), che hanno disciplinato l'equo compenso per le prestazioni professionali degli avvocati, poi esteso anche alle altre professioni regolamentate e nell'ambito del lavoro autonomo.
In particolare, l'art. 19-quaterdecies del decreto-legge n. 148 del 2017 ha disciplinato il compenso degli avvocati nei rapporti professionali con imprese bancarie e assicurative, nonché con imprese diverse dalle microimprese e dalle piccole e medie imprese, quando il rapporto professionale sia regolato da una convenzione. Il legislatore ha introdotto una disciplina del compenso e ha richiesto che tale compenso sia equo, presupponendo che la convenzione sia stata predisposta unilateralmente dal cliente "forte" a svantaggio del professionista. A tal fine, il decreto-legge ha introdotto nella legge professionale forense (legge n. 247 del 2012) l'articolo 13-bis, poi modificato dalla legge di bilancio 2018, che definisce equo il compenso dell'avvocato determinato nelle convenzioni quando esso sia: «proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto» e «al contenuto e alle caratteristiche della prestazione legale» nonché conforme ai parametri determinati dal decreto del Ministro della Giustizia per la determinazione del compenso dell'avvocato per ogni ipotesi di mancata determinazione consensuale e liquida- zione giudiziale.
Il comma 2 dell'articolo 19-quaterdecies, inoltre, ha esteso il diritto all'equo compenso previsto per la professione forense, in quanto compatibile, anche a tutti i rapporti di lavoro autonomo che interessano professionisti, iscritti o meno agli ordini e collegi, i cui para- metri sono definiti dai decreti ministeriali di attuazione del decreto-legge n. 1 del 2012, il quale, con esclusivo riferimento alle professioni ordinistiche, ha soppresso le tariffe professionali ed ha introdotto i parametri per la liquidazione giudiziale dei compensi in caso di mancato accordo tra le parti.
Si ricorda, peraltro, che in data 24 novembre 2017 l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nell'esercizio dei poteri di cui all'art. 22 della legge 10 ottobre 1990 n. 287, ha deliberato l'invio di una nota ai presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, nonché al Presidente del Consiglio dei Ministri, avente ad oggetto alcune disposizioni previste nel d.l. 148/2017 e nel DDL AC 4741 di conversione dello stesso, recante "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 ottobre 2017, n. 148, recante disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze indifferibili. Modifica alla disciplina dell'estinzione del reato per condotte riparatorie" (c.d. decreto fiscale). In primo luogo, è stata segnalata la contrarietà ai principi concorrenziali di quanto previsto dall'art. 19-quaterdecies in
tema di "equo compenso" per le professioni, che introduce il principio generale per cui le clausole contrattuali tra i professionisti e alcune categorie di clienti, che fissino un compenso a livello inferiore rispetto ai valori stabiliti in parametri individuati da decreti ministeriali, sono da considerarsi vessatorie e quindi nulle.
Secondo l'Autorità, la disposizione, nella misura in cui collega l'equità del compenso a parametri tariffari contenuti nei decreti anzidetti, reintro- duce di fatto i minimi tariffari, con l'effetto di ostacolare la concorrenza di prezzo tra profes- sionisti nelle relazioni commerciali con alcune tipologie di clienti c.d. "forti" e ricomprende anche la Pubblica Amministrazione. L'Autorità ha sottolineato come, secondo i consolidati principi antitrust nazionali e comunitari, le tariffe professionali fisse e minime costituiscano una grave restrizione della concorrenza, in quanto impediscono ai professionisti di adottare comportamenti economici indipendenti e, quindi, di utilizzare il più importante strumento con- correnziale, ossia il prezzo della prestazione.
L'Autorità ha quindi concluso che "l'articolo 19- quaterdecies in quanto idoneo a reintrodurre nell'Ordinamento un sistema di tariffe minime, peraltro esteso all'intero settore dei servizi professionali, non risponde ai principi di proporzio- nalità concorrenziale, oltre a porsi in stridente controtendenza con i processi di liberalizzazione che, negli anni più recenti, hanno interessato il nostro ordinamento anche nel settore delle pro- fessioni regolamentate".
Si ricorda, infine che la Corte di Giustizia dell'Unione Europea (sezione IV), nella sentenza 4 luglio 2019, caso C-377/17 ha affermato che in materia di compensi professionali, l'indicazione delle tariffe minime e massime è vietata in quanto incompatibile con il diritto dell'Unione Europea, ma sono comunque ammesse deroghe per motivi di interesse pubblico, come la tutela dei consumatori, la qualità dei servizi e la trasparenza dei prezzi.
Nella vicenda oggetto della sentenza, la Commissione UE aveva chiesto alla Corte di verificare se, mantenendo tariffe obbligatorie per gli architetti e gli ingegneri, la Germania fosse venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell'articolo 49 TFUE nonché dell'articolo 15, paragrafo 1, paragrafo 2, lettera g), e paragrafo 3, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno. Per essere conformi agli obiettivi di tale direttiva le tariffe devono essere non discriminatorie, necessarie e proporzionate alla realizzazione di un motivo imperativo di interesse generale. La Corte, nel caso di specie, ha ritenuto che le tariffe obbligatorie previste in Germania per i servizi di progettazione di base degli architetti e degli ingegneri violino il suddetto articolo 15 della direttiva 2006/123/CE, in quanto non idonee a perseguire in modo coerente e sistematico i "motivi im- perativi di interesse generale" addotti dalla Germania, quali in particolare la garanzia dell'ele- vata qualità delle prestazioni professionali e la tutela dei consumatori.
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