Tra i soggetti del Pnrr, sono proprio i comuni, specie quelli del meridione, ad essere più in difficoltà non solo nel portare avanti i progetti ma anche nel presentare delle proposte ammissibili ai finanziamenti. I motivi di queste difficoltà possono essere molteplici, ma una delle cause principali è la carenza di personale e di competenze adeguate in queste realtà.
Mancanze che sono da imputare a disparità e ritardi che caratterizzano storicamente i territori del mezzogiorno e ai quali lo stato non è mai riuscito a porre rimedio in modo efficace. Se tali lacune non saranno colmate, non solo i progetti ammessi a finanziamento in questi territori rischiano di non concludersi nei tempi previsti. Ma si rischia anche che il Pnrr, anziché ridurli, contribuisca ad acuire i divari tra quei territori che già oggi sono più efficienti e il resto del paese.
Sono moltissime le difficoltà per gli enti locali che sono chiamati a dare attuazione ad alcuni degli investimenti del piano nazionale di ripresa e resilienza, il cosiddetto Pnrr.
Tra i soggetti del Pnrr, sono proprio i comuni, specie quelli del meridione, ad essere più in difficoltà non solo nel portare avanti i progetti ma anche nel presentare delle proposte ammissibili ai finanziamenti. I motivi di queste difficoltà possono essere molteplici, ma una delle cause principali è la carenza di personale e di competenze adeguate in queste realtà.
Mancanze che sono da imputare a disparità e ritardi che caratterizzano storicamente i territori del mezzogiorno e ai quali lo stato non è mai riuscito a porre rimedio in modo efficace. Se tali lacune non saranno colmate, non solo i progetti ammessi a finanziamento in questi territori rischiano di non concludersi nei tempi previsti. Ma si rischia anche che il Pnrr, anziché ridurli, contribuisca ad acuire i divari tra quei territori che già oggi sono più efficienti e il resto del paese.
In questo quadro si inserisce poi il modello adottato per la selezione dei progetti da finanziare. Un modello che privilegia la competizione tra territori anziché l’adozione di politiche perequative. La quantità di passaggi burocratici a cui adempiere e la complessità della documentazione da fornire infatti, in alcuni casi può anche scoraggiare gli enti locali meno efficienti. Che rinunciano perfino all’invio delle candidature. La conseguenza di questa dinamica è che gli enti locali che rischiano di rimanere esclusi dal riparto dei fondi del Pnrr sono proprio quelli che ne avrebbero maggiormente bisogno.
Parliamo generalmente di piccoli centri che si trovano nel mezzogiorno, tra cui la nostra città, Pomigliano d’Arco, o nelle aree interne del paese. Ma anche di città maggiori, che talvolta sono incappate nelle stesse difficoltà. Per evitare che ciò avvenga è stata introdotta la clausola che imponeva ai ministeri e agli altri soggetti responsabili di destinare almeno il 40% delle risorse al mezzogiorno, anche se, in moltissimi casi, tale quota non è stata rispettata. Questo perché spesso dai territori non è stato presentato un numero sufficiente di domande.
Le difficoltà inoltre non si esauriscono neanche nei casi in cui gli enti locali riescano a intercettare i fondi. In particolare si sollevano dubbi sulla loro capacità di portare le opere a compimento entro i tempi previsti. Si tratta di un elemento fondamentale per non rischiare di perdere i fondi europei. Su questo aspetto è un rapporto dell’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel mezzogiorno (Svimez) a fornire una panoramica preoccupante, soprattutto per il sud del paese.
Svimez ha analizzato la banca dati delle opere pubbliche relative a interventi infrastrutturali realizzati dai comuni (escluse le città metropolitane) nel periodo compreso tra il 2012 e il 2021.
Concentrandosi in particolare sulla realizzazione delle opere per infrastrutture sociali. Non solo perché è il settore in cui è stato realizzato il maggior numero di interventi (circa il 49,6% del totale) ma anche perché si tratta di un ambito di fondamentale importanza per raggiungere gli obiettivi di coesione territoriale previsti dal Pnrr.
Sono 69.712 i progetti comunali già inseriti nel «Regis», il cervellone elettronico della Ragioneria generale dello Stato che gestisce le infinite articolazioni del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il loro costo ammesso si attesta 29,5 miliardi di euro, in pratica i tre quarti dei circa 40 miliardi complessivi cumulati dagli interventi che devono passare sul tavolo dei sindaci.
A primeggiare per numero di progetti è la Lombardia, con 11.728 interventi. Ma il dato si spiega prima di tutto con le dimensioni della prima regione italiana. Il rapporto fra numero di progetti e popolazione conferma invece l’orientamento meridionale di molti filoni del Piano, con qualche sorpresa. Il Sud, dove risiede il 33,8% degli italiani, abbraccia il 37,7% degli interventi comunali finanziati dal Pnrr. Anche il Nord registra però una quota di progetti (48,3%) leggermente superiore al peso della sua popolazione (46,4%); in questa forbice sembrano restare schiacciate le regioni del Centro, che ospitano il 19,8% dei residenti ma pesano solo per il 14% sul totale dei progetti. Ma c’è di più.
Tolte Molise, Valle d’Aosta e Basilicata, fuori scala per le loro piccole dimensioni, il rapporto progetti/popolazione vede in testa Sardegna, Calabria e Abruzzo, con un intervento ogni 373-428 abitanti. Subito dopo si incontra in graduatoria la prima regione settentrionale, il Piemonte, con un progetto ogni 485 cittadini, mentre la Lombardia si ferma molto più in basso con un rapporto quasi doppio (843).
Ma le sorprese maggiori arrivano in fondo, con il Lazio (un intervento ogni 1.505 residenti) e soprattutto con la Sicilia che chiude la classifica con un intervento ogni 1.647 abitanti. Certo, un esame completo deve tener conto anche del valore unitario dei singoli investimenti. Ma già queste cifre sembrano confermare che in alcune aree del Paese la priorità assegnata al Sud dall’obiettivo della coesione territoriale si scontra con forti deficit progettuali. I problemi, insomma, iniziano già prima della fase cruciale della realizzazione, che domina le preoccupazioni di governo ed enti locali. Purtroppo, la maggior parte delle amministrazioni comunali reclamano a gran voce una immissione di personale senza tuttavia tener conto della professionalità, che invece, manca.
In una città industriale come Pomigliano d’Arco bisognerebbe investire, oltre che sul miglioramento dei servizi e dell’ambiente, sul sensibile aumento della qualità professionale dei giovani, con l’innesto sul territorio di istituti aziendali che favoriscano in modo migliore la preparazione tecnica così da offrire, per il futuro, la possibilità di sviluppare menti e raggiungere mete prefissate. Invece, si è preferito aiutare e foraggiare la “povertà” con un reddito di cittadinanza finalizzato al “voto di scambio”, anziché eliminarla definitivamente con lavoro professionale.
Non c’è sindaco che non invochi assunzioni, assunzioni e assunzioni che, come sappiamo, sono esclusivamente dirette a moltiplicare il proprio consenso politico ed elettorale. Per formare progetti e raggiungere obiettivi c’è invece bisogno di qualità, una qualità che tuttavia nel nostro paese, specialmente al sud è scarsa e priva di adeguata competenza.
L’errore fondamentale è stato quello di aver fatto il passo più lungo della gamba: il governo Conte, nel chiedere ed ottenere un così vasto finanziamento, avrebbe dovuto, prioritariamente, fare i conti con le carenze organizzative che stanno impedendo all’Italia e ai comuni di spendere nel miglior modo possibile i fondi europei. Ma se la cultura è quella esclusiva dell’apparenza di una “bella figura” a fini elettoralistici, è evidente che l’Italia non potrà mai essere soggetto di “resilienza”.
di Giovanni Passariello
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