Un recente elaborato dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre ci rivela che l’inflazione ha pesato sui conti correnti italiani come una poderosa patrimoniale. Sono andati in fumo 92 miliardi e cento milioni di euro. A questo importo si arriva tenendo conto di due parametri. Il primo è costituito appunto dall’indice Istat sull’aumento dei prezzi, che segnala una crescita di circa 8 punti percentuali. L’altro indicatore, desolante per il motivo esattamente opposto, è rappresentato dal tasso di interesse applicato dagli istituti di credito nello stesso periodo: praticamente 0,0!
Se si considera che il totale del risparmi depositati in conto corrente al 31 dicembre risultava pari a 1.152 miliardi, viene fuori il salasso cui si accennava, un autentico pugnale nella schiena per chi magari per anni e anni ha cumulato risorse risparmiando.
Se poi guardiamo al Mezzogiorno, scopriamo che il tributo versato all’inflazione è ancora più gravoso e preoccupante. A Napoli, in particolare, i rincari dei beni di prima necessità sono stati, nel periodo luglio ’21-giugno ’22, notevolmente più elevati della media nazionale: + 9,7% contro l’8,2% italiano. Un aumento così marcato non si registrava dal 1986 e per il Sud giocano a sfavore il maggiore costo dei trasporti, costo del denaro, burocrazia, sicurezza minori potenzialità delle imprese meridionali, oltre che probabili operazioni speculative. Il caro prezzi va a colpire i beni primari, perché a quelli non si può rinunciare. Così facendo, finisce per incidere maggiormente sulle famiglie meno abbienti che, statistiche alla mano, per il mix dei beni acquistati, sono stati bersagliati da un’inflazione superiore per oltre tre punti percentuali a quella delle famiglie più agiate.
Il Sud polveriera, se dovessero continuare queste condizioni anomale, rischia di non restare più uno slogan, ma una inquietante minaccia. Diminuisce il potere d’acquisto dei lavoratori, aumentano i tassi dei mutui. L’unica speranza è che la forbice non continui a divaricarsi.Il Pnrr deve fare la sua parte, ma non solo ci sono risorse interne da cui attingere( gli sprechi della spesa pubblica), per migliorare le condizioni del Sud. Lo ribadiremo fino alla noia:”L’Italia si salva se si salva il Sud”. Alcune dinamiche sfuggono al controllo dei nostri governanti. Pandemia, caro materie prime ed energia, Ucraina,sono problemi da affrontare.
Solo un esecutivo forte e autorevole può provare a fronteggiare con successo un insieme di criticità come quelle che stanno sconvolgendo l’economia e peggiorando le condizioni di vita di tantissimi connazionali. Speriamo che la ragione prevalga
Giovanni Lepre
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