Si è appena concluso il primo quinquennio di riforma dei percorsi professionali introdotta dalla Buona Scuola ed ecco che Valditara ne annuncia già un’altra: la nuova “filiera formativa tecnologico-professionale”. L'idea di base è nota: gli studi tecnico-professionali devono avere come unico scopo quello di garantire la corrispondenza capillare tra domanda e offerta in funzione dei “fabbisogni di ciascun settore e territorio”. Serve quindi una trasformazione radicale dell’ordinamento esistente e una nuova campagna mediatico-promozionale, che ne sostenga l’immagine pubblica, accompagnata dal consueto racconto sulla mancanza di lavoratori per le imprese sulla e dall’esortazione a scegliere percorsi scolastici non liceali.
Di Mario Sorrentino*
Si è appena concluso il primo quinquennio di riforma dei percorsi professionali introdotta dalla Buona Scuola ed ecco che Valditara ne annuncia già un’altra: la nuova “filiera formativa tecnologico-professionale”. L'idea di base è nota: gli studi tecnico-professionali devono avere come unico scopo quello di garantire la corrispondenza capillare tra domanda e offerta in funzione dei “fabbisogni di ciascun settore e territorio”. Serve quindi una trasformazione radicale dell’ordinamento esistente e una nuova campagna mediatico-promozionale, che ne sostenga l’immagine pubblica, accompagnata dal consueto racconto sulla mancanza di lavoratori per le imprese sulla e dall’esortazione a scegliere percorsi scolastici non liceali.
D’altra parte, se è vero, come ricordava Antonio Tajani al Meeting di Rimini, che “non dobbiamo tutti studiare economia e filosofia”, e “chi può lavorare deve andare a lavorare”, è giusto che i giovani che “possono” e “devono” lavorare non perdano tempo a scuola. Si faccia della scuola una formazione precoce al lavoro ben fatta. La corrispondenza capillare scuola-lavoro così come la abbiamo intesa finora non basta più. L’allineamento domanda/offerta va cercato non solo in senso “spaziale”, in funzione di fabbisogni produttivi geograficamente differenziati. Nella bozza di sperimentazione si fa riferimento a una nuova dimensione: quella della sincronizzazione temporale, laddove si dichiara di voler realizzare un sistema “capace di costanti e naturali adeguamenti”.
È una capacità tutta nuova quella che la scuola tecnico-professionale italiana deve acquisire: entrare in perpetua risonanza con il mondo produttivo, su tempi che non possono più attendere quelli della durata ordinamentale di percorsi stabiliti per legge: i 5 anni di studio. L’inerzia strutturale e la temporalità tipica del sistema scolastico, che le conquiste del Novecento hanno dilatato e tentato di universalizzare,oggi devono fare un passo indietro.Per far questo servono nuove regole e nuovi insegnanti. Da qui l’idea della filiera integrata, da formalizzare con un “patto tra imprese, tessuto produttivo e scuole”.Il “4+2”, l’ha chiamato Valditara. Un po’ come per le offerte dei supermercati, la riforma offre diplomi in 4 anni anziché 5 e promette di incanalare direttamente i giovani nelle catene produttive del loro territorio. La filiera 4+2 di Valditara introduce nel sistema degli ordinamenti un nuovo canale formativo, inizialmente sperimentale, ma prevedibilmente destinato a diventare il canale privilegiato di accesso al mondo delle professioni: un percorso scolastico abbreviato e obbligatoriamente incardinato nella formazione dei nuovi ITS Academy.
Si realizza così quella trasformazione evocata da anni, da tutte le forze politiche: la fusione tra scuola e imprese, in termini di obiettivi, prassi didattiche e profili in uscita; e il passaggio del controllo di un pezzo del nostro sistema di istruzione da mano pubblica a operatori privati.
Due i punti chiave della consegna delle scuole tecnico-professionali al mondo della produzione. Da un lato, i vincoli della co-progettazione e del partenariato, dall’altro, il travaso continuo di risorse umane: Imprenditori che diventano insegnanti, studenti che diventano lavoratori. La riduzione di 1 anno del corso di studi, l’apprendistato di primo livello ordinario e generalizzato, l’alternanza scuola lavoro potenziata adegueranno poi incessantemente gli standard formativi ai desiderata del mercato locale, smistando studenti-lavoratori nelle diverse realità produttive territoriali: forza lavoro pronta per essere utilizzata.
La formazione scolastica e l’acquisizione di saperi e conoscenze diventano superflui. Possono dunque essere ridotti a saperi minimi, certificati dall’INVALSI. Il diploma, inteso come referenziale universale, non trova alcuna corrispondenza nell’impresa. Sarà il “portfolio delle competenze” – recentemente introdotto anche nella formazione generalista con la nuova figura di “tutor” ed “orientatore “ a segnalare ilvalore reale dello studente-lavoratore. Costantemente aggiornato, darà testimon ianza dell’incessante mobilitazione e dell’acquisizione di comportamenti, prassi e attitudini adeguati alla richiesta dei datori di lavoro.
La sperimentazione di Valditara inaugura non solo un nuovo modello di formazione-lavoro, breve e centrato sul protagonismo dell’impresa formatrice, fortemente differenziato a livello regionale; consolida una nuova forma di socializzazione professionale, impone la logica dell’occupabilità precoce, permanente e individualizzata, che si oppone alla cultura del lavoro socialmente e storicamente fondata. All’orizzonte,si intravede un nuovo ordine salariale, dominato dalla flessibilità dell’impiego e dalla contrattazione individuale tra lavoratore e datore di lavoro.La certificazione delle competenze e il portfolio personale non possono che condurre a questo.
Lo studente che a 14 anni esce dalla scuola del primo ciclo e non può permettersi il lusso di studiare non ha tempo da perdere. Non parliamo del figlio di Briatore, ma dei “dispersi impliciti” etichettati dall'INVALSI, anno dopo anno,dei “fragili”, degli “sfigati”. La riforma è a loro che si rivolge. Per questi giovani servono conoscenze di tipo professionale e pochi schemi comportamentali: apprendere la vocazione all’impegno e alla disponibilità, imparare i rapporti con la gerarchia, sviluppare lo spirito di sacrificio e il gusto per il risultato, la capacità di superarsi, la buona disposizione al cambiamento e all’obbedienza. Sono queste le qualità umane – le famose “competenze non cognitive”– che il giovane, povero ma volenteroso, deve rapidamente apprendere, non certo la filosofia o la letteratura.
Nulla di nuovo, d’altronde:“La scuola media superiore per tutti, al più alto livello di qualità didattica e di disciplina formatrice, è una prospettiva insopportabile per l’ordine tardocapitalistico che vuole bensì la scuola per tutti ma perché tutti, convenientemente sottoeducati, possano essere consegnati alla selezione extrascolastica e al sottoimpiego nella produzione”.(Franco Fortini, 1971)
*già Dirigente scolastico
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