Premierato, intervista a Stefano Ceccanti ): "La proposta non deve spaventare ma presenta molti punti oscuri. Ecco quali"
Secondo il costituzionalista ed ex deputato dem: "Non è chiaro se le schede sono 2 o addirittura 3 (Premier, Camera, Senato) e da lì tutta una serie di altre contraddizioni. Alla domanda se è giusto che i cittadini possano conoscere prima l'effetto che il loro voto avrà sul Governo, rispondo di sì, come già faceva Roberto Ruffilli negli anni '80, parlando del cittadino come arbitro della scelta del Governo. Però questo non vuol dire che qualsiasi scelta pratica che parta da questa risposta vada bene"

Stefano Ceccanti, professore di Diritto pubblico comparato ed ex deputato del Pd, è un esperto di riforme costituzionali. Nel 2016, fu lui a promuovere il comitato per il Sì a sostegno del referendum confermativo sulla riforma Renzi-Boschi, che si concluse negativamente il 4 dicembre. Attualmente, si sta occupando della riforma sul cosiddetto "premierato", su cui Giorgia Meloni sta spingendo molto, al fine di "mettere direttamente nelle mani degli italiani la scelta di chi deve guidare l'Italia".
Il governo sta procedendo speditamente. Di recente si è votato per l'abrogazione dei senatori a vita, un istituto che esiste solo in Italia, ma che è difeso dalla sinistra. Il professore spiega il motivo: "Un'integrazione della rappresentanza, in questo o in altri modi, ha senso solo in Camere che non danno la fiducia ai Governi. Tanto più da un punto di vista di sinistra, che ha sempre teso a valorizzare il suffragio universale".
Di recente, Meloni ha dichiarato: "o la va o la spacca". Questa affermazione, secondo Ceccanti, fine costituzionalista, è "del tutto sbagliata, perché non adatta alle modifiche delle regole del gioco che dovrebbero essere condivise. Non si può trattare la materia costituzionale come un qualsiasi tema oggetto di scontro politico. Si dovrebbe seguire la via preferenziale dell'accordo a due terzi senza referendum, marcando così la condivisione e senza spaccare niente. Bisognerebbe ripartire tutti quanti con una logica diversa, puntando a un compromesso ragionevole".
Il "premierato" rappresenta la piena personalizzazione della politica. Iniziata con l'apposizione del nome dei leader nei simboli, ora si cerca direttamente il benestare del popolo. Siamo ai tempi della disintermediazione, dove si cerca l'afflato diretto con l'elettore, piuttosto che passare per le vie democratiche della partecipazione parlamentare. Tuttavia, "la personalizzazione è un fenomeno non di oggi e va regolato, non demonizzato, è un dato della realtà", dice Ceccanti. "Il punto è se il modo in cui lo regoliamo è sensato oppure no. Sin qui i modelli di premierato, proposti storicamente dal centrosinistra, erano molto semplici: un'unica scheda e un unico voto per i deputati (con una sola Camera sede del rapporto di fiducia) ognuno dei quali indicava sulla stessa scheda il candidato Premier a lui collegato. Qui invece non è chiaro se le schede sono 2 o addirittura 3 (Premier, Camera, Senato) e da lì tutta una serie di altre contraddizioni. Alla domanda se è giusto che i cittadini possano conoscere prima l'effetto che il loro voto avrà sul Governo, rispondo di sì, come già faceva Roberto Ruffilli negli anni '80, parlando del cittadino come arbitro della scelta del Governo. Però questo non vuol dire che qualsiasi scelta pratica che parta da questa risposta vada bene".
La maggioranza, nel proteggere la proposta, fa spesso riferimento alle democrazie occidentali, come gli Stati Uniti o il Regno Unito, dove esistono le figure del premier scelto direttamente dall'elettorato. Tuttavia, secondo Ceccanti, "Se si intende che i modelli di premierato si ispirano al Regno Unito, cercando di conseguire una scelta diretta da parte dell'elettorato di maggioranza e Governo tendenzialmente per la legislatura, questa è sempre stata l'ispirazione di fondo. Però bisogna vedere se questa ispirazione è declinata in modo ragionevole. Come si eleggono i parlamentari? Cioè sono riconoscibili come quelli inglesi grazie al collegio uninominale, che è il modo più naturale rispetto ai sistemi proporzionali con premio per determinare un effetto maggioritario?
Nel Regno Unito, prosegue il Professore, c'è un tendenziale bipartitismo, per cui il partito che arriva primo in voti non scende quasi mai sotto il 40 per cento dei voti e arriva naturalmente alla maggioranza assoluta dei seggi grazie ai collegi uninominali maggioritari. Sul Continente, invece, c'è più frammentazione e, con i premi, si rischia di assegnare una maggioranza assoluta in seggi, che la riforma vorrebbe garantire, a chi abbia solo una minoranza molto risicata in voti. C'è bisogno di una soglia minima, come ha stabilito la Corte costituzionale. Se la soglia non è raggiunta occorre un ballottaggio. Tutte questioni così importanti da non poter essere lasciate alla legge elettorale, ma che devono essere conosciute e risolte subito dentro il testo della riforma costituzionale".
Ceccanti sposta l'attenzione sulla soglia minima e sull'eventualità di non raggiungimento della stessa: "L'assenza di una soglia per il premio e la non chiarezza di cosa succede se essa non è raggiunta, la pretesa di garantire una maggioranza in seggi vincolandosi solo allo strumento del premio e non ai collegi, il rischio di un peso decisivo del voto estero che sin qui era concepito solo come un diritto di tribuna, la carenza di attenzione verso i contrappesi".
Sul testo depositato sono stati apposti 3000 emendamenti, ma quelli più sensati, secondo il professor Ceccanti, si riducono a due: "Quelli che il senatore Scalfarotto si è prestato a presentare per servizio, redatti dalle Associazioni Io Cambio, Libertà Eguale, Magna Carta, Riformismo e Libertà. Il primo risolve col ballottaggio il problema della legittimazione ad ampia maggioranza del Premier, il nodo del voto estero e quello delle possibili maggioranze diverse tra Camera e Senato. Il secondo alza il quorum per eleggere il Presidente della Repubblica al 55% e amplia il collegio elettorale anche ai parlamentari eletti in Italia al Parlamento europeo e a un numero di sindaci equivalente a quello dei delegati regionali, in modo che non possa essere espresso solo dalla maggioranza pro tempore".
Il dibattito a sinistra abbraccia la tesi che dietro questa riforma possano nascondersi principi autoritaristici. Piuttosto, per Ceccanti, ci sono degli obiettivi non chiariti nella riforma: "Si vuole trasformare in maggioranza una minoranza ristretta in voti, che potrebbe essere ostaggio di forze estremiste anche piccole, o si vuole andare verso una scelta di ampia maggioranza degli elettori anche e soprattutto con un ballottaggio? E sul metodo: si vuole imporre una scelta di parte o si vuole perseguire un saggio compromesso?". L'iter di approvazione è lungo e complesso e chissà se vedrà la luce durante il mandato del centrodestra, ma, spiega Ceccanti, "l'importante è che si trovi un punto di equilibrio affinché veda la luce un testo che risolva i problemi, evitando di condannare i cittadini a un referendum con due alternative che sarebbero entrambe sbagliate, quella di un Sì a un modello gravemente deficitario e a un No fatto solo di slogan di sostanziale immobilismo", conclude Ceccanti.

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