Già, la normalità. Qualche tempo fa era una parola che mi infastidiva semplicemente, perché nel mio pensiero artistoide era sinonimo di mediocrità. Questa parola però, con il tempo, per colpa della medicina ed ancor più della psichiatria (che sono come la goccia sulla roccia per il carattere degli studenti), è riuscita a stupirmi per la sua capacità di rendersi ancora più odiosa ed insulsa, provocandomi quasi una rabbia fisica che irrompe spesso in spiegazioni brevissime e sprezzanti. “Sente le voci del diavolo e si crede Pippo Baudo: ma è normale?”.
Domande del genere mi vengono rivolte tutte i giorni, ed io resto in dubbio se desiderino davvero una risposta affermativa o il suo opposto. Le certezze rassicurano, anche quelle brutte, molto più che restare sospesi. No, ci sono cose che deviano pesantemente dalla norma, e pertanto non sono “normali”; ma la normalità di uno psichiatra è avere a che fare anche con persone che “sentono le voci”, perciò alla domanda si potrebbe dare una risposta del tutto fuorviante. Senza provare a scadere nella inutile filosofia, che non trova posto in una disciplina clinica e quindi eminentemente pratica come la mia, sostituisco sempre il termine “normale” nelle mie risposte con “fisiologico/patologico, comprensibile data la condizione/ personalità di base, atteso/non atteso” e così via.
Il problema è che avere una patologia non è “non normale” o “deviante dalla normalità”, ma è rientrare in un gruppo di persone clinicamente identificabile e statisticamente quantificabile. Nulla di “anormale”, insomma. “Comprensibile, atteso”. Credo siano i miei termini preferiti perché fanno capire a chi mi sta di fronte che non ci sono sorprese in psicopatologia. Persino l’evento che può sembrare più drammatico e diverso da ciò che è sempre stato sino ad adesso non coglie di sorpresa lo psichiatra esperto. Che sia quasi banale come una oscillazione dell’umore in un cambio stagionale o la catatonia. Ciò avviene anche quando fanno capolino, per i motivi più diversi, dei sintomi che non superano la soglia della patologia e che non richiedono trattamento, ma che preoccupano il malcapitato come se stesso impazzendo.
“È normale?”, chiede di sovente allo psichiatra chi ne ha la possibilità, magari solo per frequentazioni trasversali o per amicizia; beh, ogni volta che avviene, c’è nel mondo uno psichiatra che sente in diretta peggiorare la sua ulcera. E non c’è Malox che tenga. La settimana scorsa ho avuto la febbre. Io la febbre non ce l’ho mai, è un evento eccezionale, quasi come una gioia. Mi sono accorto di avere una febbre medio alta perché, nel dormiveglia, i miei pensieri frullavano senza controllo, ed io non riuscivo a stopparli. Vivevo percorsi mentali, scrivevo storie di cui non mi interessava l’inizio e neppure lo svolgimento; proprio come la classica canzone che ti resta in testa per una giornata intera e tu non vorresti canticchiarla ad altoparlante disattivato, ma non riesci a farne a meno. Bene, prima ancora che il termometro o la tosse, era questo il modo che aveva la febbre di avvisarmi della sua venuta anche quando ero bambino, ed io soffrivo più per questo tornado di pensieri che per tutto il resto.
È proprio vero, ognuno sta male come può, e come può è, invariabilmente, come deve. E come deve è prevedibile e comprensibile, perché rimanda a come è fatto. Quindi, io ho una febbre “ossessiva”, in ossequio ai miei tratti. Non potrei farci nulla anche se volessi, se non farci pace ed accettarlo. “L’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale”. Oggi la chiudo così, e vado ad ascoltarmi la canzone. Sperando non mi resti in testa per tutto il giorno.
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