Life on Mars? - di Vittorio Schiavone - Il teorema del pollo
Il disturbo ossessivo-compulsivo di Angelica trattato con la sua verve narrativa dal dott. Vittorio Schiavone.

“Ci pensa, Dottore?”.
Ho sempre avuto una naturale inclinazione per gli “ossessivi”. Sarà perché ne condivido i tratti, per ragioni affettive o, semplicemente, perché il trattamento del disturbo da cui sono affetti, storicamente difficile, mi ha sempre stimolato: è in condizioni simili che la conoscenza e la sensibilità dello psichiatra possono dire la loro, letteralmente cucendo addosso al paziente una terapia. Per gli stessi motivi, eccezion fatta per i farmaci, gli “ossessivi” mi hanno sempre fatto incazzare, odiando io che mi si dica una cosa due volte. Ma questa è un’altra storia.
Avevo conosciuto Angelica qualche anno fa, in occasione dell’emergenza di una sintomatologia rupofobica con condotte ablutomaniche da manuale. Gli psichiatri amano usare termini altisonanti per nobilitare la più banale quotidianità; in sostanza, la ragazza aveva il terrore dello sporco e si lavava continuamente le mani. Era in psicoterapia con una collega che non conoscevo, e che l’aveva indirizzata a me per l’irriducibilità di questi sintomi; aveva all’epoca 23 anni, una cosa buona in quanto, quando i sintomi ossessivo-compulsivi esordiscono in età adulta, hanno una prognosi migliore. In questi casi, secondariamente anche con l’intento di rassicurare i pazienti, io dico loro che si tratta di una reazione di tipo ossessivo-compulsivo, vale a dire un qualcosa che, nelle opportune condizioni di temperatura e pressione, è venuto fuori in maniera concorde alla loro natura, carattere o personalità, che dir si voglia. In parole povere, l’evento impatta contro la personalità e, se riesce a superare le capacità di adattamento, si sviluppa un sintomo che è derivabile, cioè comprensibile, in base alla personalità stessa. In parole ancora più povere, ciascuno saluta con il cappello che ha. Con una opportuna terapia, Angelica stette bene in poco tempo e, trascorso il tempo statisticamente adeguato, decidemmo insieme di ridurre e poi sospendere i farmaci.
La sua telefonata mi colse, stranamente, mentre ripensavo proprio al periodo della mia vita in cui l’avevo vista per la prima volta. Faccio sempre fatica a rievocare gli anni, e così mi devo aiutare con degli eventi certi che hanno segnato la mia vita; questi eventi certi sono le fidanzate, ma anche questa è un’altra storia. Mi chiese un appuntamento e si meravigliò che io mi ricordassi di lei, visto che era trascorso un po’ di tempo; le diedi un appuntamento per la settimana successiva. All’appuntamento giunse puntuale come solo un ossessivo sa essere ma, con mia meraviglia, non mi parlò della emergenza di un nuovo sintomo ossessivo. Mi raccontò che aveva interrotto, poco dopo l’interruzione dei farmaci, anche la psicoterapia su indicazione della terapeuta stessa, che non riteneva fosse il caso di continuare perché lei era “guarita”. La ragazza, complice anche i miei discorsi, non si era mai sentita “malata”, e già questo le suonò strano. In più, liberata da saponi, disinfettanti ed affini, si era accorta che c’erano degli aspetti del suo carattere francamente ossessivi, e su questi avrebbe voluto un po’ lavorare ma… niente, non pareva possibile farlo. Così si era rivolta a me per ricominciare un percorso.
Ero perplesso. Ero perplesso perché, per motivazioni che non sto qui a spiegare, è molto raro che accetti nuovi pazienti in psicoterapia. Ero perplesso per tutto il discorso e, se non fosse trascorso così tanto tempo, avrei contattato la terapeuta precedente per sapere come stessero le cose dal suo punto di vista. Angelica voleva una risposta, ed io dovevo dargliela; così le dissi che ci saremo incontrati per un certo numero di volte e che, dopo questo periodo, avremmo fatto il punto della situazione; se me la fossi sentita, avremmo continuato, diversamente le avrei consigliato un collega di cui mi fidavo. Accettò.
Superammo in scioltezza gli incontri stabiliti e, come due pugili che avevano terminato di studiarsi, iniziammo a darcele di sanata ragione. Le sedute non erano agevoli e mi costavano molta fatica, tant’è che pensavo che perseguire ciò che è giusto è notevolmente costoso. Ma tant’è, ciascuno saluta con il cappello che ha. Dopo un periodo di ossessivo immobilismo (come in un film francese tutto si svolgeva con una lentezza tale da dare l’impressione che non succedesse nulla), una sera si presentò con la busta della spesa. Prima ancora che io potessi dire alcunché, trasse da essa due metà di un pollo crudo, ad occhio nudo perfettamente uguali se non per il fatto che una era destra e l’altra sinistra. Due metà dello stesso pollo, insomma.
“Oggi sono andata a fare la spesa, e mi sono rivolta al tizio della macelleria, ci pensa? Io predo le cose solo dagli scaffali, perché non voglio sottostare al peso del giudizio di nessuno, mi mette ansia. Ma il pollo già tagliato non c’era, e poi qualcosa mi diceva che oggi ci potevo riuscire. Così, dopo aver preso il numero 101 (un numero palindromo, ndr), giunto il mio turno, ho chiesto un mezzo pollo. Quale vuole?, mi fa il tizio, mostrandomi queste due metà simmetriche perfettamente identiche. Destra o sinistra, uguali, se non per il lato”. Per un attimo temetti il peggio. “Ci pensa, Dottore?”.
“Le ha prese tutte e due, però, non ha scelto”.
“Ma io le volevo tutte e due! Ne compro sempre due metà perché una metà la surgelo, e non lo so tagliare! Pensava che fossi così stupida da voler scegliere la parte destra o sinistra, ci pensa? Ed io ho soggezione di questo tipo qua!”.
“Sarà un ossessivo di merda anche lui, siamo circondati”. Scoppiò a ridere. Ero contento, finalmente cominciava a stare meglio davvero.

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