- On. Sottosegretario Ostellari, dai numeri in suo possesso e dalle innumerevoli visite nelle carceri italiani, quale stato di salute può dedurre?
R: Intanto delle carceri si parla poco, si conosce poco, e credo che sia importante una nuova narrazione capace di meglio rappresentare quello che è un mondo che non può essere relegato a qualcosa lontano dalla società. L’esecuzione della pena è l’ultimo anello della fase di un processo ed è forse quella più importante perché deve mirare a rieducare soggetti che hanno sbagliato. La rieducazione si fa solo se riusciremo ad integrare il numero del personale penitenziario, aumentandolo e mettendolo in condizioni di poter operare e se riusciremo a utilizzare degli strumenti tra cui il principale è il lavoro. Lavorare in carcere.
- Uno dei mali dei penitenziari italiani è il sovraffollamento delle celle. C’è in cantiere una riforma delle carceri che vada nella direzione di costruire nuove strutture?
R: Intanto dobbiamo precisare che noi come Italia abbiamo un sistema di calcolo più rigoroso rispetto a quello adoperato in altri paesi europei. Paradossalmente noi risultiamo con dei dati di sovraffollamento superiori alla media europea per effetto di questo metodo di calcolo. Tuttavia, è chiaro che stiamo parlando di numeri importanti che oggi si aggirano attorno ai 60mila nel nostro Paese. Questo numero è sicuramente importante. In programma c’è il riammodernamento e la riqualificazione di alcune strutture che mirano ad influire sugli spazi. C’è anche uno studio in corso per utilizzare strutture diverse tra cui caserme dismesse che potrebbero essere utilizzate per interventi volti alla costruzione di nuovi istituti. E’ un’operazione complicata e lunga ma già programmata.
- Ha in mente una riforma-modello per i penitenziari italiani?
R: Una riforma-modello deve partire dalla consapevolezza che l’esecuzione della pena non è un momento da tenere nascosto, cioè se il processo è pubblico, l’esecuzione diventa quasi un fatto privato e isolato. Questa concezione deve cambiare rimettendo sicuramente al centro la persona e cercando di fare in modo che la rieducazione avvenga veramente, ma senza sconti, senza quei provvedimenti sfolla-carceri. Noi non puntiamo a quello, perché abbiamo visto che, leggendo i dati, le persone che escono dal carcere grazie a quei provvedimenti, poi ritornano a delinquere. Noi invece vogliamo investire sul lavoro, insegnare un mestiere a queste persone, perché sappiamo benissimo che il 98% di esse, una volta uscite, escono anche dal circuito criminale. Questo è il vero investimento che dobbiamo fare raggiungendo due obiettivi principali: uno sulla formazione dell’individuo, l’altro è il beneficio che ne avrebbe la comunità che si ritroverebbe meno persone dedite alla delinquenza.
- Come diceva lei, il carcere deve reinserire nella società chi ha scontato la pena. Lei ha lanciato un’idea: bonus alle imprese che assumono ex detenuti. In conncreto in cosa consisterebbe?
R: Non si tratta di bonus ma di sgravi fiscali, esistono già. Noi dobbiamo parlare di questi sgravi fiscali per le imprese che vogliono fare impresa all’interno del carcere. Per fare ciò abbiamo bisogno di valorizzare le norme che già ci sono, esiste per es. la legge Smuraglia che purtroppo però non è conosciuta e non viene adeguatamente applicata. In tal senso, abbiamo costituito di recente un protocollo col CNEL e lì verrà istituita una cabina di regia dove ci sono anche io e sarà utile per programmare a livello nazionale anche la comunicazione, ma soprattutto il coinvolgimento del mondo imprenditoriale al quale va detto quelli che sono i vantaggi di questa operazione per loro, perché si parla di impresa, di lavoro, di insegnamento e non di beneficenza, senza dimenticare che in questo anche la formazione è fondamentale, quindi il comparto Università ed Educazione. Anche questo va portato all’interno del carcere per fare in modo che queste persone abbiano una nuova ulteriore alternativa alla criminalità.
- Intanto i dati ci dicono che aumentano i casi di suicidio in carcere e i casi psichiatrici, spesso malcurati da dentro. Cosa ha in mente per quest’ultima fetta di popolazione carceraria?
R: All’interno del carcere vi sono ovviamente persone problematiche, si dividono tra coloro che sono malati psichiatrici che vanno curati idoneamente e altri soggetti non psichiatrici che non sono in grado di seguire le regole e dal punto di vista comportamentale creano diversi disagi. Stiamo verificando, e su questo abbiamo bisogno la mano delle Regioni che hanno la competenza sull’ambito sanitario, di istituire dei reparti sperimentali per cercare di qualificare degli istituti al fine di meglio concentrare le forze e quindi dedicarmi a questa fetta di popolazione carceraria. Facendo così, raggiungiamo due obiettivi: il primo è quello di defaticare, togliendo queste persone dai carceri ordinari e poi inserirli in carceri qualificati e farli seguire in maniera consona.
- Secondo le sue intenzioni, come saranno le carceri italiane fra qualche decennio?
R: Immagino delle carceri con spazi adeguati attraverso lo strumento del lavoro, quindi spazi dedicati al lavoro, capaci in prospettiva di dialogare con la comunità. Su questo stiamo investendo con un progetto ad ampio raggio e soprattutto a lungo termine.
- Negli anni si sono registrati casi di vessazioni sui detenuti. E’ sempre all’altezza del compito il nostro personale penitenziario?
R: Io difendo il personale dalla polizia penitenziaria fino agli educatori, a loro va la nostra riconoscenza e dobbiamo cercare di valorizzare il loro ruolo in questa operazione di riforma generale. Ovviamente siamo consapevoli che tutti in questi anni abbiamo ereditato un sistema che ha poco investito in termini di unità e dobbiamo invertire questo trend, ma non solo in ambito penitenziario, anche nella pubblica amministrazione, nei tribunali. Manca personale, non si è creduto nella forza umana e di qualità. Detto questo, se accadono dei fatti, questi fatti vanno analizzati ed eventualmente perseguiti sia che coinvolgano il personale che i carcerati, perché non esistono solo detenuti aggrediti ma anche detenuti che aggrediscono.
- Ultima curiosità: ha lasciato traccia in lei l’insegnamento di Marco Pannella sul modo di trattare i detenuti?
R: Noi dobbiamo trarre insegnamenti dall’esperienza di tutto il nostro Paese, un insegnamento che ci viene dettato dalla nostra Costituzione. Non è il singolo personaggio che delinea cosa noi dobbiamo fare, è la storia del diritto che ci insegna qual è la strada. Senza nulla togliere a Pannella, ricordo che ci sono stati tanti altri soggetti nell’ombra che hanno parlato di carceri. La storia del nostro Paese è ricca di sacerdoti, cappellani che in carcere ci vanno tutti i giorni in silenzio e sono a disposizione dei nostri detenuti e del nostro personale. Ciò vale ancora di più per il tema dei minori, dove il ruolo del volontariato svolge un lavoro silenzioso che dobbiamo valorizzare.
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