Non serve mettersi la maglietta dei tifosi del Mezzogiorno, manifestando nelle piazze e poi tornare a casa e sedersi in poltrona. Serve capacità di analisi, costante determinazione, competenza e voglia di fare. Chi non accetta la sfida, e si trincera dietro i muri ideologici e i no a prescindere, agitando tristi cliché del meridionalismo d’accatto, lo fa soltanto perché sa di essere incapace di affrontare la sfida del cambiamento. E preferisce continuare a spacciare per “destino cinico e baro” l’incapacità di garantire diritti ai cittadini, lasciando le cose come stanno, indifferente al dramma che, per esempio, condanna i campani - statistiche alla mano - a vivere in media 2 anni in meno degli altri italiani
Chi ha paura dell’autonomia differenziata? Quando parlo di autonomia differenziata, con qualche amico o in pubblico, sono sempre io a fare la prima domanda: se i cittadini del Sud, e in particolare della Campania, si vedono quotidianamente negato il diritto ai servizi essenziali, di chi è la colpa? Se il lavoro stenta a trovarsi, se la sanità è un’elemosina e non un diritto o, per restare a casa nostra, se la Circumvesuviana non è una rete ferroviaria ma una barzelletta, di chi è la colpa? Certamente l’autonomia differenziata non c’entra nulla, se non altro perché non è stata ancora attuata. La tragedia di arretratezza che, da decenni, colpisce i quasi venti milioni di abitanti del Mezzogiorno d’Italia, relegato in coda alle classifiche nazionali ed europee per sanità, trasporti, welfare, lavoro, istruzione, è invece - in buona parte almeno - la vergognosa conseguenza di una classe politica e ancor di più parlamentare meridionale (in maggioranza di sinistra) che ha saputo distinguersi, con poche autorevoli eccezioni, soltanto per incapacità gestionale, per immobilismo, per indifferenza nei confronti delle reali esigenze e delle problematiche vissute dai cittadini.
Parliamo della stessa classe dirigente di cui fa parte anche il principale esponente della “crociata” contro l’autonomia: Vincenzo De Luca. Lo stesso Vincenzino che, ad un Governo di segno politico diverso, aveva però consegnato nel luglio del 2019 - unico presidente di regione del Sud - una bella lettera di formale richiesta di adesione all’autonomia differenziata, tanto convinta da non essere condizionata neppure alla preventiva attuazione dei Lep, i Livelli Essenziali delle Prestazioni! Evidentemente l’autonomia allora non gli sembrava divisiva, né tantomeno incostituzionale. La verità è che su di una questione così importante per il futuro del Paese si esercita soprattutto la retorica, arte in cui i campioni dell’aria fritta sono maestri, specie se possono farlo a suon di paroloni (a volte di parolacce pure), tenendosi ben lontani dai fatti e dalle norme. Una lunga serie di personaggi che, quasi sempre in mala fede e con le pistole ancora fumanti di responsabilità di malgoverno o con la penna ancora sporca dell’inchiostro intinto nella parzialità, continuano a giocare una partita squallida, sulla pelle dei cittadini, utilizzando il tema dell’autonomia differenziata come arma di distrazione di massa, fomentando odio e paura, sovvertendo la verità dei fatti, arrampicandosi sugli specchi per nascondere i propri fallimenti e scaricare altrove le proprie responsabilità sul disastro.
La verità invece è una soltanto, e lo ha ricordato in una delle sue tante visite al Sud (sempre per annunciare, controllare o inaugurare opere) Matteo Salvini, il più famoso nemico del Sud secondo i difensori della nostra terra esclusivamente a suon di putipù e tammorre: chi non sa amministrare è semplicemente terrorizzato dall’autonomia. Perché il progetto di delegare ai territori - scritto nella Costituzione dal 2001 per volontà della sinistra con la riforma del Titolo V della nostra Carta - oggi fa paura a questi mestieranti senz’arte. Eppure l’autonomia rappresenta - attraverso la determinazione specifica e puntuale dei relativi criteri nei Lep - l’unico strumento in grado di garantire a tutti i cittadini italiani, senza alcuna distinzione geografica, il diritto a ricevere gli stessi servizi, le stesse prestazioni, superando il criterio che l’indifferenza dei parlamentari del Sud di tutti i colori hanno permesso di introdurre e che tuttora regola il sistema di trasferimento dei fondi, quello della spesa storica. Un meccanismo che stabilisce, per esempio, che se non hai asili nido a sufficienza in un Comune è perché lì non servono. E quindi i soldi per quel servizio vanno tutti a chi invece li ha, perché ne apra degli altri!
Cito non a caso gli asili nido perché, in via sperimentale, da un paio di anni, il sistema dei Lep è stato introdotto proprio per gli asili nido. Il risultato? In 2 anni il divario tra Nord e Sud lì (e purtroppo solo lì) si è ridotto di quasi 20 punti percentuali. Si tratta, dunque, di una vera e propria opportunità di crescita per il Paese, perché è funzionale all’azzeramento del gap esistente tra Settentrione e Mezzogiorno. È un progetto epocale di buongoverno che, per essere attuato, ha bisogno di una classe dirigente dotata di adeguate preparazione, professionalità, visione progettuale, tutti fattori determinanti per il rilancio del Sud. Detto ciò, invito a leggere il testo di legge approvato in Senato, dove si trovano, nero su bianco, le più chiare smentite ai catastrofisti. Cito solo alcuni elementi.
La dotazione finanziaria dei Lep è condizione per la loro attuazione. La stessa avverrà in modo graduale, cioè man mano che i Lep vengono definiti, per questo non c’è bisogno dei 200 miliardi di fabbisogno tutti insieme che i difensori del disastro citano quale prova della inattuabilità del nuovo sistema. Le singole intese Stato-Regione, per entrare in vigore, devono essere votate dal Parlamento e comunque sono reversibili su richiesta di entrambe le parti, oltre ad essere sottoposte a monitoraggio. Per le regioni che non hanno risorse sufficienti derivanti dal gettito fiscale proprio, opera un Fondo nazionale di perequazione destinato ad assicurare i Lep, con buona pace delle chiacchiere sul “residuo fiscale” che avvantaggerebbe le regioni più ricche. E potrei continuare. Ma mi preme di più affermare un altro principio. Quella dell’autonomia differenziata è una partita che il Sud deve giocare partecipando attivamente al tavolo del confronto con il resto del Paese, segnando le priorità, accelerando la determinazione operativa dei Lep (perché i servizi negati sono il principale paradigma dell’ingiustizia sociale), vigilando sul rispetto della legge e del suo principale obiettivo: superare la sperequazione tra le Parti del Paese e tra i cittadini.
Non serve mettersi la maglietta dei tifosi del Mezzogiorno, manifestando nelle piazze e poi tornare a casa e sedersi in poltrona. Serve capacità di analisi, costante determinazione, competenza e voglia di fare. Chi non accetta la sfida, e si trincera dietro i muri ideologici e i no a prescindere, agitando tristi cliché del meridionalismo d’accatto, lo fa soltanto perché sa di essere incapace di affrontare la sfida del cambiamento. E preferisce continuare a spacciare per “destino cinico e baro” l’incapacità di garantire diritti ai cittadini, lasciando le cose come stanno, indifferente al dramma che, per esempio, condanna i campani - statistiche alla mano - a vivere in media 2 anni in meno degli altri italiani
Severino Nappi è Capogruppo della Lega in Consiglio Regionale della Campania
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