Nel 2018 ad accompagnare la richiesta di autonomia differenziata dell’Emilia Romagna avanzata dal presidente di quella regione Bonaccini fu la sua vicepresidente, l’attuale segretaria del Pd, si proprio quell’Elly Schlein che oggi si straccia le vesti per la presunta “rottura dell’unità del Paese”. E che dire dei 5 Stelle che “il completamento del percorso di introduzione dell’autonomia differenziata” l’avevano inserito addirittura nel loro programma elettorale per le elezioni politiche del 2018? Per non parlare del “nostro” campione della doppia morale, Vincenzo De Luca, che il 10 luglio 2019 era talmente ansioso di introdurre l’autonomia differenziata da precipitarsi ad inviare al Governo di allora la nota con la richiesta di adesione della Campania, non condizionata neppure alla preventiva introduzione dei LEP! E persino sui LEP la sinistra arriva a stravolgere la realtà. Il principale strumento per l’azzeramento del divario tra i territori - il meccanismo che appunto stabilisce il diritto di ogni italiano ad avere uguali servizi indipendentemente dal luogo di residenza - viene svilito e quasi reso una barzelletta, sul presupposto che “tanto non li faranno mai” oppure del “non ci sono i soldi”.
di Severino Nappi, capogruppo della Lega in Consiglio regionale della Campania
Non solo autonomia. Dal premierato alla separazione delle carriere, la parola d’ordine delle opposizioni, il loro comune denominatore, è: ipocrisia! Eppure il centrodestra era stato chiarissimo e lo aveva scritto a caratteri cubitali nel programma di governo: sono i tre capisaldi essenziali per il futuro del Paese e, democraticamente, si faranno, grazie all’ampio consenso che i cittadini hanno attribuito alla coalizione uscita vincitrice dalle elezioni politiche. Fatta questa doverosa premessa, proviamo ad entrare nel merito, a partire proprio con l’autonomia. E diciamolo subito, con queste opposizioni, in fondo è questa la cosa più complicata da fare. Infatti, ogni volta in cui mi trovo ad affrontare il tema, specie nel corso di dibattiti pubblici con rappresentanti istituzionali di diverso colore politico, devo constatare una triste realtà: la quasi totalità degli interlocutori dimostra di parlare di una materia di cui sa poco o nulla e quindi proprio entrare nel merito sembra essere complicatissimo.
Il risultato è, dunque, a dir poco avvilente: banalità, sciocchezze e malafede. E che si sia in presenza di una colossale mistificazione, indifferente al merito della questione e ancor di più alle ragioni del Sud, è dimostrato dai fatti, inoppugnabili. L’autonomia differenziata è stata inserita in Costituzione per volontà della sinistra che, in occasione della riforma del Titolo V della Carta, la votò compattamente in Parlamento. Anzi, molti dei principali attori di quel voto guidano oggi le file della protesta: fra i tanti, Massimo Villone, Isaia Sales, Massimo D’Alema, Umberto Ranieri, Giuliano Amato e persino il Presidente della Repubblica! Ma non bisogna andare così lontano nel tempo per trovare infinite conferme dell’ipocrisia e della menzogna come paradigma della politica delle sinistre.
Nel 2018 ad accompagnare la richiesta di autonomia differenziata dell’Emilia Romagna avanzata dal presidente di quella regione Bonaccini fu la sua vicepresidente, l’attuale segretaria del Pd, si proprio quell’Elly Schlein che oggi si straccia le vesti per la presunta “rottura dell’unità del Paese”. E che dire dei 5 Stelle che “il completamento del percorso di introduzione dell’autonomia differenziata” l’avevano inserito addirittura nel loro programma elettorale per le elezioni politiche del 2018? Per non parlare del “nostro” campione della doppia morale, Vincenzo De Luca, che il 10 luglio 2019 era talmente ansioso di introdurre l’autonomia differenziata da precipitarsi ad inviare al Governo di allora la nota con la richiesta di adesione della Campania, non condizionata neppure alla preventiva introduzione dei LEP! E persino sui LEP la sinistra arriva a stravolgere la realtà. Il principale strumento per l’azzeramento del divario tra i territori - il meccanismo che appunto stabilisce il diritto di ogni italiano ad avere uguali servizi indipendentemente dal luogo di residenza - viene svilito e quasi reso una barzelletta, sul presupposto che “tanto non li faranno mai” oppure del “non ci sono i soldi”.
E invece la legge Calderoli non solo scandisce tempi e modalità, ma fissa persino una fondamentale clausola di garanzia: in assenza di risorse, l’autonomia non parte. E poi vogliamo parlare del presunto attacco alla democrazia che si metterebbe in atto con la riforma del Premierato? O, ancora, le barricate cui sono pronti alcuni partiti di opposizione pur di non far completare l’iter a una ampia e organica riforma della giustizia di cui il nostro Paese ha bisogno da decenni? Quali sono le ragioni di contrarietà della sinistra ad una riforma su questi due temi, fondamentali per l’esercizio della democrazia? L’elezione diretta, lasciare la parola ai cittadini è quanto di più democratico possa scegliere un Paese per autodeterminarsi e la sinistra che fa? E invece, la sinistra vuole che le cose restino esattamente come sono: incertezza sull’elezione e alleanze variabili in corso d’opera. In altri termini, si vogliono lasciare le mani libere per mischiare le carte quando non gli conviene. Quello che questo Governo sta portando avanti è invece il contrario di questo: conoscere, già dalla sera delle elezioni, chi e come sarà a capo del Paese. Come con i sindaci, come con I presidenti di regione, come ogni democrazia diretta dovrebbe fare.
Per non parlare del pantano giustizia, nel quale la sinistra sguazza col solo obiettivo di proteggere quella parte, per fortuna largamente minoritaria, della magistratura che esercita poteri e funzioni con la clava dell’appartenenza mascherata e con lo scudo dell’assenza di responsabilità. Come dimostra il numero strabiliante di assoluzioni che seguono alle indagini mediatiche. Il tutto mentre il cittadino comune stenta anni per avere risposte al suo ordinario diritto a veder riconosciute le sue ragioni in tribunale per qualsiasi motivo, dal lavoro al recupero dei crediti, passando per la malasanità o le questioni amministrative. Ma l’opposizione in queste settimane si sta esercitando anche su un altro ritornello: quello contro la gestione dei fondi europei, a partire dal Pnrr. Incredibilmente si contesta la scelta del Governo di porre un freno alla logica degli sprechi e della politica clientelare che alcune regioni-carrozzone portano avanti, a partire dalla nostra del cacicco De Luca. E allora giù a demonizzare la scelta di affidare la gestione di questi fondi ai comuni senza intermediari, monitorando la spesa con un organo di controllo centrale. Peccato per loro però che questa scelta si sta già rivelando vincente, non solo per i risultati concreti che proprio il Sud sta finalmente portando a casa ora in termini di rispetto dei tempi e realizzazione di opere, ma pure per la ricaduta che sta avendo sul territorio. Per la prima volta dagli anni ‘60, la crescita del Pil avviene in misura maggiore nel Mezzogiorno rispetto al resto del Paese.
Una politica dunque che non solo ha fatto balzare il nostro Paese in avanti quanto a concessione di finanziamenti, ma ci sta letteralmente togliendo dalle sabbie mobili di un sistema imbrigliato tra burocrazia e decine di passaggi che, anche grazie al nuovo codice degli appalti voluto dal Ministro Salvini, ci voleva condannare ancora al crollo verticale della spesa. Spiegassero, piuttosto, cosa hanno fatto loro in tanti anni di Governo per invertire una rotta di inesorabile declino del sud sotto ogni punto di vista? E poi, non dovevamo schiantarci miseramente con tutta una serie di azioni messe in campo da questo governo? Non erano loro che avevano gridato al fallimento, al baratro? Invece i dati ci dicono il contrario. E allora, in mancanza d’altro, si ricomincia con i ritornelli e gli spettri. Stavolta quello dell’unità nazionale perduta e della democrazia in pericolo. Ma se il Sud torna ad essere protagonista e soprattutto sceglie per sé, si autodetermina e magari riesce pure nell’impresa di crescere. Forse questa è allora la vera ragione dei loro strepiti. Esattamente quello che viene da pensare, specie sentendo le preoccupazioni evocate in ogni occasione da Vincenzo De Luca, assiso sulla scranno più alto di una regione che, dopo 10 anni della sua cura, oggi è ultima per livelli di occupazione, trasporti, welfare, sanità e persino aspettativa di vita. Viene da dire soltanto che, per fortuna dei campani, è in scadenza e non più ricandidabile, a meno di qualche trucco da saltimbanco.
La verità è un’altra però: per competere ed ottenere finanziamenti, con l’autonomia differenziata l’unico scoglio è il sapersi far valere, coi fatti e non col putipù o sventolando la bandiera del Napoli, e saper spendere le risorse in modo efficiente e efficace. Del resto, dopo decenni di silenzi, è stato messo un punto e a capo pure sull’ingiustizia del criterio di riparto delle risorse per i servizi attraverso il principio della spesa storica. Quello secondo il quale se un comune non ha un asilo nido, vuol dire che non gli serve. E quindi non verrà finanziato l’anno successivo! Per la prima volta, invece, bisognerà rimboccarsi le maniche e passare dalle parole ai risultati. Insieme ad un’altra grande questione che, a mio avviso, ha penalizzato per troppi anni le amministrazioni, specie al sud: la burocrazia e l’ingessamento della macchina amministrativa.
Dopo aver sbloccato in maniera significativa le risorse, ora bisogna pensarle a come ammodernare, inserire personale e sburocratizzare gli uffici. I comuni da soli non possono farcela, ma soprattutto non possono farcela in queste condizioni. Con personale spesso e volentieri prossimo alla pensione e privo di competenza specifica. Occorre investire, dunque, su informatizzazione, nuove assunzioni e formazione continua, come ormai da anni si fa nelle aziende private. È questa la sfida della Campania: archiviate le elezioni europee, il monito a guardare avanti, a cercare competenze da mettere in campo deve essere sempre più forte e vivo nei partiti cdi governo per creare anche qui quella sana filiera di buongoverno che porterà la Campania in pochi anni a tornare ad essere, da fanalino di coda, eccellenza italiana ed europea.
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