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"Life on Mars?" - La rubrica di psichiatria del Dott. Vittorio Schiavone - Claudia Maria Virginia (ma con le virgole)

Vittorio Schiavone • ago 04, 2024

L’avevano vista un paio di colleghi al nord, uno a Roma e poi restavo io, per completare questo tour psichiatrico nazionale per poi, complice le vacanze, partire per il tour europeo e poi mondiale. Mentre Virginia giocava con la spallina del vestito lasciandola cadere maliziosa, la madre mi spiegava dei passaggi da una personalità all’altra, introducendo di fatto Maria che irrompeva sulla scena producendosi in una cefalea tensiva: mani alla testa e smorfia di dolore. Così, come nei film porno più scadenti, mi trovo di fronte Wednesday Addams vestita da Lolita. Seguiva primo piano dell’occhio della madre-MILF (ed il mio inevitabile pensiero alla “cagata pazzesca”).

“Ha mai visto niente di simile, Dottore?”.


Prima di iniziare la specializzazione in psichiatria, crescevo con amore la convinzione che chiunque ne sapesse più di me: pertanto, nel mese o poco più che mi separava dall’inizio dei giochi, studiai tutto il programma del primo anno, cosa che mi sembrava una condizione necessaria per poter iniziare a svolgere questa professione.


Mi sbagliavo, perché c’era tempo per imparare; ma questo misurarmi con un ipotetico altro che sapesse tutto mi è rimasto ed è tuttora con me. Sapere è potere, ma questa è un’altra storia. Giungeva da me come un pacco raccomandatissimo: le conoscenze della famiglia avevano scomodato il tal dei tali a scomodare il talaltro dei tali a chiamarmi, chiedendomi che io la potessi vedere quanto prima.


Alla terza telefonata della terza persona diversa, mi trovai costretto a chiamare la madre per chiederle, qualora avesse voluto che visitassi la figlia, di far smettere queste interferenze: non lavoro bene sotto pressione ma, soprattutto, odio ripetere le cose per più di una volta. Sentirle una seconda mi annoia, in maniera mortalmente definitiva. Per di più, non sopporto che mi si spieghi prima cosa vedrò perché ciò, oltre a togliermi ogni piacevole curiosità, risulta fuorviante: in questi casi, devo fare un lavoro notevole a mettere alla prova la mia impressione clinica con ciò che mi hanno detto, costandomi non solo un lavoro maggiore ma, soprattutto, costringendomi a ricercare cose che non vedo perché magari non ci sono.


È come uccidere l’ispirazione di un’artista, sia detto con le dovute proporzioni. Claudia Maria Virginia: si presentava così, senza virgole, con un abitino striminzito ed un atteggiamento sessualmente provocante. Era Virginia a rapportarsi a me in questo momento, a dire della madre, stesso abitìno ed atteggiamento ma qualche anno, anagrafico ma non mentale, di più. Virginia era quella “sessuale”, Maria l’introversa un po’ emo mentre Claudia, che doveva essere la personalità principale, la studiosa sarcastica.


L’avevano vista un paio di colleghi al nord, uno a Roma e poi restavo io, per completare questo tour psichiatrico nazionale per poi, complice le vacanze, partire per il tour europeo e poi mondiale. Mentre Virginia giocava con la spallina del vestito lasciandola cadere maliziosa, la madre mi spiegava dei passaggi da una personalità all’altra, introducendo di fatto Maria che irrompeva sulla scena producendosi in una cefalea tensiva: mani alla testa e smorfia di dolore. Così, come nei film porno più scadenti, mi trovo di fronte Wednesday Addams vestita da Lolita. Seguiva primo piano dell’occhio della madre-MILF (ed il mio inevitabile pensiero alla “cagata pazzesca”).


Immagino che siate abbastanza infastiditi dal mio tono di scherno. Lo capisco, ma dovete capire anche me. Dopo le telefonate di presentazione, mi aspettavo seriamente di vedere qualcosa che non avevo visto mai, e che avevo soltanto studiato (arrivando a dubitare esista davvero). In più, c’è la mia reazione contro transferale, il mio spirito guida o la stella polare, se preferite, univoca senza dubbio alcuno: fastidio. Fastidio per tutto il chiacchiericcio telefonico pregresso, fastidio per questa pantomima di bassa qualità, fastidio per la madre, caricaturale oltre ogni ragionevole gusto.


Ecco, le diagnosi si fanno così, guardando il quadro d’insieme e lasciando che la teoria e la psicopatologia facciano il resto. Qui non c’erano personalità multiple, ahimè, ma ce ne erano due soltanto, ed entrambe “disturbate”: una era quella di Claudia, narcisista sin nell’ultima impuntura della Chanel, l’altra quella della madre, istrionica come il Jack Nicholson dei tempi d’oro (ma senza alzata di sopracciglio). Fatte queste due premesse, osservata la scena, la diagnosi si fa da sola. “Purtroppo sì, signora, e tante volte”.


“Ma mi hanno detto che è un disturbo molto raro… (seguiva espressione di orgoglio)”. “No, assolutamente, è così frequente che c’è un gruppo su Tiktok che conta milioni di iscritti”. “Dopo mi può inviare il link?”. Il tutto mentre Claudia Maria Virginia, le virgole e gli altri nomi vari ed eventuali di questa riunione di condominio da Salone Margherita, erano passati dal compiacimento al fastidio. C’era ancora speranza, in fondo, che una psicoterapia che durasse l’infinito ed oltre potesse fare qualcosa.


Per Claudia Maria Virginia, ovviamente: per la madre no: aveva lasciato furtivamente un biglietto scritto con il rossetto Rouge Allure di Chanel con il suo numero di telefono, con tanto di cuoricino. Perché conosco questo rossetto? Questa è decisamente un’altra storia.

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