di Saverio Auriemma
Ilaria Salis è libera. Candidata ed eletta nella lista Alleanza Verdi e Sinistra , da eurodeputata , dopo 13 mesi di carcere duro, può godere dell’immunità parlamentare con sospensione della pena. Potrá riabbracciare il padre , Roberto, che pur di strapparla dalle catene, ha dovuto abiurare al suo passato , non certo tenero nei confronti della sinistra. Nei suoi post , da bravo novax, se la prende con l’ex ministro alla salute, l’on. Speranza, definendolo ipocondriaco laureato in storia, per dire che di salute non ne capisce un tubo.
O con la Boldrini , richiamandola alla realtà dell’economia , per la quale “la povertà si debella con il lavoro non con RdC e mancette da voto di scambio!”. Oppure contro Mauro Berruto , nel 2022 fresco parlamentare del PD , ripreso perché “ ..riceve 14000 € al mese dei nostri soldi” e non si informa che la manifestazione fascita di Predappio per commemorare il centesimo anniversario della marcia su Roma , era regolarmente autorizzata . E a difesa dei manifestanti, sottolinea che “ a Predappio non spacciano droga , non occupano proprietà private, non obbligano a bloccare i caselli autostradali , non turbano l’ordine pubblico…” terminando col dire “ … vuole che continui?” , quasi a minacciare la sinistra dell’accusa di praticare comportamenti illegali nelle sue manifestazioni.
Ma è particolarmente duro con il PCI, se il 28 dicembre 2022, redarguisce a muso duro un certo Massimiliano, che “ buona parte dei fondi ricevuti sono stati utilizzati per acquisti immobiliari del PCI, che poi nei vari passaggi successivi sono arrivati ai giorni nostri al PD”. Tutti post ricavabili sul suo profilo facebook . Ma è nel più recente tweet che emerge l’apoteosi della falsità che un povero papà ha dovuto ostentare, pur di rivedere la figlia senza ceppi, ai polsi e alle gambe.” Votare Fratoianni? Piuttosto emigro”. E mentre negava qualsiasi intenzione della figlia ad una candidatura alle europee, circolava intorno Palazzo Chigi alla ricerca di contatti, che si sono concretizzati ad Aprile, con la dichiarazione pubblica della ufficialità della candidatura di Ilaria proprio nella lista di Fratoianni.
Come spesso succede, nelle rapide inversioni a “U” tra i vicoli stretti della bassa politica italiana, le esagerazioni giustificatorie del cambio di direzione provocano scontri mortali con un passato ipocrita, dipinto di una coerenza che non c’è. E si finisce per essere avvolti in un tourbillon parolaio dove la coerenza si perde e svanisce di fronte alla concretezza del risultato, non importa il come si è ottenuto. È la traduzione sguaiata del “fine che giustifica i mezzi”. Peró a tutto c’è un limite, ed il limite lo fissa il “fine”. Se esso risponde ad un bene collettivo o a un tornaconto personale. Insomma è l’etica politica, in tal caso , a fissare i contorni di un profilo comportamentale che ne giustifica il “mezzo”. Nella presentazione ufficiale della sua candidatura, Ilaria ha affermato che non intende sottrarsi al processo, ma difendersi nel processo , per il rispetto dei diritti fondamentali, del principio di proporzionalità e della presunzione di innocenza.
Affermazioni importantissime, scandite nella sede del Parlamento , il massimo luogo istituzionale della Repubblica Italiana. Si è più volte tentato di accostare la candidatura di Ilaria a quella di Tortora, oggetto del più grande e grave errore/orrore giudiziario. Attenzione a non cadere dalla iperbole che la politica spesso disegna utilizzando algoritmi che contengono condizioni errate. Nel secolo scorso, gli eccessi che si inserivano nelle argomentazioni, erano a supporto di una idea alta, che sembrava impossibile a concretizzare, e per renderla visibile , realistica, la si avvicinava con la teoria dei massimi sistemi, un modo originale di discutere in maniera , diciamo, sovversiva, che scombina, cioè, un ordine precostituito, per costruire un nuovo futuro. Insomma, la costruzione di un nuovo vertice a partire dalla base, per rendere concreta una utopia.
Contrariamente ad oggi, dove gli eccessi appartengono all’effimero, relegati nei tempi di un click. Giacinto Pannella, detto Marco, è stato il padre fondatore di questa politica, dimostrando come una minoranza politica è possibile che si trasformi in maggioranza numerica , in un Parse assetata di diritti negati. Negli anni 70-80 ha rotto vecchi equilibri tra conservatori e finti “rivoluzionari”, tra falsi progressisti e veri innovatori. A chi mai poteva venire alla mente che un piccolo partito, oscillante tra l’1% e poco più del 3%, avesse potuto sfidare , contemporaneamente, la potenza della Chiesa, del PCI, della DC, i veri padroni di uno Stato, bloccato da veti incrociati da poteri mai disposti a fare un passo indietro: Statuale della DC, Religioso della Chiesa, e Interdittivo del PCI.
Le battaglie referendarie impostate in quegli anni, sono stati il “mezzo” che ha sconvolto i rapporti nei partiti e tra alleati , creando maggioranze trasversali per la conquista dei diritti civili, per la parità di genere, dove l’aborto e il divorzio rappresentano l’emblema di quelle lotte. Solo un visionario come Pannella poteva sfidare il superpotere giudiziario, e portare oltre l’80% degli italiani a dire di sì alla responsabilità civile dei giudici. Già allora si poneva la esigenza di affermare la parità tra accusa e difesa, garantita dalla terzietá del giudice , ottenibile separando la carriera del magistrato inquirente da quello giudicante, come pure l’urgenza di eliminare l’uso distorto della carcerazione preventiva, il ripristino dello Stato di diritto secondo cui ogni cittadino è innocente sino al terzo grado di giudizio.
Le lotte “ garantiste” di Pannella sono ancora vive nella mutata società odierna , che ha preso il testimone per continuare con gli strumenti della politica nonviolenta , della disubbidienza civile, dello sciopero della fame, espressi da Martin Luther King, da Mandela, dal satyagràha di Gandhiana memoria. Tortora, in coerenza con questi valori accettó la candidatura alle europee avvenute esattamente un anno dopo il suo arresto, il 17 giugno 1984, offertagli da Marco Pannella. Si impegnò di fronte al Paese che avrebbe rinunciato alla immunità parlamentare per trasferire nell’aula del tribunale e nelle piazze la lotta radicale per una giustizia giusta. Eletto con una marea di voti, addirittura si dimette da europarlamentare, affrontando il processo da carcerato.
Nel 1986 fu assolto con formula piena, confermata in Cassazione nel 1987. Il “caso Tortora” come simbolo di malagiustizia, resta impresso nella storia del nostro Paese con la frase: Dunque , dove eravamo rimasti? “, pronunciate alla ripresa del suo “ Portobello”. Dopo un anno , nel 1988, Tortora muore di tumore; la figlia Gaia, adolescente al momento dell’arresto, nel suo libro di recente pubblicazione “ Testa alta, e avanti” rievocante le parole di incoraggiamento che il padre le mandava dal carcere, attribuisce il male alle sofferenze provocate non solo dalla malagiustizia, ma anche e soprattutto dalla gogna mediatica alimentata ad arte dai mass media, giornali, televisioni, che ricevevano materiale ghiotto dalle procure, dimostratasi , alla fine, utile solo per denigrare Tortora , l’uomo più noto dalla televisione di mezzo modo, una preda piuttosto saporita da sgranocchiare. Ilaria ha promesso al paese di raccogliere il testimone lasciato da Enzo Tortora giusto 41 anni fa.
Riuscirà ad essere all’altezza del compito ed a mantenere le promesse fatte? È questo semplice interrogativo a sciogliere l’ambiguità che son’ora circonda la protagonista , e a portare nei confini etici la lezione dì Machiavelli sul “ fine giustifica i mezzi”.
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