di Severino Nappi - La camorra si insinua nelle maglie larghe della malasanità deluchiana

Severino Nappi • 17 giugno 2024

Bastava pagare o essere “persone” del clan per saltare la fila oppure per avere accesso a visite pubbliche o in intramoenia. Per fare ciò, come hanno pure evidenziato i magistrati, i malviventi sarebbero stati favoriti anche da dipendenti compiacenti, della struttura in questione. Insomma, una minaccia costante alla sicurezza e alla “stabilità” - già di per sé estremamente precaria - del sistema sanitario campano che oltretutto non sappiamo ancora quanto si sia stabilmente infiltrata altrove. Infatti, le flebili giustificazioni di De Luca su di una presunta attività di denuncia che sarebbe stata posta in essere in questi anni (peraltro dai soli organi amministrativi terminali) non rappresenta certo una scusante rispetto alla responsabilità nell’effettuare costanti controlli e soprattutto nell’intervenire per cambiare sistema ed approccio gestionale, per adottare, dal vertice, misure di contrasto.




Gli ultimi arresti hanno riacceso i riflettori sulla infiltrazione dei clan di camorra negli ospedali campani. A finire nuovamente sotto la lente degli inquirenti uno dei più importanti nosocomi di Napoli, il San Giovanni Bosco. È stato accertato che un clan, quello dei Contini, ha continuato ad avere il controllo totale - da anni ormai - della struttura di via Filippo Maria Briganti. Se, da un lato, sarà il lavoro dei magistrati a fare piena luce sull’inquietante vicenda, dall’altro, però, bisogna interrogarsi anche sulle cause che hanno favorito il radicamento della camorra in questo e in altri nosocomi del nostro territorio. Ho più volte ribadito che il malaffare trova terreno fertile per insinuarsi ed attecchire nel tessuto sociale ed economico, quando gliene viene offerta la possibilità: insomma, la camorra riempie gli spazi lasciati vuoti da chi, a livello locale, avrebbe il compito e il dovere di garantire il servizio pubblico e non lo fa.


Infatti è allora che i clan riescono facilmente ad avanzare, approfittando delle maglie larghe di gestioni che fanno acqua da tutte le parti. Ecco, la sanità campana è un esempio drammaticamente concreto di fallimento dell’attività di controllo istituzionale di legalità. Il nostro sistema sanitario certo non è mai stato un modello da imitare, ma nei dieci anni in cui a Palazzo Santa Lucia siedono De Luca e i suoi, l’accesso alle cure si è trasformato da diritto in elemosina. I casi e le dinamiche che hanno portato la sanità campana ad essere la peggiore d’Europa si sprecano e smentiscono quotidianamente le falsità di sistema che vengono raccontate ai cittadini.


Qualche esempio che meglio rende le proporzioni della tragedia? A causa della chiusura del pronto soccorso dell’ospedale di Boscotrecase una bimba oplontina di tre mesi lo scorso dicembre ha perso la vita. Non è un caso di malasanità, ma una delle inevitabili conseguenze dell’incapacità gestionale che ha prodotto la chiusura di 20 posti di primo soccorso in pochi anni. Del resto, di pronto soccorso è sprovvisto lo stesso San Giovanni Bosco, da 4 anni. E anche lì ci sono state morti per mancato pronto intervento. E vogliamo parlare delle liste di attesa? Le più lunghe d’Italia. I tetti di spesa? Beh, quelli - se tutto va bene - si esauriscono entro i primi 10 giorni del mese. Altro capitolo tragico è quello relativo alle prestazioni sanitarie, con un evidente passivo di quelle rese in regime di Servizio sanitario nazionale (leggi regionale) e quelle in regime di intramoenia. Solo per citare un dato che farebbe saltare chiunque dalla sedia, al Cardarelli di Napoli (nel 2022) sono state somministrate 1.255 visite ortopediche in intramoenia e appena 112 nel pubblico!


E poi ci sono i “viaggi della speranza”. Sapete quante persone sono costrette a curarsi fuori dalla Campania ogni anno? Ben 65mila, tra cui oltre 3.300 pazienti oncologici. Stando così le cose, è più che naturale che la criminalità sia riuscita a sostituirsi, in tutto e per tutto, nel San Giovanni Bosco, all’amministrazione pubblica. Perché la camorra si nutre della disperazione altrui, che monta quando ci si sente abbandonati dalle Istituzioni, quando non si ha la possibilità economica di pagarsi una visita, quando viene negato l’accesso al servizio sanitario pubblico e non si sa dove sbattere la testa. La camorra arriva - naturalmente con i suoi mezzi e il suo potere nefasto da combattere ogni giorno - perché la Regione non riesce ad arrivare, perché non è capace di dare risposte, né assistenza a chi le chiede.


E più il sistema è minato da falle gestionali, da incapacità, immobilismo, indifferenza nell’affrontare le criticità, più è facile per le organizzazioni malavitose infiltrarsi e dettare legge e persino esercitare attrattiva nei confronti di parte della popolazione. Quello che emerge dal San Giovanni Bosco dunque non può essere liquidato come uno sporadico episodio di illegalità. Parliamo di un ospedale in cui il clan ha continuato a gestire molte attività, dalla mensa al parcheggio; di un luogo pubblico in cui aveva a disposizione locali per riunioni tra affiliati, in cui metteva sistematicamente in atto truffe assicurative o disponeva del ricovero di pazienti, in cui era stata organizzata persino una “piazza di spaccio” alla luce del sole! In sostanza ci troviamo di fronte non solo ad uno stabile utilizzo di un ospedale per affari illeciti, ma di un vero e proprio sistema capace di influenzare ed inquinare i flussi economici e le attività giornaliere dell’ospedale.


Bastava pagare o essere “persone” del clan per saltare la fila oppure per avere accesso a visite pubbliche o in intramoenia. Per fare ciò, come hanno pure evidenziato i magistrati, i malviventi sarebbero stati favoriti anche da dipendenti compiacenti, della struttura in questione. Insomma, una minaccia costante alla sicurezza e alla “stabilità” - già di per sé estremamente precaria - del sistema sanitario campano che oltretutto non sappiamo ancora quanto si sia stabilmente infiltrata altrove. Infatti, le flebili giustificazioni di De Luca su di una presunta attività di denuncia che sarebbe stata posta in essere in questi anni (peraltro dai soli organi amministrativi terminali) non rappresenta certo una scusante rispetto alla responsabilità nell’effettuare costanti controlli e soprattutto nell’intervenire per cambiare sistema ed approccio gestionale, per adottare, dal vertice, misure di contrasto.


Che invece sono mancate del tutto. Pure perché gli arresti di pochi giorni fa non sono certo un fulmine a ciel sereno: nel 2019 scattò una maxi operazione coordinata dall’Antimafia sempre nello stesso drappello. E altre inchieste, ancora prima, avevano fatto emergere l’infiltrazione delle cosche al San Giovanni Bosco e in altri ospedali, primo tra tutti il Cardarelli, il nosocomio più grande del Mezzogiorno. Cos’è stato fatto in tutto questo tempo, al di là del prezioso lavoro di forze dell’ordine e magistratura, per combattere il fenomeno? Perché non si è vigilato adeguatamente e a monte, ad esempio, sulla partecipazione ai bandi per l’affidamento degli appalti (dalla mensa alla gestione dei bar interni agli ospedali, dal servizio di ambulanze a quello di pulizia) di ditte vicine alla camorra? Domande a cui sicuramente daranno una risposta gli inquirenti che siamo certi faranno emergere tutta la verità e ogni tipo di responsabilità. Ma, nel frattempo, restiamo purtroppo alla realtà dei fatti: una sanità allo sbando in Campania, brodo di coltura perfetto per l’antistato.

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