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Scuola, occorre ripensare alla sua funzione nell'era dell'Umanesimo 4.0 - di Mario Sorrentino

Mario Sorrentino • 29 giugno 2024

Riconoscere che la scuola abbia il dovere, sia per statuto costituzionale che per normativa vigente, di concorrere alla creazione delle condizioni culturali e sociali perché si realizzi la crescita produttiva ed economica dell’Italia non significa banalmente che la scuola debba costruire «competenze professionali idonee al mondo del lavoro», col rischio di determinare una «forzatura» destinata a «perpetuare disuguaglianze sociali» tra il sistema elitario dei Licei, sostanzialmente propedeutico all’università, e il sistema dell’istruzione tecnica e professionale: la scuola non è un’istituzione subalterna, non deve rispondere meccanicamente agli interessi e alle esigenze delle imprese che competono nei diversi settori produttivi.

Di Mario Sorrentino - già dirigente scolastico


L’educazione è il principale strumento per promuovere una società più giusta ed equilibrata, una società nella quale ciascun individuo ha le stesse opportunità indipendentemente dalla situazione di partenza. L’accesso ad un sistema educativo di qualità garantisce ad ogni persona migliori opportunità di inserimento nel mondo del lavoro e maggiori potenzialità in età adulta ma anche, più in generale, una migliore qualità di vita. I benefici di un sistema educativo efficiente si estendono a tutta la società attraverso maggiori opportunità di sviluppo economico e di creazione di valore.


Una società nella quale ciascuno ha accesso ad una istruzione di qualità gode anche di un maggior grado di coesione sociale. Il sistema scolastico deve contribuire non solo a promuovere un migliore inserimento nel mondo del lavoro ma soprattutto a formare cittadini in grado di sviluppare pensiero critico e comprensione della realtà in cui vivono. Cittadini che si muovono in una dimensione sociale solidale all'interno del più ampio contesto naturale di cui siamo espressione.


Uno degli scopi dell’istruzione è sicuramente quello di preparare i giovani alle professioni, fornendo loro conoscenze e competenze funzionali alle esigenze economiche e all’inserimento nel mondo del lavoro. A questo obiettivo è strettamente connesso quello imprescindibile di formarli come cittadini consapevoli e dotati di capacità critica, in grado di interpretare e gestire la complessità. Un mondo globalizzato e in continua evoluzione richiede infatti elasticità mentale, flessibilità, ampiezza di vedute e capacità di valutazione. La Scuola è lo strumento per formare cittadini all’altezza delle sfide della società contemporanea, lo spazio in cui costruire una cittadinanza attiva e consapevole.


Apprendimento e formazione permanenti sono l’unico antidoto ai rischi occupazionali del cambiamento tecnologico. La rapidità dell’innovazione tecnologica impone un ripensamento della struttura educativa nel suo insieme e del suo rapporto con il sistema produttivo. Se a cavallo tra il diciottesimo e il diciannovesimo secolo occorrevano ben tre generazioni per passare da un’innovazione di “sistema” a quella successiva (dalla macchina a vapore all’elettricità), oggi una stessa generazione sta assistendo al susseguirsi di radicali innovazioni (internet, telefonia mobile, internet delle cose, intelligenza artificiale, Hybrid Human/Machine) capaci di mutare oltre ai contesti di lavoro anche quelli che consentono di esercitare il diritto di cittadinanza.


Riconoscere che la scuola abbia il dovere, sia per statuto costituzionale che per normativa vigente, di concorrere alla creazione delle condizioni culturali e sociali perché si realizzi la crescita produttiva ed economica dell’Italia non significa banalmente che la scuola debba costruire «competenze professionali idonee al mondo del lavoro», col rischio di determinare una «forzatura» destinata a «perpetuare disuguaglianze sociali» tra il sistema elitario dei Licei, sostanzialmente propedeutico all’università, e il sistema dell’istruzione tecnica e professionale: la scuola non è un’istituzione subalterna, non deve rispondere meccanicamente agli interessi e alle esigenze delle imprese che competono nei diversi settori produttivi.

Significa al contrario che la scuola deve ricominciare a riflettere collegialmente sul mondo in cui opera, sugli equilibri internazionali più o meno precari tra le identità politiche e sociali e sulle relazioni tra i fenomeni culturali ed economici, per comprenderne le radici e tracciarne l’orizzonte dei possibili sviluppi futuri. Così da elaborare percorsi educativi che, in una prospettiva solidale, mettano tutti gli studenti nelle condizioni di capire il presente e di sapersi orientare negli scenari futuri e al contempo, in una prospettiva individuale, permettano a ciascuno di scoprire i propri talenti, approfondirli con lo studio e coltivarli con l’allenamento.


Una scuola che sappia incarnare questa sua ragion d’essere, com’è stata finora solo per brevi stagioni della storia repubblicana e solo in alcune oasi benedette del Paese, è una scuola in cui non esistono le emergenze come il problema cronico della dispersione scolastica e il dramma delle disuguaglianze educative, che continuano invece a preoccupare quanti abbiano veramente a cuore, per spirito di servizio, per passione civile o per entrambi, la cultura e l’educazione degli italiani.


Emergenze che la scuola dell’Italia unita è stata incapace di affrontare per lunghi periodi della sua storia, che ha tamponato in diverse fasi, che ha in parte risolto in momenti illuminati, che la scuola della cosiddetta “Seconda Repubblica” continua a non comprendere e men che meno a sanare e che oggi non pochi ignorano rimpiangendo una scuola rigida e “severa” riesumata da un tempo e da uno spazio in cui aveva già fallito. Questo fallimento si riflette in maniera grave sulle nuove generazioni infatti, la Gen Z e la Gen Alpha sono quelle che soffrono di più per questa mancanza di attenzione educativa. Sono investite dal declino della crescita economica, dal calo demografico, dai cambiamenti tecnologici che scombussolano le loro ipotesi di lavoro, dagli sconquassi della crisi del 2008, della pandemia e ora delle due guerre.


Sono generazioni sempre più sole, con famiglie, scuole e istituzioni di riferimento in profonda crisi. E sono anche sempre più solitarie, chiuse e isolate nel mondo dei social media. Gran parte di questi giovani vive una doppia umiliazione: entra sempre più tardi nel circuito lavorativo ed è malpagata. Chi può fugge all’estero, gli altri sono costretti a rimanere qui. Dopo laurea e Master comincia una sequenza interminabile di stage gratuiti, di tirocini pagati 800 euro al mese e forse dopo i 30 anni assunzioni sempre con stipendi da fame, soprattutto per chi deve vivere in affitto in grandi città. Proprio per questo è importante discutere della ragion d’essere della scuola italiana, in un confronto anche aspro ma documentato e rigoroso, aperto a tutte le proposte che si sforzino di realizzare la scuola ridisegnata dalla Costituzione e dalle leggi che si sono rivelate fin qui più efficaci. 


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