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"Life on Mars?" - Il Cavaliere Os - La rubrica di psichiatria del dott Vittorio Schiavone

Vittorio Schiavone • 11 agosto 2024

La consapevolezza? Sì, esiste, ne ho sentito parlare. La consapevolezza è il motore primo ed unico del cambiamento: è la consapevolezza che porta il paziente dallo psichiatra, è la consapevolezza che gli fa assumere la terapia. Il resto, sono solo sotterfugi e trovate da improvvisati. Lo psichiatra lavora per essa, e si spende per essa più di quanto non faccia per fare una corretta diagnosi, o per stabilire una adeguata terapia. Senza di essa, sono solo parole inutili. Non è mai “guarito” nessuno per una decina di gocce sciolte nel caffè, né per essere “costretto” ad assumere una compressa al mattino e sera: la vera emancipazione è l’accettazione del problema, e con essa della cura. Certo, a mali estremi estremi rimedi, ma sempre terapeutici e regolati: nessuno psichiatra va a casa nelle vesti dell’amico di zio Gennaro, né si spaccia per un dermatologo.

 "Non servirebbe un antidepressivo, Dottore?”


La psichiatria, per certi versi, è una disciplina contro natura, per tutta una serie di motivi. In primo luogo, ha spesso come oggetto di cura un disturbo che chi ne è affetto non vuole curare; poi perché cerca di rendere materiale ciò che sembra esoterico o poetico (la psiche); infine, lotta con il paziente che crede di sapere della sua mente (cioè, del suo corpo) molto più di quanto non possa scoprire lo psichiatra. Insomma, non si lavora in miniera ma non è proprio una passeggiata di salute; ma questa è un’altra storia.


La consapevolezza? Sì, esiste, ne ho sentito parlare. La consapevolezza è il motore primo ed unico del cambiamento: è la consapevolezza che porta il paziente dallo psichiatra, è la consapevolezza che gli fa assumere la terapia. Il resto, sono solo sotterfugi e trovate da improvvisati. Lo psichiatra lavora per essa, e si spende per essa più di quanto non faccia per fare una corretta diagnosi, o per stabilire una adeguata terapia. Senza di essa, sono solo parole inutili. Non è mai “guarito” nessuno per una decina di gocce sciolte nel caffè, né per essere “costretto” ad assumere una compressa al mattino e sera: la vera emancipazione è l’accettazione del problema, e con essa della cura. Certo, a mali estremi estremi rimedi, ma sempre terapeutici e regolati: nessuno psichiatra va a casa nelle vesti dell’amico di zio Gennaro, né si spaccia per un dermatologo.


Meglio il gioco delle tre carte alla ferrovia, più redditizio e, dal mio punto di vita, anche più deontologicamente corretto. La mente, già, o il cervello, come dicono tutti. Non voglio fare polemiche, è una domenica di agosto e siamo tutti stanchi, ma credo che tutta questa poesia intorno all’organo che sta nella scatola cranica la possiamo pure un po’ mettere da parte. Credete davvero di albergare dentro di voi un alieno, dissimile dal vostro fegato o dall’intestino? Ci sono casi nei quali la materia contenuta dalle ossa craniche più che grigia sia di un colore più “inetstinale” (e che sta benissimo con l’azzurro o il blu, giusto per dire), ma questo però non è oggetto di psichiatria.


La psichiatria prova a trattare i disturbi: non modifica un comportamento non patologico, non vuole cambiare il carattere delle persone, non può manipolare la mente (abbiate pazienza: ma anche se potesse, cosa che ce ne potrebbe fregare a noi psichiatri?). il guaio è che, molto spesso, il disturbo si difende come può, facendo credere nemico chi vuole prova a mitigare quell’idea alquanto bizzarra che gli alieni ed il papa vogliamo conquistare Grumo Nevano (comune in provincia di Napoli, ndr) con un esercito a cavallo di pizze fritte (ognuno delira come può). È chiaro che, in uno scenario del genere, siamo tutti cospiratori, a meno di non essere un alieno, il papa o presentarci a cavallo di una pizza fritta. Che bel lavoro, eh? L’ultima, la mia preferita. Lascio da parte i familiari, con i quali non ce l’ho, credetemi, se non quando pensavo che abbiano accompagnato il congiunto da me non per ascoltare la mia opinione, ma per fare un consulto (gli altri specialisti sono loro).


 

Proviamo a spiegarci. Il paziente porta un sintomo, sintomo che io devo contestualizzare affinché abbia un senso; diversamente, sarebbe solo una parola slegata da tutto il resto, di nessuna utilità o dai plurimi significati, materia più di indovini e biscazzieri che di professionisti. Quel sintomo, però, ha una risonanza con se’, ed in questo interagire si difende: imbroglia, millanta, mente, si maschera, prova nascondersi, a modificarsi, il tutto al fine di sopravvivere. Perché, se alla fine è tutto un correre di impulsi elettrici, ciò avviene dentro un essere vivente, che è molto più complesso delle sue parti e del disturbo stesso, che è soltanto una minima parte di esso.


Così, quando io vedo uno stato misto o una angoscia psicotica, il paziente (e spesso i familiari) parlano di depressione e “vogliono” un antidepressivo, non sapendo bene di cosa si stia parlando e conoscendo, ahimè, soltanto la nomenclatura funzionale dei farmaci psicotropi. “Antidepressivi, psicofarmaci”? Che Stahl li fulmini, e che la cenere non finisca nel mio studio. Certo, se li avessimo continuato a chiamare, ad esempio, Inibitori Selettivi del Reuptake della Serotonina qualche rottura di scatole ce la saremmo risparmiata, ma soprattutto avremmo evitato tanta confusione in giro. Ma questa è decisamente un altra storia. “No, le farebbe addirittura male”. “Lei mi sta condannando a restare depresso, dunque”. “Lo psichiatra è l'eroe che il paziente si merita, ma di cui non ha bisogno in questo momento… perché lui può sopportarlo… è un vigilante che vaga nell'ombra… è un Cavaliere Oscuro”. I’m Batman.


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