Chi ha diritto a salire sul patibolo lo ha anche a salire in tribuna: Questo fu il motto di Olympe de Gouges, drammaturga e attivista francese che –dopo la sua decapitazione nel 1793– avrebbe aperto la strada al lungo e tortuoso cammino dei diritti delle donne, ufficializzati per la prima volta nel mondo nel 1848 a New York nella storica occasione di un congresso su donne e schiavismo. Momento in cui fu chiesta a gran voce la cittadinanza per i residenti di colore.
Un grande passo di civiltà che avrebbe inchiodato per sempre l’espressione del movimento femminista ai suoi evidenti risvolti politici, focalizzati al conseguimento di una giusta parità di diritti, offrendo –nella storia recente– occasioni di visibilità mediatica agli irriducibili opportunisti di una popolazione maschile, maestra nella strumentalizzazione dei disagi e sofferenze di una realtà nazionale spesso fanalino di coda in materia di politiche sociali in Occidente. Così, mentre nel resto d’Europa si discutevano i risultati sulle parità di genere, in Italia si dovettero attendere le proteste della repubblicana e mazziniana Anna Maria Mozzoni e lo sciopero delle mondine per schiarire le idee a chi considerava ancora la donna l’angelo del focolare o addirittura, come ironicamente ricordato dalla stessa Mozzoni, il primo animale domestico del maschio. È stata una strada lunga e tortuosa costellata da rimostranze e da ben centossessanta richieste parlamentari per far avere alle donne il diritto di eleggere ed essere elette, all’abrogazione dell’autorizzazione maritale per le attività economiche e il diritto allo studio. Sebbene non tutto ciò che si chiedeva fu raggiunto contestualmente le donne laureate, dal 1877 al 1900, furono duecento ventiquattro. Un traguardo –per l’epoca– che faceva ben sperare in una rapida evoluzione della parità dei diritti. Purtroppo, una speranza destinata a crollare (non certo a morire), nel corso dell’epoca fascista in sintonia con una maggiore divisione dei ruoli voluti da un regime affamato di doveri e parco di diritti e libere opportunità.
Fu quello il periodo in cui le conquiste dei movimenti femminili trovarono nuovi ostacoli al loro sviluppo, fino a che le donne non furono chiamate a imbracciare le armi nella Seconda guerra mondiale per rimpolpare le ormai asfittiche truppe maschili massacrate dall’abominio del conflitto. Fu da quel momento che le donne, unitesi anche alla Resistenza, si dimostrarono –ancora una volta– all’altezza dei compiti più difficili, facendo risuonare idealmente dopo secoli nell’umana coscienza del paese –anche per chi non le conosceva– le parole di Olympe de Gouges sull’idea che se una donna può avere il coraggio di morire per la libertà del suo paese, per quel paese: può pretendere una parità di trattamento con il mondo maschile, offrire il proprio impegno, competenza e capacità per far progredire una realtà in cui nessuna rivendicazione dei diritti dovrebbe essere accostata alla parola eccesso e dove l’idea di ondate divisive di genere dovrebbe essere abiurata per sempre.
di Mario Volpe
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