di Maria Laura Giampaglia
Psicologa e Psicoterapeuta
In letteratura si diffonde sempre più il fenomeno dei DCA ( disturbo del comportamento alimentare) e ciò si osserva nel paziente che bussa alla stanza d’analisi. Si presenta in punta di piedi la ragazza che soffre di binge eating disorder ( disturbo dell’alimentazione incontrollata) raccontando di quanto presenta odio e rabbia verso se stessa a causa delle abbuffate e di quanto non riesca ad assumere un controllo su quello che mangia. Prova un senso di imbarazzo nel raccontare il suo rapporto con il cibo e ciò la porta a vivere tale relazione in solitudine recandosi al supermercato e comprando vari alimenti categorizzati nel cosiddetto “cibo spazzatura” per poi mangiarli tutti insieme nonostante non provi un senso di fame e fino a sentirsi spiacevolmente abbuffata.
L’anoressica si presenta invece con un vestito totalmente diverso, è sicura di sé, e a tratti sembra posizionarsi lei al posto del terapeuta. Racconta con fierezza dei suoi comportamenti restrittivi, di quanto provi godimento nel guardare il suo corpo denutrito e affamato. Porta in giro i suoi addominali scolpiti con soddisfazione . L’ex ragazzina insicura e invisibile diventa la “fotomodella” piacente ritrovando nella sua anoressia un nuovo spazio nel mondo.
La psicoanalisi ci insegna che una persona può eccedere in una direzione oppure in quella opposta ma non è il segno della sua esagerazione ad essere indicativo di una qualche patologia bensì la presenza stessa di un quantitativo in eccedenza ad essere il principale indicatore di malattia.
Così avviene per l’alternanza di opposti come anoressia e bulimia.
Da psicoterapeuta intendo la questione alimentare come una complessa organizzazione difensiva da qualcos’altro, un insieme di meccanismi che trovano nell’oralità e nell’alimentazione la possibilità di organizzare un funzionamento che avrebbe uno scopo difensivo.
La bulimia per alcuni versi può essere definita come “un’anoressia mancata”, il bisogno di “ svuotare” il peso che ci si porta dentro. Una persona bulimica si differenzia da una persona che presenta il disturbo da alimentazione incontrollata proprio per le condotte compensatorie che si verificano, seguendo il DSM V, almeno una volta a settimana per 3 mesi. La propria autostima è strettamente connessa alla percezione del proprio peso e forma del corpo. La bulimia segna un attacco al proprio sé.
L’obesità non rientra in un disturbo alimentare anche se si pone attenzione al termine stesso ab (a causa di ) e esum ( mangiato) si compre che le cause che spingono a tale condizione sono strettamente connesse al rapporto che la persona ha con il cibo.
Diventa fondamentale prevenire e parlare dei DCA in quanto rappresentano, in campo clinico, una patologia sempre più rilevante sia per la frequenza che per l’esordio precoce (colpisce principalmente le donne in età puberale).
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