“Dottore, ma è possibile?”.
Un tempo questa domanda mi indispettiva, come se la possibilità potesse mettere in discussione la realtà. Oggi, che sono più esperto (mi veniva vecchio, ma mi sono auto censurato) e stanco, mi limito a provare a far comprendere al mio interlocutore che la realtà fattuale vince su ogni cosa.
Quali i fatti? Che Giuseppe, detto Joseph, si era fatto una canna e aveva sviluppato sintomi psicotici. Solo una canna, giurava e spergiurava con la testimonianza non oculare della madre, ed una e solo una, ed era finito al pronto soccorso in urgenza per una valutazione psichiatrica; oggi, a distanza di qualche giorno, era venuto al mio studio.
Volevano sapere da me cosa fosse successo e, soprattutto, se sarebbe successo ancora. Non se potesse succedere, badate bene: loro volevano da me certezze. In psichiatria c’è una sola certezza, vale a dire che la mente non commette salti perché segue le regole della psicopatologia; ad eccezione di ciò, ci muoviamo talvolta in un un campo fiorito di possibilità, ed in un campo si trovano tanto i fiorellini colorati che ci piacciono (a patto di non esserne allergici) così come i funghi velenosi. Giuseppe, detto Joseph, aveva 17 anni ed una figura, si era fumato una canna ed aveva visto e sentito i mostri: quali certezze avremmo potuto mai trarre da tutto ciò? Vi “spoilero” il finale: nessuna, se non a patto di dire bugie.
Giuseppe, detto Joseph, era in un’età in cui tutto può succedere: questo a suo dire modesto quantitativo di THC, anche se dio solo sa cosa realmente ci avevano messo dentro, poteva essere responsabile della sintomatologia manifestata qualora lui fosse stato, in qualche maniera, più sensibile all’uso di certe sostanze, così come aveva potuto intercettare una condizione che era lì lì per esordire, cui la canna aveva steso il tappeto rosso. Inutile provare ad indagare nel pregresso: un evento così dirompente cancella qualsiasi vestigia del passato, e così anche una piccola preoccupazione, un po’ di sospettosità od un umore strano sono difficili da riportare. Quindi, in assenza di grandi cose che l’avrebbero portato da qualche dottore in precedenza, non si può fare altro che ammettere che il tutto spunta fuori dal nulla.
Che fare, dunque? Attenerci ai fatti.
Tecnicamente, la psicosi era indotta da sostanze; ma che le sostanze spiegassero proprio tutto, beh, questa è un’altra storia. La cosa più difficile da far comprendere ai genitori era che dovevamo trattare ed attendere: attendere che il tempo ci chiarisse la situazione. Terribile, non trovate? La seconda cosa difficile era far capire a Giuseppe, detto Joseph, che doveva prendere per un periodo un farmaco anche se stava bene, che doveva farsi controllare e che non poteva farsi le canne et affini. La cosa più difficile, insomma, era far capire a tutte le persone che mi stavano di fronte che pure in assenza di certezza di “malattia” non potevamo escludere che il ragazzo fosse “ammalato”. Vi risparmio ogni disquisizione sul concetto di disturbo e non di malattia in psichiatria, ma sappiate solo che, ogniqualvolta si parla di “malattia psichiatrica”, uno specializzando in psichiatria, da qualche parte del mondo, muore.
“Io i farmaci non li voglio e se non mi faccio le canne che esco a fare con i miei amici?”. Una virgola, di tanto in tanto, non guasterebbe, ma l’italiano non sarà essere il suo mestiere (semi cit.).
Ma non potevo chiamarmi Giuseppe, detto Joseph, anch’io, professione figlio di papà, invece che portare questa croce?
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