Quando il paziente indica la deformità, lo psichiatra guarda l’orologio. È davvero disdicevole come si sia perso il culto di questo oggetto, dominati dalla necessità di informazioni cui uno smartphone risponde appieno. Io adoro gli orologi, e non oserei mai offenderli chiedendo loro l’ora. M questa è un’altra storia.
Il mondo è pieno di persone che hanno un problema con il loro aspetto ma, se cerchi nelle sale d’attesa di chi si occupa di medicina estetica, ne troverai un numero che sopravanza di gran lunga quello nelle sale d’attesa degli psichiatri. La ragione è presto detta: una domanda inadeguata che cerca risposte altrettanto inadeguate. Cosa succede, dunque? Io credo di avere il naso storto, e mi rivolgo a chi me lo rifarà dritto. Se sarò fortunato, la mia richiesta suonerà strana al chirurgo, perché magari troppo insistente ed assillante per un così trascurabile problema; se non lo sarò, perché, per Saturno contro, quel giorno tutto sembrerà normale, io mi ritroverò con un naso nuovo altrettanto storto, ed il chirurgo con mille telefonate e richieste di risarcimento.
Allora io ne cercherò un altro che ripari i danni del primo, e che mi aggiusti un naso operato più storto del precedente. Ripetete all’infinito, spostate su altre parti anatomiche, aggiungeteci rabbia etero ed autodiretta ed avrete un pallido quadro del calvario cui questa persona ed i suoi familiari si troveranno a vivere. Un quadro ancora più pallido di tutta la frustrazione che lo psichiatra di troverà ad affrontare, quando finalmente questa persona giungerà da lui. Lo farà non con la consapevolezza del figliuol prodigo, non con il capo cosparso di cenere ma con la faccia piena di botulino; così, il motivo sarà tutta la sofferenza che gli errori chirurgici, in numero antistatistico, hanno causato, costringendolo, suo malgrado, a rivolgersi addirittura ad uno psichiatra. Ad uno psichiatra per un naso storto, ci pensate! Come se l’incentrare la sua vita su questo, come se il non riconoscersi allo specchio, come se il trascurare affetti, socialità, scuola e lavoro non fosse una stortura di per se’, ma si consumasse semplicemente nella deviazione di qualche impercettibile grado. Come se il naso storto fosse davvero il problema. No, non è la quantità che fa il problema, ma la sua qualità: e questo uno psichiatra lo sa bene.
Uno psichiatra sa bene anche che lavora con il materiale che ha. Quindi, ben venga la rabbia con il chirurgo di turno, rabbia che, senza minimamente entrare nel merito, può essere un’ottima porta d’ingresso. “Io sento la tua sofferenza, io sono convinto che tu stia male”. Non è importante quale sia il reale motivo di questa sofferenza, adesso: conta che ci sia. Rivelare il finale, nei gialli come in psichiatria, fa allontanare il pubblico scontento.
Così, lo psichiatra fa il suo lavoro, vincendo la frustrazione di aver scoperto subito il colpevole. Il suo lavoro sarà ora quello di mettere sulla strada giusta il paziente, conducendolo per mano e muovendosi al suo passo. Cercando di non essere semplicemente un tentativo, un incidente, un vaso di coccio tra vasi di ferro. Cercando di far capire che viene dal profondo quella angoscia che si superficializza e si fa naso. Ecco, mentre il chirurgo, giustamente, parla del naso, lo psichiatra parla al paziente apparentemente di tutt’altro; ma, questo tutt’altro, parla comunque del naso e di se’.
“Vieni più vicino, da lontano non noto nulla di strano”. Gli avrei voluto dire dell’orologio, ma la sua angoscia non avrebbe sopportato la mia ironia, stavolta.
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